Politica

Abbiamo voluto un governo politico? Basta piagnistei, ora pedalare

Dopo anni di predestinati e paracadutati, un premier scelto dagli elettori e rispettato all’estero. Tanto non cambierà niente? Dipenderà anche da noi

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Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che un superficiale non era di certo, fece dire al suo Tancredi Falconeri una delle più sagaci frasi mai scritte sul sentimento degli italiani, la celeberrima: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Gattopardi moderni

In questo aforisma si concentra la massima parte di quello che molti italiani stanno dicendo e scrivendo a proposito del nuovo governo. Niente da fare, potremmo anche mandare al governo Topolino o Mazinga Zeta (votandoli democraticamente), ma la lagna che si solleverebbe dai soliti gattopardi del terzo millennio è la medesima di sempre: “Tanto non cambierà niente”.

Pur non negando che vi sia qualcosa di profondo nel desiderio di cambiare tutto per mantenere l’ordine precostituito, potremmo capirne di più se utilizzassimo i termini giusti. Se questo benedetto Paese abbia perso o meno, e da anni, il senso dell’ordine che, almeno nelle strutture portanti dello Stato, si ritiene che debba esserci, è un’ipotesi sulla quale chiedere conto al nuovo governo.

Se, invece, si trattasse di privilegiare quelle azioni legislative (perché, alla fine, si governa con le leggi) che possano ridare una boccata di libertà a tantissimi che, complice la pandemia, si sono sentiti rinchiusi nel recinto degli ovini, la cosa si farebbe più complicata.

Due sentimenti

Mai come oggi si contrappongono due sentimenti popolari che non sempre trovano la giusta via di mezzo, quando non la trovino affatto.

Vogliamo uno Stato che faccia lo Stato e ci tolga dall’umiliante ruolo degli sfigati d’Europa, ma, allo stesso tempo, desideriamo riassaporare quel senso di libertà (di andare dove vogliamo, di spendere il nostro – ormai poco – denaro come vogliamo, di non dover rendere conto di ogni nostra scelta alla Germania e alla Francia), con quel rispetto per noi stessi che soltanto un governo che non stia perennemente in ginocchio potrebbe ottenere.

Rispetto per Meloni

Fateci caso, in questi pochi giorni abbiamo raccolto più manifestazioni di rispetto e considerazione, anche dai detrattori storici del partito di Giorgia Meloni, per la sua dignitosa e non troppo indulgente fermezza, per niente inferiore a quanto tributato, a suo tempo, all’apprezzatissimo e conosciutissimo Mario Draghi, protagonista della politica economica europea per decenni.

Teniamo anche ben presente che la stampa italiana ha presentato all’estero il presidente Meloni come una sorta di ducetta in gonnella, tutta saluti romani e olio di ricino. E invece, complessivamente, piace la sua composta fermezza, la sua evidente determinazione, l’essersi fatta da sola e partendo dal basso.

Poche balle; è questa una situazione che avevamo dimenticato, dopo anni di predestinati, di paracadutati o paraculati, di totali “signori nessuno” che non hanno mai diretto nemmeno una bocciofila.

La stampa estera

Tutto sommato, all’estero, non è che proprio, per usare un termine partenopeo, “ci schifino“. Sanno benissimo che gli italiani è assai meglio prenderli per il culo che trovarseli per avversari quando si mettono a fare sul serio.

Prendiamo la stampa estera: negli ultimi dieci anni non ci ha risparmiato critiche immeritate e persino insulti, perché non poteva e non aveva motivo di lagnarsi di noi in quanto privilegiati rispetto a loro, perché, alla fine, ci si arrabbia sempre con chi sta meglio di noi.

Stando noi assai peggio di loro, da molti punti di vista, si sono attaccati agli aspetti esteriori, quando non deteriori, della nostra politica, potentemente aiutata da una stampa italiana tafazzista e scioccamente lavandaia di panni sporchi fuori dai nostri trogoli.

Quando inizieranno ad attaccarci per le cose serie, ossia quando l’Italia batterà un colpo, sarà un gran bel segno.

Basta piagnistei?

Ho letto, recentemente, più volte, nei commenti politici di ogni parte, la parola “orgoglio”, più di quanto potessi prevedere, dopo anni di “gne gne”, di “Signora maestra, Pierino ha fatto questo o quello” ed altre deteriori manifestazioni di totale inadeguatezza.

Basta, dunque, coi piagnistei? Basta chiedere di risolvere i nostri problemi interni con l’intervento della signora maestra (men che mai la glaciale baronessa tedesca)? Non ci scommetterei, anzi, mi stupirei se ciò avvenisse, almeno per un motivo: ormai siamo tutti sotto controllo di qualcuno.

E la famosa domanda su “chi controlla i controllori” rimarrà senza risposta ancora per lungo tempo. Ma questo abbiamo voluto e costruito in democrazia, votandoli tutti dal primo all’ultimo.

Qualcosa cambierà

Probabilmente, almeno stavolta, qualcosa cambierà. Dipenderà anche da noi, se sapremo farci carico della responsabilità che deriva dalle nostre stesse istanze. Non vorrei che finisse come per certe biciclette tanto desiderate, che quando si tratti di pedalare in salita, piacciono assai meno.

E di pedalate assistite, per favore, come per altre genialate di colore verdastro, facciamone magari a meno. Se vogliamo la bici ci si rassegni a pedalare, altrimenti ci compriamo una moto che è molto meglio.

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