Ancora riecheggiano nell’aria le parole di Bruno Vespa (30 gennaio) che – a commento del “caso Al-Masri” – disse:
Quello che i signori dietro la lucetta rossa non sanno, ma che i parlamentari di tutti i partiti sanno, perché avvertiti, è che in ogni Stato si fanno cose sporchissime – anche trattando con i torturatori – per la sicurezza nazionale. Questo avviene in tutti gli Stati del mondo.
Le accuse
Apriti cielo! Sono bastate queste poche parole che, sia le associazioni di categoria giornalistiche, sia le opposizioni alla maggioranza di governo hanno alzato alti lai per la poca imparzialità del giornalista abruzzese. Una nota del sindacato Unirai, liberi giornalisti Rai recita:
Non c’è solo una parte consistente della magistratura ad essere politicizzata, ma anche una nicchia della categoria dei giornalisti. Nulla di nuovo. Si evidenzia però in questo momento storico una quotidiana insofferenza verso qualsiasi forma di pluralismo delle opinioni e si grida addirittura al regime.
A far cassa di risonanza ecco Sandro Ruotolo, responsabile informazione nella segreteria nazionale del Pd: “Commentando così il caso Al-Masri, ieri sera Bruno Vespa nei suoi 5 minuti ha superato se stesso. Altro che terza Camera, è diventato il portavoce ufficiale di Palazzo Chigi”. Gli esponenti del M5S in Commissione Vigilanza Rai – candidi ed innocenti come loro uso – accusano Vespa di “propaganda”, esortandolo a fare il “passo definitivo”, ossia candidarsi “con Fratelli d’Italia, almeno avremo finalmente chiarezza”.
Sorpreso da tanto clamore ecco che Vespa ha chiamato in correo tanto Minniti, quanto Latorre, e con loro i governi Renzi e Gentiloni, alimentando ancor di più le polemiche. Nella assoluta uniformità di comportamento dei protagonisti chiamati in causa si è distinto Nicola Latorre affermando che il governo “aveva fatto la scelta giusta”.
Le comunicazioni in aula del ministro Carlo Nordio il 5 febbraio, ancorché fortemente rintuzzate, possono contribuire a quietare gli animi, almeno nel medio periodo; anche se di tante argomentazioni, messe insieme con sapienza ma non poco artificiose, non ve ne era assolutamente bisogno.
Elly Schlein, forse in un moto di stupore alla scoperta che l’acqua bagna ed il fuoco brucia, è lapidaria nel dire: “La scarcerazione è una scelta politica”… che sorpresa! Vero che in politica tutto è funzionale alla dialettica delle contrapposizioni e che il moralismo a “corrente alterna” è un antico mestiere italico, ma accusare Bruno Vespa di fare da cassa di risonanza del governo Meloni è riduttivo ed ingiusto, nei confronti di un approccio all’arte di governo che è elemento costitutivo della politica: ora e sempre!
Il realismo politico
Nell’epoca dell’uno vale uno e del (finto) principio della “casa di cristallo”, dove la trasparenza deve essere condizione del pensiero e dell’agire politico pare esservi poco spazio per la realpolitik. Fino a quando non si prenderà coscienza che la politica non è confronto di principi e idealità, ma mediato scontro tra interessi specifici ed oggettivi, non vi è speranza di comprendere il solido e sofferto principio della “ragion di Stato”, che è alla base del caso Al-Masri.
Questo principio appare già presente ed esplicitato da Tucidide quando, nel Dialogo dei Melii mette in bocca alla delegazione ateniese le seguenti parole: “il possibile lo fanno i più potenti e ad esso acconsentono i più deboli”. Parole dure e nette che trovano eco sia in Machiavelli che allontana e rende autonoma la necessitas dalla ratio status, laddove qualsivoglia tecnologia di potere è ammessa al sovrano per conservare il potere politico e mantenere la sua potenza, sia in Guicciardini quando ammette che “ammazzare o tenere prigionieri e’ pisani” non è un parlare “cristiano”, ma un “parlare secondo la ragione e l’uso degli stati”. Qui è già chiara la contrapposizione della politica, come tale, con la morale tradizionale.
Per secoli il pensiero e la prassi politica da Botero ed Hobbes, fino ai giorni nostri, ha messo al centro dell’agire politico lo Stato superiorem non recognosens che, al massimo, nell’agone internazionale, media le proprie aspirazioni mediante convenzioni e trattati, divenute nei secoli “diritto”, che non mutano, di fondo, l’elemento anarchico delle relazioni internazionali, dove al centro resta sovrano lo Stato dominante di un sistema politico, composto da un centro gravitazionale e dai suoi satelliti.
Un Paese post-storico
Prova di questa realtà inconfutabile è che solo le costituzioni dei Paesi usciti sconfitti dal secondo conflitto mondiale parlano di esplicite cessioni di sovranità a favore di organismi internazionali (cfr. Mario Losano, “Le tre costituzioni pacifiste”, 2020).
Un caso come quello “Al-Masri” sarebbe quasi impensabile in un altro Paese, con più solida interpretazione di quello che è l’interesse nazionale. Purtroppo l’Italia è un Paese post-storico abitato, come ricordava Montanelli, solo da “contemporanei”, cioè persone senza memoria e destino.
Solo un Paese post-storico, con scarso rispetto dei propri destini può evocare sempre le istituzioni internazionali come panacea di tutti i mali. Questo altro non è che una fuga dalla responsabilità. Se errore vi fu, da parte dell’autorità di governo, fu quello di non mettere immediatamente il segreto di Stato.
Senza entrare nel merito di elementi da “azzeccagarbugli”, tanto cari alla magistratura italiana, bigotta nelle sue prospettive storiche, è chiaro a tutti che è meglio liberarsi, quanto prima, di certi “criminali”, piuttosto che dargli la possibilità di “parlare”, mettendo a repentaglio accordi, sicuramente sommersi, che – in fondo – hanno limitato l’ondata di migranti dall’Africa.
Non sarà forse “cristiano”, ma il governante risponde solo all’interesse del soggetto che governa e non alla morale, che resta un fatto privato. Ricordiamoci che Machiavelli sosteneva che la violenza, la crudeltà, la menzogna e la simulazione possono essere strumenti necessari per un governante che deve navigare la complessa natura umana e proteggere gli interessi dello Stato.
La crisi di Sigonella
È certo, però, che l’Italia repubblicana non è sempre stata così. Nel 1985 il presidente del Consiglio Bettino Craxi (sì, quello del lancio delle monetine) fece muso duro alle richieste di Ronald Reagan, non propriamente uno qualunque, e consentì che un terrorista palestinese, colpevole – su territorio italiano – dell’assassinio di un cittadino americano ebreo e paraplegico, potesse sfilarsi dalle mani della Delta Force, tornando dai suoi sodali.
Fu un “indecente” accordo con il mondo arabo, ed una offesa ad un alleato storico? Assolutamente sì! È anche vero che da allora, unico Paese europeo occidentale, l’Italia non è stata vittima di attentati terroristici di matrice arabo-islamica. Forse sarà un caso, ma la realpolitik di Craxi, non può non essere portata a modello.
Moralismo d’accatto
Ha ragione Bruno Vespa, con o senza candidatura per FdI: la storia del mondo è lastricata di “cose sporchissime” e non vi è speranza alcuna che questo possa cambiare; però le anime belle che albergano nei palazzi del potere romano, pensano che l’unico senso dell’azione politica è sbandierare il loro moralismo d’accatto.
Ahi serva Italia, di dolore ostello / nave senza nocchiere in gran tempesta / non donna di provincie, ma bordello!