“We will own it” è una frase che nessuno avrebbe mai immaginato di poter sentire in quest’era post-coloniale. Perché il progetto di Donald Trump di evacuare Gaza e ricostruirla per farne la Riviera del Medio Oriente è un progetto genuinamente coloniale.
Genuinamente perché l’ambizione politico-imperialista è quasi offuscata da quella imprenditoriale. È Cecil Rhodes in purezza. Come quest’ultimo sognava di diventare ricco e costruire una ferrovia dall’Egitto al Capo, così Trump, più che parlare da uomo politico a capo di un impero, ieri si è mostrato per quello che veramente è: un imprenditore edile. Perché non ci sono risorse da depredare a Gaza, c’è solo da costruire.
We will own it significa basta trattative multilaterali, basta accordi preliminari, basta affidarsi alle forze democratiche locali, basta anche al nation-building e all’esportazione della democrazia. Tutte queste cose hanno fallito. Perché si è visto che con certa gente la democrazia non funziona e si è capito che con certa gente non si possono avere rapporti se non di forza.
Gli americani avranno una base territoriale sul Mediterraneo senza chiedere il permesso a nessuno. Ed è una buona cosa.
Tempo fa scrissi che difendevo Israele perché Israele rappresenta “l’Occidente come era ieri e come oggi si vergogna di essere”. È dalla crisi di Suez del 1956 che l’Occidente si vergogna, fino a precipitare in quel cupio dissolvi di cui siamo testimoni. Forse oggi, grazie a Israele, ha iniziato a smettere di vergognarsi. We will own it.