Dicembre 2024. Un nuovo nome ha iniziato a circolare nei canali Telegram della galassia pro-iraniana: il Fronte di resistenza islamica in Siria – Uli al-Baas, abbreviato UAB. Un gruppo che si presenta come il primo grande movimento di resistenza (muqawama) della Siria post-Assad. La sua comparsa segna, secondo Newsweek, l’ingresso di un nuovo attore nella rete dell’“Asse della Resistenza”, quella coalizione informale sostenuta da Teheran che include Hamas, Hezbollah e gli Houthi.
Affinità con Hezbollah
Dietro la patina ideologica e i proclami carichi di retorica rivoluzionaria, si intravede però un progetto ben più preciso: il rafforzamento del soft power iraniano in un’area che rischia di sfuggire di mano dopo la guerra civile. Secondo Newsweek, il gruppo dichiara esplicitamente di non sostenere il governo attualmente in carica a Damasco, ma di aspirare a uno “Stato forte, capace e sostenitore della libertà”. Una frase che suona curiosa, se non ambigua, in bocca a milizie armate che ricalcano nei simboli e nella narrativa i paradigmi delle Guardie Rivoluzionarie iraniane.
Il logo stesso dell’UAB – con un fucile kalashnikov stilizzato – non lascia molti dubbi sull’ispirazione. È lo stesso stile grafico usato dalle milizie sciite irachene e da Hezbollah. Nonostante la proclamata indipendenza da partiti e Stati, le affinità sono evidenti. Il Washington Institute si è chiesto apertamente se non si tratti piuttosto di un rebranding di altri gruppi già esistenti, in cerca di nuova legittimità e visibilità in un contesto in rapida evoluzione.
Nascita e prime azioni
Il processo di costruzione dell’immagine dell’UAB è iniziato a dicembre, ma è a gennaio che ha assunto un volto più chiaro. Il 9 gennaio, un gruppo chiamato Jabhat Tahrir al-Janoub (JTJ) ha annunciato la propria nascita, dichiarando di voler rispondere “all’occupazione israeliana nel sud della Siria, in particolare nei governatorati di Quneitra, Deraa e nella campagna occidentale di Damasco”. Pochi giorni dopo, però, il gruppo cambia nome, simbolo e messaggio, trasformandosi in Uli al-Baas. Secondo quanto riportato, la scelta del nome rimanda sia al Corano sia a riferimenti usati da Hezbollah per descrivere precedenti scontri armati con Israele.
A gennaio UAB comincia anche a rivendicare le prime azioni. Il 13 del mese dichiara di aver mobilitato veicoli blindati e combattenti tra Quneitra, Suwayda, Deraa e Damasco. Il 17 gennaio annuncia ufficialmente l’inizio delle operazioni militari. Il 24 pubblica una dichiarazione: afferma di aver abbattuto un drone israeliano nella zona di Tal al-Ahmar. Il 31 gennaio sostiene di aver colpito forze israeliane nel villaggio di Taranja.
Ma già il 14 febbraio, come fa notare il Washington Institute, lo stesso canale Telegram del gruppo smentisce la seconda operazione, lasciando intuire una certa confusione interna o, più probabilmente, un tentativo di gestire la narrazione in modo propagandistico.
Il 19 febbraio, l’UAB annuncia la morte di due comandanti, Abu Bara e Abu Zain, presentandoli come caduti in uno scontro con l’esercito israeliano. La notizia serve anche per sottolineare l’esistenza effettiva di combattenti attivi sul terreno, rafforzando l’immagine del gruppo come forza operativa e non solo simbolica.
Nel mirino anche il nuovo regime siriano
Ma è il 21 febbraio che arriva un segnale importante. Tre gruppi legati all’“Asse della Resistenza” – l’UAB, la Brigata Scudo Costiero (Liwa Dir al-Saḥel) e i Fantasmi delle Forze dello Spirito di Resistenza – diffondono una dichiarazione congiunta. La lettura pubblica è affidata a un uomo mascherato identificato come Miqdad Fatiha, ex ufficiale dell’esercito fedele ad Assad. “Annunciamo piena cooperazione nella lotta contro i gruppi takfiri [un musulmano come infedele o non credente, ndr] e il governo de facto di Damasco”, afferma, indicando chiaramente che l’obiettivo del Fronte non è solo Israele, ma anche il nuovo potere centrale siriano, accusato di aver tradito la resistenza.
Nel frattempo, il gruppo continua a diffondere video e immagini sfocate dei propri combattenti, alimentando una narrazione epica e misteriosa. Tuttavia, come osserva ancora il Washington Institute, le operazioni effettive sembrano limitate, sporadiche, a volte persino inventate. Il tutto ricorda da vicino strategie mediatiche già viste con Hezbollah e altre formazioni legate all’IRGC, dove la comunicazione ha un ruolo strategico pari, se non superiore, a quello militare.
Regia esterna
Il quadro che ne emerge è complesso: da un lato c’è un nuovo gruppo che si presenta come autentica espressione della resistenza siriana contro Israele, dall’altro lato, ci sono evidenti segnali che indicano una regia esterna, probabilmente iraniana, che ne ha curato il lancio e ne indirizza le mosse.
Newsweek sottolinea come il gruppo, pur proclamando la propria indipendenza, utilizzi linguaggio e simbologia tipici delle formazioni proxy iraniane. E lo stesso UAB, nei propri comunicati, parla dell’Iran come di un modello da seguire nella lotta contro “l’entità sionista” e nella difesa di un’identità non sottomessa.
Che si tratti quindi di una milizia realmente autonoma o di un’emanazione diretta dell’apparato iraniano, Uli al-Baas rappresenta in ogni caso un nuovo tassello nella riorganizzazione del fronte pro-iraniano in Siria. Un fronte che cerca di adattarsi alla nuova fase post-bellica, ma che non rinuncia alla retorica della resistenza armata.
Se davvero l’UAB saprà radicarsi sul terreno o se rimarrà una sigla di propaganda, sarà chiaro solo nei prossimi mesi. Ma come suggerisce il Washington Institute, il vero valore di gruppi come questo non si misura solo sul piano militare: conta il messaggio, la visibilità, la capacità di inserirsi nel mosaico siriano. Mosaico in continuo mutamento.