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Il Cav ha tradito la rivoluzione liberale? I Veri Liberali hanno fatto peggio

Dal ’94 ad oggi, hanno frequentato solo compagni di strada di sinistra. E ora nessuno di loro è titolato a dare lezioni agli ex elettori di Berlusconi

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“Quello di Berlusconi non era vero liberalismo”. Questa frase viene ripetuta dai Veri Liberali, cioè coloro che pensano di sé: “sono un liberale, ma contro Berlusconi, quindi vero”. La borghesia illuminata delle grandi città, l’aristocrazia laica e laicista, l’economista o il filosofo che è per il libero mercato, ma vuole frequentare solo i compagni di strada di sinistra, perché “a destra non c’è cultura”.

Veri Liberali nel 1994

Il Vero Liberale, nel 1994, non credeva nella rivoluzione liberale di Berlusconi. Semmai votava per Alleanza Democratica, partito a cui aderirono Miriam Mafai (una delle fondatrici de la Repubblica) e Margherita Hack (nota più per il suo ateismo militante che per la sua opera di astrofisica). E Alleanza Democratica si schierò con la “gioiosa macchina da guerra” dei post-comunisti, solo per schiantarsi.

Non era un partito sufficientemente di sinistra per attirare le simpatie del popolo di sinistra. Quando venne fondato, nell’estate del 1993, Cuore ironizzò sul primo congresso immaginandolo a bordo di una nave da crociera di lusso, con solo vip a bordo. Tra i fondatori c’era Ferdinando Adornato (“un nome un gerundio, un cognome un participio passato”) che di lì a poco avrebbe comunque avuto la meritoria idea di lanciare Liberal, la prima rivista dedicata interamente alla cultura liberale.

Ma non a caso senza la “e” finale: almeno nei primi tre anni di pubblicazioni cercava il dialogo solo con gli intellettuali di sinistra. Fu solo dal 1997 che iniziò a esplorare anche qualcosa a destra: “AAA destra cercasi”.

Veri Liberali nel 2000

Il Vero Liberale, in effetti, alla fine degli anni ’90 provò ad accettare l’idea di entrare nel centrodestra, visto che i governi Prodi, D’Alema e Amato stavano mostrando il loro volto più illiberale. Ma non accettò mai la compagnia di Berlusconi. Semmai si diceva “radicale”, quando Emma Bonino (grazie a Berlusconi) era in Commissione europea. E quando la Lista Bonino, anche promuovendo 18 referendum su giustizia, lavoro, sindacati e liberalizzazioni (più forzisti di Forza Italia), sfiorò il 10 per cento dei consensi a livello nazionale.

Ma nel 2001, quando Marco Pannella divorziò da Berlusconi, il Vero Liberale tornò immediatamente a fare il cespuglio della sinistra. Se radicale, tornò alla vecchia abitudine di parlare solo di temi etici, contro la posizione della Chiesa, a partire dalla Legge 40 sulla procreazione assistita.

Veri Liberali con Fini

Il Vero Liberale si dibatté alla ricerca di qualcosa che non fosse così a sinistra da schiacciarlo sulle posizioni di Romano Prodi, ma sempre chiaramente lontano da un Berlusconi con cui non voleva avere personalmente a che fare. E infine trovò Gianfranco Fini, quando tentò di fare lo strappo dal Popolo della Libertà. Ore e ore, giorni e giorni, mesi e mesi a parlare di una destra che non doveva essere più di destra, ma non si capiva mai cosa dovesse diventare.

Anche perché ad attorniare Fini c’erano personaggi della destra sociale, dunque la parte della destra più lontana in assoluto dalla sensibilità dei liberali. E alla sua base c’era una rete di associazioni e centri studi che non faceva altro che mutuare teorie e slogan dalla sinistra, dunque dal socialismo e dal pensiero liberal.

Veri Liberali con Monti

Il Vero Liberale credette di aver trovato in Mario Monti il suo profeta, quando fece il governo tecnico. Ma quando si diede alla politica, con il suo partito Scelta Civica. Quindi per un partito che voleva più tasse, ma era refrattario ai tagli della spesa pubblica. Voleva più Europa e meno autonomia decisionale. In sintesi: per un partito che voleva meno libertà.

Veri Liberali con Fare per perdere

Il Vero Liberale più militante optò, piuttosto, per Fare, di Oscar Giannino, con un programma finalmente liberale, in modo coerente, come quello di Forza Italia delle origini. Un progetto che fallì già alla prima prova del voto, nel 2013, non perché qualcuno lo abbia voluto distruggere, svelando il vero curriculum del suo fondatore (che non era laureato, capirai…), ma perché partì rivolgendosi al pubblico sbagliato: non ai delusi di Berlusconi, ma ai suoi nemici.

Che è una differenza sottile, ma è determinante: chi è sempre stato nemico di Berlusconi, infatti, raramente sceglie un programma liberale. Ci furono poi i “veri professori liberali” ai suoi vertici che compirono il capolavoro di prendersela con la piccola impresa, con gli evasori, con gli italiani in quanto tali. “Fate schifo, quindi votateci”, sarebbe stato lo slogan perfetto. Per perdere.

Veri Liberali con Calenda

Poi è arrivato lo tsunami rosso-bruno delle elezioni del 2018, con l’affermazione da un lato del neo-comunismo grillino e dall’altro del neo-nazionalismo salviniano. E fu subito notte russa. Ora i Veri Liberali si rivolgono, forse, ancora a Carlo Calenda, ex ministro del Pd ed ex bambino prodigio il cui manifesto è un libro contro il concetto stesso di libertà individuale, contro il liberalismo classico.

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, Berlusconi ha tradito e abbandonato la rivoluzione liberale. Verissimo. Ma nessuno è titolato a dare lezioni ai suoi ex elettori. I Veri Liberali hanno fatto peggio, sempre, dal 1994 ad oggi.