Esteri

Naufragio in Grecia: altri morti se non si distingue tra rifugiati e irregolari

Tanti altri moriranno finché prevarranno ideologia immigrazionista, interessi miliardari delle reti criminali e delle cooperative che gestiscono “l’accoglienza”

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Continuano le ricerche dei sopravvissuti al naufragio di una imbarcazione carica di emigranti irregolari verificatosi nella notte tra il 13 e il 14 giugno al largo delle coste della Grecia, 80 chilometri circa a sud ovest di Pylos. Era partita alcuni giorni prima da Tobruk, Libia, ed era diretta verso l’Italia.

Finora 104 naufraghi sono stati salvati e portati a Kalamata dove molti, che presentavano sintomi di ipotermia e ferite leggere, sono stati ricoverati in ospedale. Delle persone soccorse 43 sono egiziane, 47 siriane, 12 pakistane e due palestinesi. I morti accertati sono al momento 79, ma il bilancio delle vittime è destinato a salire.

Non si sa con certezza quante persone fossero a bordo, ma si ritiene non meno di 400 e, stando ad alcuni sopravvissuti, da 500 a 750, quasi tutti ragazzi intorno ai 20 anni, forse decine i minorenni. Di sicuro erano molti più di quanti ne potesse trasportare l’imbarcazione, a giudicare dalle riprese effettuate prima del naufragio. Potrebbe trattarsi del peggior incidente avvenuto nel Mediterraneo dopo quello del 2015 nel quale morirono da 700 a 900 emigranti.

Volevano l’Italia

“Noi vogliamo andare in Italia” era stata la riposta alle ripetute offerte di aiuto da parte della guardia costiera greca. “Era una barca da pesca piena zeppa di gente. Hanno rifiutato la nostra assistenza perché volevano andare in Italia – ha dichiarato ai mass media il portavoce della guardia costiera greca Nikos Alexiou – siamo rimasti vicino a loro per aiutarli in caso di necessità, ma hanno sempre rifiutato”.

L’ong Alarm Phone, che invece accusa di negligenza i greci, sostiene che in effetti gli emigranti temevano di doversi affidare alle autorità greche, consapevoli delle “orribili e sistematiche pratiche di respingimento del Paese”.

In Grecia leggi rigorose

Le pratiche “orribili” sono quelle previste dalla legge adottata dal governo greco nel 2019: rafforzamento dei controlli in mare, pene più severe per i trafficanti, tempi molto ridotti – 60 giorni invece degli anni necessari fino ad allora – per esaminare le richieste di asilo, più attenzione e rigore nel rifiutare quelle infondate che anche in Grecia, come in Italia, sono la maggior parte.

L’allora primo ministro Kyriakos Mitsotakis aveva detto al Parlamento, prima del voto, che la legge intendeva mandare un messaggio chiaro: “La misura è colma. Basta con persone che sanno benissimo che non hanno diritto all’asilo e tuttavia tentano di entrare e stare nel nostro Paese”.

Consapevoli della difficoltà di approdare in Grecia e, se ci riescono, sapendo di non poterci restare, salvo ovviamente la piccola percentuale di chi chiede asilo con ragione, un numero crescente di emigranti irregolari, e i contrabbandieri di uomini con loro, sono confluiti sulle le rotte che portano in Italia, anche a costo di prolungare il viaggio e aumentarne i rischi.

Da quasi 60 mila nel 2019, gli arrivi via mare in Grecia sono scesi a poche migliaia: 6.498 dall’inizio di quest’anno, mentre in Italia sono sbarcate 55.560 persone.

Yiorgos Michelidis, un funzionario del Ministero delle migrazioni greco intervistato dalla Bbc poche ore dopo il naufragio, ha ricordato che la Grecia ha più volte detto che l’Unione europea deve elaborare una “solida” politica migratoria, “che accetti solo chi ha davvero bisogno e non chiunque abbia abbastanza denaro per pagare i contrabbandieri di uomini. Ora come ora, sono loro, i contrabbandieri di uomini, a decidere chi viene in Europa. Spetta all’Unione europea dare asilo, aiuto e sicurezza, ma a chi ne ha davvero bisogno. Non è un compito della Grecia, dell’Italia, di Cipro…”.

Politiche globali

Il governo greco ha ragione. Uno Stato da solo non può contrastare l’emigrazione irregolare. In realtà da sola non può riuscirci neanche la stessa Unione europea. È un fenomeno che richiede interventi e politiche globali che coinvolgano come organismi attivi, tra gli altri, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’Unione Africana, nel caso degli emigranti da quel continente che sono circa il 70 per cento del totale.

Anche gli accordi con singoli Stati, quelli di origine e quelli di transito, attraversati dalle rotte di terra che portano al Mediterraneo, hanno maggiori probabilità di successo se gestiti globalmente. Finora l’Ue ha provato a offrire, con qualche esito positivo, ma temporaneo, contributi finanziari in cambio di maggiore impegno nel controllo delle frontiere e delle rotte a Paesi come il Niger dove esiste un grosso hub di sosta degli emigranti che attendono di attraversare il Sahara.

Distinguere rifugiati e irregolari

Nessun piano di contrasto però può avere successo se prima di tutto non si torna a distinguere, come principio e nella sostanza, rifugiati ed emigranti irregolari, se non si smette di affermare che gli ingressi illegali in Europa sono un diritto sempre, comunque, e sempre un dovere accettarli.

Nessuno che approfitti del diritto internazionale e della Convenzione di Ginevra per i rifugiati per entrare in un Paese senza documenti e chiedere asilo come espediente per non essere respinto dovrebbe essere premiato con lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria, un permesso di soggiorno, o almeno con una accoglienza lunga anni in attesa del giudizio definitivo sulla richiesta presentata.

Al tempo stesso nessun profugo, davvero in fuga per salvare vita e libertà, dovrebbe essere costretto a percorrere migliaia di chilometri, pagare migliaia di dollari alle organizzazioni criminali che gestiscono i viaggi clandestini e affrontare rischi, disagi e l’incertezza di riuscire ad arrivare a destinazione.

Deve, come è suo diritto, ottenere asilo nel primo Paese straniero in cui mette piede, lì trovare aiuto da parte delle autorità locali e dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati e poi eventualmente, se lo desidera e se è fattibile, essere assistito nel trasferimento in un Paese terzo.

Il ruolo dell’Onu

L’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi ha ripetuto, come già più volte in passato, che i governi devono collaborare per creare dei percorsi sicuri per chi fugge dalla povertà e dalla guerra. Ma non si “fugge dalla povertà”, si emigra, regolarmente, come hanno fatto e continuano a fare centinaia di milioni di persone. Quanto ai rifugiati, è escluso che Grandi non sappia che quei percorsi esistono già e che la prima a doversi impegnare affinché funzionino bene, per tutti, è proprio l’agenzia Onu di cui è a capo.

I morti di quest’ultimo naufragio si aggiungono ai 1.037 già registrati nel Mediterraneo dall’inizio del 2023, senza contare le vittime lungo le rotte di terra, specie quelle africane. Le Nazioni Unite hanno calcolato che dal 2014 nel Mediterraneo centrale sono morte più di 20 mila persone. Tante altre moriranno finché prevarranno l’ideologia immigrazionista e gli interessi miliardari delle reti criminali che organizzano i viaggi e delle cooperative che gestiscono il sistema di assistenza creato per l’accoglienza.

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