Politica

Perché il sorteggio per il CSM non è solo legittimo, è sacrosanto

È la battaglia politica che investe perennemente la magistratura per la formazione del CSM ad essere stata fino adesso inammissibile; non di certo il sorteggio

Il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) è l’organo di autogoverno della magistratura (se passerà la riforma saranno due, uno per la magistratura giudicante ed una per quella requirente). Per i giudici/magistrati l’autogoverno consiste nelle valutazioni di merito, in quelle disciplinari, nelle decisioni sulle istanze di trasferimento di sede.

Si definisce autogoverno ma in realtà si tratta di un organo che giudica gli appartenenti all’Ordine sulla base di specifiche regole predefinite (almeno così dovrebbe essere). Se così è, allora, consentire le candidature dei giudici per gli incarichi al CSM (non solo dei giudici ma anche della componente non togata) significa, in ultima analisi, consentire la scelta di soggetti che propongono differenti indirizzi politici giudiziari. E questo non dovrebbe essere ammissibile.

Il problema dell’indirizzo politico

Proviamo a spiegarlo meglio. Chi si candida per essere scelto deve proporre un programma, un percorso, un indirizzo politico, appunto, che si differenza da quello dei suoi concorrenti.

Ma i giudici non devono per nessuna ragione essere portatori di indirizzi politici, di nessun genere; innanzitutto di carattere politico, in senso lato, e nemmeno per ciò che riguarda le scelte disciplinari o i criteri di giudizio per l’avanzamento di carriere.

La candidatura, per definizione, comporta un confronto di idee su programmi, su indirizzi politici. E questo, ripeto, con riguardo ad un’attività che deve essere esclusivamente di giudizio dei componenti dell’ordine giudiziario non è ammissibile.

Immaginate di potervi scegliere il procuratore capo o il presidente del Tribunale che un giorno potrebbe giudicarvi sulla base di un programma con il quale vi promette di interpretare la legge in un senso invece che in un altro. Personalmente sceglierei, ad esempio, il procuratore e il giudice liberale, coloro cioè che fra i molteplici significati da attribuire alla legge prometterebbero di preferire sempre il vantaggio dell’individuo a quello dello Stato o della cosiddetta collettività. Non ho amore per il tanto sbandierato interesse pubblico.

Ora, traslando l’esempio, è ammissibile che il singolo giudice scelga (come é accaduto fino ai nostri giorni) il collega da mandare al CSM sulla base di una battaglia politica, ideologica e di corrente che possa premiare alcuni e punire altri?

Il CSM non deve limitarsi a giudicare chi è più meritevole, chi deve subire una sanzione disciplinare, chi deve essere trasferito e via discorrendo? Questi provvedimenti che ho citato – e che sono prettamente giudizi e tali devono rimanere – possono essere assunti sulla base di differenti indirizzi politici, culturali, ideologici e di battaglia correntizia?

Il sorteggio

Un magistrato sorteggiato a caso, con una adeguata esperienza di servizio, non è in grado di comprendere e decidere se il suo collega ha violato le regole disciplinari? Lo stesso soggetto non è in grado di comprendere se il collega ha maturato esperienza tale da potere meritare un avanzamento o un posto di prestigio?

Perché i magistrati devono dare vita ad una battaglia politica che definisce vincitori e perdenti? Perché la promozione o la sanzione disciplinare devono dipendere anche dalla forza politica – in senso lato – che il candidato può vantare sulla base della corrente che lo sostiene e che utilizza la forza bruta dei numeri per affermarsi?

È la battaglia politica che investe perennemente la magistratura per la formazione del CSM ad essere stata fino adesso inammissibile; non di certo il sorteggio.