Esteri

Perché il governo Meloni fa bene a puntare sulla ricostruzione dell’Ucraina

Non solo una gigantesca opportunità economica, ma una scelta strategica obbligata e un ruolo da protagonista per l’Italia nel nuovo scenario geopolitico

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Si è svolta il 26 aprile a Roma, al Palazzo dei Congressi, la conferenza bilaterale sulla ricostruzione dell’Ucraina. Una iniziativa che il governo italiano preparava da tempo, tanto che Giorgia Meloni la annunciò per la prima volta proprio durante la sua visita a Kiev.

La conferenza bilaterale

La partecipazione è stata straordinaria: presenti i vertici di 600 aziende italiane e di 150 aziende ucraine, oltre alle delegazioni ministeriali e ai rappresentanti delle istituzioni finanziarie internazionali. Il ministro degli esteri ucraino, Dmytro Kuleba, salendo sul palco nella sessione plenaria svela che l’idea iniziale di Antonio Tajani era di tenere il meeting alla Farnesina, ma vista la grande adesione all’iniziativa, si è poi deciso di optare in corsa per l’Eur.

Qualche osservatore ha cercato di minimizzare l’evento, magari sottolineando la mancata partecipazione delle istituzioni europee o di altri attori internazionali (non più che corollari aleatori nelle intenzioni iniziali degli organizzatori, il cui focus era concentrato sui tavoli operativi, non sulle passerelle): la verità è che il governo italiano ha compiuto una scelta coraggiosa e lungimirante, orientata a far acquisire all’Italia stessa un ruolo di leadership nella nuova geopolitica che sta nascendo.

La sfida della ricostruzione

Parlare di ricostruzione significa parlare del presente e del futuro dell’Ucraina con il massimo grado di concretezza possibile. E spalanca opportunità enormi per chi le sa cogliere.

Studi di Palazzo Chigi e della Farnesina stimano il costo complessivo della ricostruzione in 411 miliardi di euro, spalmati su dieci anni. I settori che hanno subito un crollo sono i più vari: interessati sono la gran parte dei settori strategici nazionali, dalla medicina ai trasporti passando per l’agroalimentare.

Il ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, fresco di una visita a Washington, ha fatto presente che l’Ucraina resta una priorità per Banca mondiale e Fondo monetario internazionale: proprio il Fmi ha appena approvato un pacchetto da 15 miliardi di dollari di aiuti al settore privato.

Giorgetti ha poi annunciato che l’Italia contribuirà con 100 milioni di euro al fondo di garanzia della Banca europea degli investimenti “Bei For Ukraine” e ha rivendicato anche l’impegno italiano nel garantire un prestito parallelo a quello della Banca mondiale a sostegno del settore pubblico, in particolare al comparto dell’istruzione.

Capitali privati

Ma la mole di ciò che deve essere ricostruito non può fare a meno, oltre alle risorse messe in campo dalle istituzioni finanziarie internazionali, di un cospicuo afflusso di capitali privati. Per sostenere la ripresa economica dell’Ucraina è necessario – dice la padrona di casa, Giorgia Meloni – “l’impegno responsabile dei privati”. È necessario insomma contare sulle aziende, con il loro spirito imprenditoriale, con il loro livello di expertise nei propri settori di competenza.

Per questo si rende necessario (e a questo è servito il summit romano) favorire il dialogo tra i mondi produttivi italiani e quelli ucraini, con l’apporto fondamentale delle realtà più attive nella internazionalizzazione delle imprese: Ice, riportando le parole del suo presidente Zoppas, si impegna a “fare da ponte” per favorire gli investimenti; ma anche Confindustria (ricorderete la visita di Carlo Bonomi a Kiev, accompagnato dal ministro Urso) “intende lavorare con decisione ed entusiasmo” per non far mancare all’Ucraina adeguato sostegno.

Rapporti commerciali

Ucraina e Italia hanno tutto l’interesse ad incrementare la propria relazione commerciale. La collaborazione tra i due Paesi è per la verità molto più significativa di quanto non si creda: l’Ucraina “granaio d’Europa” è in realtà anche una terra ricca di materie prime e un importante polo siderurgico.

E se è vero, come è vero, che dalle crisi possono nascere delle opportunità, l’Italia ha tanto da insegnare. Lo dice bene il ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso: “Se il made in Italy è riconosciuto a livello globale come il marchio della produzione di eccellenza e di qualità, allora il ‘made in Ukraine’ può essere il marchio della solidarietà”.

Far conoscere ai consumatori italiani ed europei prodotti ucraini di qualità può aiutare il Paese invaso a risollevarsi tanto quanto l’afflusso di corpose risorse pubbliche, di investimenti privati o di materiale bellico.

Una scelta strategica

Ma non si può sfuggire dal punto fondamentale. Oltre la solidarietà, e oltre il business, c’è la scelta strategica di investire sulla vittoria dell’Ucraina nel conflitto e ancor di più sul suo Dopoguerra. “Non abbiate para di investire, costruire, ricostruire, di saper guardare oltre questi mesi, di scommettere sulla vittoria dell’Ucraina e sull’integrazione europea dell’Ucraina” è l’invito della presidente del Consiglio Meloni.

L’integrazione europea dell’Ucraina non è il capriccio di qualche sognatore: è (o per meglio dire, sarebbe) la conferma di come l’Europa – quella buona, quella utile – può ancora servire, che non tutto è perduto.

Volodymyr Zelensky, collegato in videoconferenza, rivendica dinanzi alla platea l’impegno della sua nazione nel condurre le riforme necessarie per entrare nell’Unione europea, proprio mentre il Paese affronta ancora l’incubo quotidiano delle bombe di Putin. Gli fa eco la premier italiana: “Ripaghiamo lo sforzo accelerando le procedure”, e sottolinea quanto gli ucraini stiano combattendo per i valori stessi su cui l’Europa si fonda.

E se proprio a Roma, più di 60 anni fa, l’ingegno e la visione di un grande statista liberale come Gaetano Martino produssero il primo germe di integrazione economica europea, oggi a maggior ragione l’invito a moltiplicare gli sforzi per avvicinare Kiev alle nostre capitali attraverso l’afflusso di investimenti pubblici e privati deve far riflettere sullo scenario geopolitico aperto.

Racconta molto del mondo in cui viviamo, dobbiamo esserne consci: o c’è l’Europa o ci sarà qualcun altro. E chi ha memoria delle sperimentazioni su piccole cavie come il Montenegro o lo Sri Lanka non può farsi illusioni su cosa potrebbe capitare a una terra grande, ricca e prospera come l’Ucraina.

Le mire di Pechino

Sì, l’ipotesi di una “aggressione” economica di Pechino è dietro l’angolo: la Cina ha tutto l’interesse a “comprarsi” Kiev con la trappola del debito. Forse è proprio soltanto la prospettiva di un’occasione appetitosa come il monopolio del finanziamento della ricostruzione dell’Ucraina a trattenere Xi Jinping da un pieno appoggio al junior partner Vladimir Putin.

Di fronte alla nitida volontà degli Usa (di Biden, e a maggior ragione di un presidente repubblicano) di spostare la concentrazione sul quadrante Indo-Pacifico lasciando gli europei maggiormente a loro stessi, appare chiaro come non ci siano davvero alternative all’impegno unitario europeo.

Ruolo da protagonista

E l’Italia, come saggiamente intuito da Giorgia Meloni, può giocare in questo quadro davvero un ruolo da capofila, conscia delle proprie straordinarie potenzialità e del proprio passato. Come i nostri nonni costruirono il miracolo italiano degli anni ’60, oggi alle nostre imprese, pioniere nell’innovazione, tocca il compito di agevolare e determinare un miracolo ucraino.

L’appello finale del discorso della Meloni, davanti al primo ministro ucraino Denys Shmyal e alla platea, è proprio quello a immaginare e a costruire il futuro dell’Ucraina, di un’Ucraina ricostruita, come il nostro futuro: “Ogni scuola, ogni casa, ogni ospedale, ogni campanile che noi ricostruiremo in Ucraina sarà un pezzo delle fondamenta dell’Europa intera”.

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