Esteri

Primi soldati Usa uccisi: il problema di Israele si chiama Biden

Attacco a “Torre 22”, difese Usa bucate due volte in pochi giorni. Ora punire Teheran. La Casa Bianca valuta se usare le armi come leva sul governo Netanyahu

Biden Charleston Il discorso del presidente Biden a Charleston interrotto da contestatori pro-palestina

Non Hamas, non Hezbollah, non l’Iran. La principale minaccia per Israele oggi è la disperazione della Casa Bianca. Disperazione, perché la prosecuzione della guerra multi-teatro in Medio Oriente e il sostegno che Washington offre a Israele stanno compromettendo le chance di rielezione di Joe Biden – e aumentando quelle di Donald Trump.

Non è un mistero infatti il malumore di settori importanti del Partito democratico e della sua base elettorale, ormai a tal punto radicalizzati da sposare posizioni filo-palestinesi o addirittura filo-Hamas. Questo crescente malcontento spinge l’amministrazione Biden a fare di tutto per fermare il prima possibile la guerra, o almeno limitare l’operazione israeliana nella Striscia di Gaza, anche se non è ancora raggiunto l’obiettivo della distruzione di Hamas.

Ed è proprio su questa debolezza politica che sia Hamas che i suoi sponsor, Iran e Qatar, fanno leva nel tentativo di impedirne la completa distruzione.

Houthi a segno

Ad aggravare la posizione della Casa Bianca, il missile Houthi che nei giorni scorsi ha centrato una petroliera britannica in navigazione nel Mar Rosso. Avevamo avvertito, su Atlantico Quotidiano, come da questo schema – in cui le forze Usa si limitano a intercettare droni e missili e a rappresaglie limitate, senza coinvolgere l’Iran – le milizie Houthi avessero solo da guadagnare e nulla da perdere: sarebbe bastato un solo colpo a segno, infatti, per cogliere un clamoroso successo e mostrare la penetrabilità dell’ombrello Usa. Quel colpo è arrivato.

L’attacco a Torre 22

Ancora peggio, ieri le prime vittime americane dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas. Tre soldati americani sono stati uccisi e 34 feriti in un attacco di droni durante la notte tra sabato e domenica contro un piccolo avamposto Usa “operativo e di pattuglia”, chiamato “Torre 22”, nel nord-est della Giordania, ha confermato il Comando Centrale Usa. Le autorità giordane si sono affrettate a precisare che l’attacco ha preso di mira la base americana di Al-Tanf in territorio siriano, non giordano.

In effetti, “Torre 22” è vicinissima alla base di Al-Tanf, poco al di là del confine, crocevia fondamentale tra Iraq e Siria che le milizie filo-iraniane cercano da tempo di controllare e hanno attaccato più volte. L’attacco avrebbe avuto origine da una base nel sud della Siria gestita dal Corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane insieme a diverse milizie filo-iraniane, tra cui Kata’ib Hezbollah.

Non è chiaro il motivo per cui le difese aeree non siano riuscite a intercettare il drone. Ma come era altamente probabile che prima o poi un missile o un drone Houthi avrebbe colpito una nave commerciale nel Mar Rosso, così era molto probabile che dopo 160 attacchi ci rimettesse la vita qualche soldato Usa sotto il tiro delle milizie filo-iraniane in Siria e Iraq. Queste tre vittime sono il risultato dell’incapacità dell’amministrazione Biden di dissuadere l’Iran e i suoi proxies.

“Sappiamo che questo attacco è opera di gruppi radicali sostenuti dall’Iran che operano in Siria e Iraq”, ha dichiarato il presidente Biden. I tre soldati uccisi “erano patrioti nel senso più alto del termine. E il loro ultimo sacrificio non sarà mai dimenticato dalla nostra nazione”, ha aggiunto. “Porteremo avanti il loro impegno nella lotta al terrorismo. E non abbiate dubbi, chiederemo conto a tutti i responsabili nel momento e nel modo da noi scelti”.

Ma c’è da scommettere che questa dichiarazione non placherà le polemiche negli Stati Uniti, né il malcontento dei Democratici per il sostegno “acritico” della Casa Bianca al governo israeliano. Su questo e sulla crisi al confine con il Messico, di cui abbiamo parlato ieri, Biden si gioca la rielezione.

La leva delle armi

Per questo non sorprende la notizia circolata ieri, riportata da NBC News citando tre funzionari Usa, secondo cui l’amministrazione Biden starebbe valutando di rallentare o sospendere la fornitura di alcune armi offensive a Israele come leva per convincere il governo Netanyahu a ridurre l’offensiva militare a Gaza.

Nessuna decisione ancora, ma il Pentagono, su ordine della Casa Bianca, avrebbe già esaminato quali armi richieste da Israele potrebbero essere utilizzate come leva: colpi di artiglieria da 155 mm e “joint direct attack munitions” (Jdam), kit di guida che convertono bombe “stupide” in munizioni di precisione.

Le stesse fonti hanno riferito che è probabile che l’amministrazione Biden continui invece a fornire altri kit di conversione che rendono le munizioni israeliane più precise, e che non intenda rallentare la consegna di sistemi di difesa aerea, benché l’idea sia stata presa in considerazione, così come altri sistemi in grado di difendere i civili e le infrastrutture israeliane dagli attacchi. Nella revisione di ciò che potrebbe eventualmente trattenere o ritardare, l’amministrazione si starebbe comunque concentrando su armamenti di natura offensiva.

Anche se smentita da un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, la notizia resta molto verosimile. “Israele ha il diritto e l’obbligo di difendersi dalla minaccia di Hamas, rispettando il diritto umanitario internazionale e proteggendo le vite dei civili, e restiamo impegnati a sostenere Israele nella sua lotta contro Hamas. Lo facciamo dal 7 ottobre e continueremo a farlo. Non c’è stato alcun cambiamento nella nostra politica”, ha detto.

Che si tratti di una fuga di notizie autorizzata, seguita da smentita ufficiale, secondo uno schema di frequente utilizzato per inviare messaggi informali, o che qualcuno stia facendo di testa sua per minare il sostegno Usa a Israele, resta una forma di pressione.

Pressione su Israele

Ma è dall’inizio della risposta israeliana al brutale attacco di Hamas del 7 ottobre che l’amministrazione Biden sta esercitando pressioni sul governo Netanyahu per ritardare, limitare o sospendere la sua offensiva a Gaza, o soprassedere, come nei confronti di Hezbollah.

Così dando l’impressione che gli Usa subiscano la deterrenza dell’Iran, esercitata attraverso i suoi proxies, più di quanto Teheran subisca la loro e incoraggiando quindi Teheran e Doha ad alzare la tensione, perché si sono accorti che più la tensione è alta, più Washington reagisce aumentando la pressione su Israele.

Superata una linea rossa

La volontà dell’amministrazione Biden di non allargare il conflitto a Gaza e di allentare la tensione, anche evitando di reagire agli attacchi dei proxies iraniani, li sta in realtà incoraggiando nella loro escalation, come dimostra la crisi nel Mar Rosso e, ora, l’uccisione dei primi soldati Usa.

A questo punto, è stata superata una linea rossa, quindi nella sua rappresaglia Washington dovrà puntare a obiettivi che abbiano un significato strategico per il regime iraniano, non solo per i suoi proxies, pena la pericolosa erosione della sua deterrenza.

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