Esteri

Il prossimo dopo Sinwar? A che gioco sta giocando il governo Meloni in Libano?

Un nuovo ordine in Medio Oriente. Le incongruenze dell’informativa di Crosetto. L’Onu vuole che Unifil resti per ostacolare Israele. Questo l’obiettivo anche del governo italiano?

Crosetto Camera

Mettendo in fila le teste dell’Idra che Israele ha decapitato fino ad oggi (Ismail Haniyeh, Hassan Nasrallah, Yahya Sinwar – e a questo punto lecito ipotizzare anche il presidente iraniano Raisi con il suo ministro degli esteri Amir-Abdollahian) viene da chiedersi quale sarà la prossima testa a cadere – se ne cadrà ancora una.

E adesso?

Missione compiuta? Ora può finire la guerra sia a Gaza che in Libano? Hamas e Hezbollah sono finalmente in condizioni di non nuocere? In teoria, l’eliminazione di Sinwar rappresenta una seria opportunità, sia per Israele sia per ciò che resta di Hamas, per siglare una tregua in cambio della resa e della liberazione degli ostaggi ancora vivi.

Dal messaggio diffuso ieri sera, pare che il premier israeliano Benjamin Netanyahu sia pronto: “A chiunque deporrà le armi e restituirà i nostri ostaggi, permetteremo di andarsene e di continuare vivere”.

Ma dovremmo aver imparato che in Medio Oriente quasi nulla procede sui binari della razionalità. Ci sono alcune variabili da considerare. Una interna: il fanatismo e la vocazione al martirio e all’assassinio di ciò che resta di Hamas. L’altra esterna: i padrini del movimento, dal Qatar all’Iran, passando per la Turchia, potrebbero non avere interesse a concedere una ulteriore vittoria a Israele e, soprattutto, sgravarlo da uno dei fronti di guerra.

Per quanto riguarda il Libano, quasi sicuramente Israele non fermerà i raid aerei su Beirut e le operazioni di terra a sud del fiume Litani per smantellare il potenziale offensivo di Hezbollah. Né rinuncerà alla rappresaglia contro l’Iran per l’attacco missilistico subito il primo di ottobre.

Un nuovo ordine

Fino ad oggi ha assestato colpi micidiali al disegno egemonico e genocida del regime iraniano, ma la percezione che abbiamo, a giudicare dalle sue ultime mosse, dalla determinazione e dalla resistenza alle pressioni Usa per un cessate-il-fuoco a Gaza e per non attaccare Hezbollah, è che Israele si sia convinto che questa guerra finisca a Teheran, con l’eliminazione della testa più grande dell’Idra. Questa è anche la nostra convinzione, vedremo se avrà la forza di andare fino in fondo.

Siamo da sempre convinti che l’unico modo per Israele di sopravvivere in quella regione sia ignorare gli ipocriti appelli della “comunità internazionale” (inclusi i suoi alleati occidentali, purtroppo) e tornare ad essere un tough and rough State, uno stato pericoloso e imprevedibile.

Sicuramente molti governi in Europa, tra cui quello italiano purtroppo, al di là delle parole di circostanza non hanno compreso cosa è cambiato dopo il 7 Ottobre. Come avvertiva il nostro Max Balestra già all’indomani del pogrom di Hamas, “tutti stanno cercando di infilare la loro narrazione quadrata nel buco tondo di questi terribili eventi, non propriamente capendo quanto siano trasformativi”.

Quando il governo Netanyahu ha lanciato la sua offensiva nella Striscia di Gaza, quasi tutti, anche gli “amici” di Israele, gli rimproveravano di non avere un piano di lungo termine, per il “dopo”. Invece, il piano sta lentamente prendendo forma e sembra ambizioso: un nuovo ordine in Medio Oriente (“New Order” il nome dell’operazione per far fuori Nasrallah), riscrivere i rapporti di forza nella regione in una misura paragonabile all’esito della Guerra dei Sei Giorni.

Come ci poniamo noi, il nostro governo, di fronte a questo piano di “igiene” del Medio Oriente dagli agenti del Terrore? Male, molto male. Israele non ha forse bisogno delle nostre armi, ma ha bisogno del nostro pieno sostegno politico. E come ha spiegato il ministro degli esteri tedesco Annalena Baerbock, da cui ci divide quasi tutto, “autodifesa non significa solo attaccare i terroristi, significa distruggerli”.

L’informativa di Crosetto

Abbiamo già criticato la posizione del governo italiano su Unifil, ma proprio ieri, nella sua informativa alla Camera, il ministro della difesa Guido Crosetto ha dato ulteriore prova, da una parte di non aver compreso che il 7 Ottobre ha travolto tutte le vecchie inerzie nella regione (Unifil inclusa), dall’altra di avere un’idea piuttosto naïf dell’Onu.

Quando, riferendosi alla richiesta di Gerusalemme di spostare i contingenti pochi km più a nord, il ministro afferma che “Israele deve comprendere che i soldati di Unifil non lavorano per una delle parti“, che “l’imparzialità dei caschi blu è e deve rimanere uno dei pilastri di Unifil”, e per questo le Nazioni Unite “non possono accettare di prendere ordini da una delle parti”, (1) ammette che la presenza di Unifil rappresenta un ostacolo per Israele e un vantaggio militare per Hezbollah (se così non fosse, non riterrebbe che spostare i contingenti di pochi km significherebbe “lavorare per una delle parti”); (2) non considera che anche scegliere di non spostarsi significa prendere parte e che probabilmente Hezbollah non ha nemmeno avuto bisogno di “ordinare” a Unifil di non vedere, non sentire e non parlare, per 18 lunghi anni, mentre ammassava armi, costruiva postazioni e sparava missili verso Israele nella sua area di competenza.

Come si può definire “imparziale”, oggettivamente, una missione Onu che non adempiendo al suo mandato ha permesso tutto questo sotto i suoi occhi?

E ancora, quando dice “o c’è Unifil o c’è la guerra”, sta ignorando che la guerra c’è, dall’8 ottobre dell’anno scorso, e che i contingenti Unifil sono nel mezzo. Quindi ampio spazio alla più vuota e lontana dalla realtà retorica onusiana: “Se rinunciassimo alla presenza di Unifil in quest’area del mondo rinunceremmo definitivamente alla capacità di risolvere in modo pacifico le controversie internazionali. In gioco ci sono principi universali, la possibilità per le nazioni di intervenire in aree di crisi per risolvere le situazioni senza uso della forza“. Senza uso della forza??

Decide il Consiglio di Sicurezza

Infine, il passaggio più emblematico: quando il ministro ammette che “Unifil non ha svolto il suo compito perché non poteva; perché le regole di ingaggio per come sono scritte non lo consentivano”, e quando suggerisce che per risolvere la crisi bisogna “rafforzare” Unifil, che servono nuove regole d’ingaggio, mostra di non conoscere cosa è diventata l’Onu e come funziona il Consiglio di Sicurezza.

Come ha spiegato anche ieri il portavoce di Unifil Andrea Tenenti a SkyTg24, “tutto è possibile”, cambiare il mandato e le regole d’ingaggio della missione si può, “ma dipende dal Consiglio di Sicurezza“. E davvero, ministro Crosetto, è così ingenuo da pensare che il Consiglio di Sicurezza, in cui siedono come membri permanenti Russia e Cina (stretti alleati dell’Iran), voglia attribuire a Unifil i poteri e le forze necessarie per attuare la risoluzione 1701, ovvero disarmare Hezbollah e liberare dalla sua presenza il sud del Libano, esattamente ciò che non ha mai voluto che si facesse? Non ci prendiamo in giro.

La volontà del Consiglio di Sicurezza, e della cosiddetta “comunità internazionale”, come ha chiarito Tenenti, è che Unifil resti lì dov’è. Esattamente per quel motivo, per ostacolare quanto possibile le operazioni militari israeliane. Il governo italiano sia onesto con se stesso, e con i cittadini, e decida se questo è anche il suo obiettivo.

A maggior ragione dopo l’eliminazione di Sinwar, davvero non si capisce che senso abbia che la premier Giorgia Meloni si rechi oggi ad Amman e a Beirut, ma non a Gerusalemme per incontrare Netanyahu.

Ora, si può pensare che si tratti di errori di analisi, di pigrizia intellettuale, oppure che forse c’è dell’altro. Forse qualcuno vorrebbe che Israele si limitasse ad una punizione limitata di Hamas e Hezbollah e che tornasse al business as usual nella regione, con Teheran che fa il bello e il cattivo tempo. Non questa volta – e persino l’amministrazione Biden/Harris sembra essersi rassegnata a questa realtà: Israele non può permettersi di tornare allo status quo ante senza compromettere seriamente le sue possibilità di sopravvivenza.

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