Esteri

Le buone intenzioni del Piano Mattei si scontrano con la realtà africana

Troppi Stati africani non allettati da un modello virtuoso di cooperazione, tra corruzione sfrenata, rifiuto dello sviluppo, militari al potere e amicizia con Mosca

Foto di gruppo alla Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni Foto di gruppo alla Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni

Continua l’evacuazione di centinaia di stranieri dal Niger dove il 27 luglio un colpo di stato militare ha deposto il presidente Mohamed Bazoum. Solo quattro giorni prima, il 23 luglio, una delegazione del Niger aveva partecipato a Roma alla Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni organizzata dal nostro governo, alla quale era stato invitato insieme ad altri sette stati africani: Algeria, Egitto, Tunisia, Libia, Mauritania, Marocco, dalle cui coste partono la maggior parte degli emigranti illegali diretti in Europa, ed Etiopia.

Hub di emigranti e jihadisti

L’interesse per il Niger deriva dal fatto che, oltre a essere il settimo produttore mondiale e il primo fornitore all’Ue di uranio (nel 2022 con una quota del 24,26 per cento), il Paese è attraversato da una delle rotte più usate dalle reti criminali che organizzano i viaggi degli emigranti illegali ed è sede di uno dei maggiori hub, la città di Agadez, in cui gli emigranti si concentrano in attesa di provare a entrare in Libia e Algeria, attraversare il deserto del Sahara e raggiungere le coste meridionali del Mediterraneo.

Nel 2016 Ue e Niger avevano firmato un accordo: in cambio di 600 milioni di euro il governo nigerino aveva accettato di adottare provvedimenti contro l’immigrazione illegale. Tra il 2016 e il 2017 per diversi mesi il numero degli emigranti era drasticamente diminuito e decine di migliaia di loro, bloccati in Niger e impossibilitati a proseguire, erano tornati ai Paesi di origine. Poi i milioni sono finiti e con essi i controlli alle frontiere.

L’importanza del Niger nel frattempo è ulteriormente aumentata dopo che lo scorso anno la Francia e gli alleati europei, tra cui l’Italia, vi hanno trasferito, su invito del presidente Bazoum, la base delle loro operazioni contro i gruppi jihadisti attivi nel Sahel che per oltre dieci anni era stata nel vicino Mali, Paese divenuto troppo inaffidabile, in mano ai militari autori nel 2021 del secondo colpo di stato in meno di un anno.

Il Piano Mattei

Il Niger a ottobre mancherà al prossimo appuntamento in agenda, la Conferenza Italia-Africa, durante la quale ai partecipanti sarà illustrato e proposto il Piano Mattei, già annunciato a gennaio e rilanciato ad aprile durante un viaggio in Etiopia del primo ministro Giorgia Meloni, con cui il governo italiano si propone di assumere la guida dei rapporti con il continente africano e con il futuro dei suoi Paesi, con quattro obiettivi: realizzarne lo sviluppo, sottrarlo all’influenza della Cina e di altri stati, contrastare la diffusione del jihad, fermare l’immigrazione illegale.

“Vogliamo affrontare la questione africana attraverso una strategia di investimenti ampia — ha dichiarato nei giorni scorsi il ministro degli affari esteri Antonio Tajani – che passi da impegni concreti, guardando con occhio da amico e non da colonizzatore. Non vogliamo essere predatori. Dobbiamo aiutare a creare aziende e un tessuto industriale, anche attraverso delle joint venture, senza sfruttare i Paesi che hanno materie prime”. Tajani auspica perciò il lancio di “un grande Piano Marshall per l’Africa che non si limiti all’impegno dell’Italia, ma si allarghi all’Europa, ai Paesi del Golfo, e magari alla Turchia e agli Stati Uniti, altrimenti non si va lontani”.

Il primo ministro Meloni di recente ha affermato che quello italiano dovrà essere unmodello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione europea e nazioni africane, un modello di cooperazione non predatorio, in cui entrambi i partner devono poter crescere e migliorare”;  e, ha detto, “ci stiamo lavorando, soprattutto ascoltando e coinvolgendo i Paesi africani”. Durante l’incontro con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il 27 luglio alla Casa Bianca, il nostro primo ministro ha sottolineato che i rapporti con gli Stati africani devono essere “tra pari”: “dobbiamo essere corretti – ha detto – con le nazioni che sono state sfruttate nelle loro risorse”.

La risposta africana dovrebbe arrivare nei prossimi mesi. Si vedrà come sarà accolto il Piano Mattei e da chi. Ma è inutile negare che molti, troppi Stati africani non sono allettati dalla prospettiva di un rapporto “alla pari” con altri stati, da “amici” uniti nella realizzazione di un “modello virtuoso di collaborazione e di crescita”.

Corruzione sfrenata

La corruzione sfrenata, irresponsabile e devastante che in Africa è diventata, come dicono in Nigeria, uno “stile di vita” e che pervade la vita sociale, economica e politica, a ogni livello, è causa di un immenso spreco di risorse e non risparmia quelle offerte a vario titolo come aiuto allo sviluppo. Da decenni, che si tratti di progetti di cooperazione internazionale o di accordi bilaterali tra Paesi, sull’Africa già si sono riversati migliaia di miliardi di dollari sotto forma di doni, di investimenti e di prestiti (questi ultimi a condizioni quasi sempre estremamente favorevoli, addirittura in certi casi senza interessi).

L’esito è stato modesto, molto al di sotto delle aspettative e della quantità di risorse impegnate. Anni fa la Banca Mondiale aveva calcolato che, ad esempio, ogni 10 dollari che arrivavano in Somalia – doni, prestiti, finanziamenti – sette sparivano, intascati da chiunque riuscisse a metterci le mani. Spariscono di continuo persino gli aiuti alimentari destinati alle popolazioni colpite da carestia, per ricomparire venduti nei mercati locali.

Prima di decidere di destinare ulteriori miliardi di dollari all’Africa meriterebbe rileggere almeno un libro, pubblicato nel 2009, “La carità che uccide” di Dambisa Moyo. L’economista zambiana vi denunciava “la corruzione sfrenata su scala strabiliante” che caratterizza la politica africana. “Le enormi somme degli aiuti – sosteneva – non solo incoraggiano la corruzione, ma la generano. I fondi che arrivano dall’estero sono infatti molto facili da sottrarre o dirottare. Questo fiume di denaro che arriva dall’alto è estremamente distruttivo…”.

In simili contesti, davvero c’è chi vuole un modello virtuoso di collaborazione che produca sviluppo? Se lo domandava trent’anni fa la sociologa camerunese Axelle Kabou in un libro, vivacemente contestato all’epoca, anch’esso da rileggere, “E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo?” È una domanda che è ancora necessario porsi.

Militari al potere

Allo stato attuale, oltre al Niger, è da escludere l’adesione al Piano Mattei dei Paesi in cui il potere è in mano ai militari. Quello del 27 luglio è il nono golpe in Africa in quattro anni: oltre ai due in Mali, due in Sudan, due in Burkina Faso, uno in Chad e uno in Guinea Conakry.

Mali, Burkina Faso e Guinea Conakry hanno subito espresso sostegno ai golpisti nigerini. I primi due hanno dichiarato che considereranno atto di guerra nei loro confronti un eventuale, già minacciato, intervento militare degli Stati Ecowas, la comunità economica dell’Africa occidentale, per reintegrare il presidente Bazoum.

L’amicizia con Mosca

Poi ci sono i governi, almeno 20, che hanno stipulato accordi di cooperazione militare con la Russia e quelli in cui sono presenti i mercenari russi del gruppo Wagner: Mali, Repubblica Centrafricana, Libia e Sudan, forse anche l’est della Repubblica democratica del Congo.

Mosca sta cercando di consolidare i rapporti con questi governi e di stringerne altri. Vladimir Putin sa come allettarli. Il 15 giugno le delegazioni di sette Stati africani – Sudafrica, Egitto, Senegal, Repubblica del Congo, Unione delle Comore, Zambia e Uganda – hanno risposto al suo invito e si sono recate a San Pietroburgo per parlare con lui della sua “operazione militare speciale” in Ucraina.

Quindi dal 27 al 29 luglio, sempre a San Pietroburgo, si è svolto il secondo vertice Russia-Africa. C’era attesa di sapere quanti e quali Paesi avrebbero partecipato. Si sono presentati “solo” 17 capi di stato (mentre al primo vertice nel 2019 erano stati 43), ma sono arrivate delegazioni di 49 Paesi su 54. Putin ha promesso aiuti, investimenti, cancellazione di debiti, armi e grano a titolo gratuito ai Paesi amici, sei per incominciare: Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea.

A Emmerson Mnangagwa, presidente di un Paese, lo Zimbabwe, con cui la Russia ha legami che risalgono alla guerra d’indipendenza degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, ha persino regalato un elicottero. “Sua Eccellenza il Presidente Putin ha donato un elicottero presidenziale a Sua Eccellenza il Presidente Emmerson Dambudzo Mnangagwa – ha scritto sui social il 28 luglio il Ministero dell’informazione dello Zimbabwe pubblicando le foto di Mnangagwa mentre siede in cabina davanti a un tavolo apparecchiato con bicchieri di vino bianco e un cesto di frutta – questo uccello sarà presto nei nostri cieli”.

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