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Dall’asse Meloni-Salvini dipenderà la stabilità del governo (e la sua efficacia)

Il rapporto tra i due leader sarà fondamentale, dovrà essere equilibrato e di reciproca soddisfazione. Il primo bivio: Salvini al Viminale o no? Un “defining moment”

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Giorgia Meloni e Matteo Salvini, due personalità diverse, a tratti conflittuali, si ritrovano per la prima volta insieme al governo, a pochi giorni dall’inizio di un cammino politico che loro stessi prevedono lungo e proficuo.

Radici diverse, percorsi simili

Molto diverse le radici culturali, ma definite da un percorso se non comune, simile. Entrambi hanno portato il proprio partito ad ottenere un notevole risultato politico, la Lega nel 2018, Fratelli d’Italia nel 2022, ed entrambi l’hanno fatto partendo dal basso.

Salvini ha ereditato un partito in crisi d’identità ed è riuscito, in poco tempo, a intercettare i sentimenti del Paese e trasformarli in consenso elettorale.

Meloni, dal canto suo, dopo l’ultimo governo Berlusconi, che è anche quello caratterizzato dal terremoto a destra, è l’unica degli ex Alleanza nazionale rimasta “senza casa” ad aver costruito il proprio elettorato da zero, ad aver guidato il suo partito dall’1,96 per cento al debutto, nelle politiche 2013, al 26 per cento delle ultime elezioni.

Cinque anni, quelli che vanno dal 2018 al voto di quest’anno, e i ruoli dei due aspiranti premier si sono completamente ribaltati. Come se fossero legati da un fil rouge.

Mentre la Lega brillava alle elezioni politiche del 2018, Fratelli d’Italia cercava disperatamente di espandere il proprio consenso. Mentre Salvini riconfermava Sergio Mattarella per un secondo mandato al Quirinale, Meloni spingeva per esprimere un candidato di centrodestra. Mentre Fratelli d’Italia si sedeva sugli scranni dell’opposizione al governo Draghi, la Lega aderiva convintamente al governo di unità nazionale.

Quando uno cade, l’altra sale e viceversa. Come alle ultime elezioni, quando il lavoro di Meloni è stato ripagato dal risultato elettorale, mentre Salvini si è dovuto leccare le ferite.

L’asse Meloni-Salvini

Cercando ora di guardare al futuro, il primo vero banco di prova del governo Meloni, dal punto di vista della solidità interna della maggioranza, sarà proprio il rapporto tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Non ovviamente l’aspetto puramente interpersonale, ma l’equilibrio politico che si verrà a delineare tra i leader dei rispettivi partiti. Se davvero il governo di centrodestra vuole rimanere coeso e durare l’intera legislatura, come più volte auspicato dagli stessi protagonisti, “l’asse Meloni-Salvini” sarà fondamentale: dovrà rimanere stabile e di reciproca soddisfazione.

Compromessi al ribasso, scontri personali, eccessi di protagonismo e rapporti di forza troppo sbilanciati, sarebbero controproducenti e, soprattutto, offrirebbero agli avversari insperate occasioni per mettere in difficoltà il governo.

La solidità di questo “asse” è anche conditio sine qua non di una rapida ed efficace attuazione delle politiche del governo.

In gioco ci sono le promesse fatte agli elettori. La riforma costituzionale in senso presidenziale, la revisione del Pnrr e la “messa a terra” dei finanziamenti, la riforma fiscale, così come l’approccio internazionale ed europeo, insomma l’intero programma politico unitario del centrodestra.

Primo bivio

Ed è partendo da questo presupposto che la prima scelta delicata che Giorgia Meloni si trova a dover compiere, per consolidare l’asse personale con il leader del Carroccio, riguarda proprio il ruolo di Salvini nella compagine di governo.

La situazione geopolitica è tale da ritenere che gli occhi delle cancellerie europee e dell’amministrazione Usa saranno puntati verso alcuni ministeri cardine: il Ministero dell’interno, dopo quelli di Affari esteri, Economia e Difesa, sarà certamente tra i sorvegliati speciali. La leader di Fratelli d’Italia si trova quindi davanti ad un bivio: Salvini al Viminale o no?

Non affidare il Ministero dell’Interno al leader leghista, o addirittura affidarlo ad una figura esterna alla Lega, potrebbe rappresentare l’ennesima scelta di “moderazione”, volta a tranquillizzare le cancellerie europee e stabilizzare il rapporto con l’amministrazione Usa.

Una decisione dettata dalla gravità della situazione energetica, economica a finanziaria del nostro Paese e, a ben vedere, coerente con la linea comunicativa adottata da Giorgia Meloni nelle ultime settimane.

Una decisione che tuttavia potrebbe sollevare critiche e perplessità all’interno del centrodestra. Come giustificarla ai propri elettori? Con tutti i difetti del caso, nella sua breve permanenza al Viminale Salvini è riuscito a ridurre notevolmente, fino quasi ad azzerarlo, il flusso di migranti illegali. E allora, se la linea comune è arginare l’immigrazione incontrollata, perché non affidargli di nuovo il Viminale?

La Meloni verrebbe accusata di essersi piegata ai veti di Bruxelles e del Quirinale, addirittura al volere della magistratura, in grado tramite le sue discutibili azioni penali di “bruciare” ministri.

Al contrario, riportare Salvini al Viminale significherebbe partire col piede sbagliato con Bruxelles e, forse, anche con l’amministrazione Biden. In questo caso, ad esporsi sarebbe il presidente Mattarella, costretto a brandire esplicitamente il caso Open Arms per sbarrare la strada a Salvini.

Le decisioni della premier in pectore saranno note a breve, ma una cosa è certa: dovrà fare una scelta che caratterizzerà il suo governo.

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