Politica

Premierato: così il centrodestra tradisce gli elettori e perde una grande chance

Presidenzialismo frettolosamente accantonato. Sfuma l’occasione di porre fine all’anomalia italiana (trent’anni di presidenti di sinistra). Ecco una possibile soluzione

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L’altro ieri si è tenuto un partecipatissimo convegno (70 costituzionalisti presenti) organizzato dalla rivista Federalismi.it e dall’Osservatorio sui processi di governo, in presenza del ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano.

Secondo quanto riportato da alcuni resoconti di stampa, la maggior parte dei costituzionalisti intervenuti si è schierata in favore di una riforma light della nostra forma di governo che sostanzialmente non riguardi la disciplina relativa al presidente della Repubblica, ritenendo assolutamente necessario preservare il suo ruolo di garanzia.

Le preferenze dei costituzionalisti

In definitiva, la prevalente opinione dei costituzionalisti ha espresso il suo favore per il c.d. premierato, con diverse sfumature. Vi è chi sarebbe favorevole all’elezione diretta del presidente del Consiglio (ma ciò comporterebbe che con le dimissioni del presidente del Consiglio si andrebbe necessariamente al voto, secondo il noto principio Simul stabunt Simul cadent, e questo potrebbe determinare una maggiore instabilità).

Chi invece vorrebbe introdurre la sfiducia costruttiva di matrice tedesca per stabilizzare gli esecutivi (cioè un governo può essere sfiduciato solo se c’è un’altra maggioranza, ma questo potrebbe comportare il mantenimento in vita di governi politicamente morti).

Chi invece si vorrebbe limitare alla sola indicazione nella lista del candidato premier (ma non si capisce come ciò potrebbe funzionare, perché, a meno di non prevedere una legislazione elettorale ipermaggioritaria, nessuno può garantire che la coalizione più eletta abbia i numeri per esprimere una maggioranza e in assenza di una precisa maggioranza, come noto, il ruolo di nomina del presidente della Repubblica tende ad esaltarsi).

Il presidenzialismo, in tutte le sue molteplici accezioni possibili, sembra uscito di scena.

Prima di procedere ad alcune riflessioni critiche indotte dall’esito dell’incontro, va preliminarmente evidenziato ciò che si condivide e cioè la valutazione sull’opportunità di non allargare troppo il campo della riforma, come da qualcuno suggerito, per non fare deragliare un treno che ha già un percorso da compiere molto travagliato. Quindi nessuna estensione al Titolo V o ad altre parti della Costituzione, ma un intervento limitato alla forma di governo con la finalità di stabilirne una maggiore solidità.

Sul merito della soluzione preferita non possiamo che confermare le valutazioni critiche altre volte formulate sul premierato e a cui rinviamo per non ripeterci.

Scelta politica

Però occorre aggiungere altro. Innanzitutto, è evidente l’effetto che l’incontro di ieri determina: la copertura scientifica di una decisione squisitamente politica. E difatti, la stessa Casellati ha dato risalto all’ampia maggioranza di costituzionalisti per trovare conferma della bontà del modello che lei ha già prescelto già all’indomani del suo insediamento nel dicastero.

Non sarà difficile trovare riscontri di stampa in cui sin dal primo giro di consultazioni, e forse anche prima, delle forze politiche, il ministro per le riforme istituzionali riportava una preferenza delle forze politiche per il premierato.

Siamo quindi in presenza di una scelta propriamente politica (e non c’è assolutamente nulla di male in questo: le riforme istituzionali sono la quintessenza della massima politicità), che va rafforzata dal consenso scientifico.

Ma è proprio se ci si trasferisce sul piano scientifico che si incontrano i maggiori ostacoli per la scelta del premierato, se non altro per la banale ragione che si discuta di un sistema che non esiste in “natura”, almeno nella forma dell’elezione diretta del presidente del Consiglio. Mentre i modelli presidenziali hanno ampia diffusione e lunga storia, connotando peraltro gli ordinamenti delle due esperienze che hanno dato vita al costituzionalismo: Stati Uniti e Francia.

E la volontà popolare?

Certo, è anche possibile espungere la singolarità dell’elezione diretta del presidente del Consiglio, ma a questo punto davvero si fatica a capire come le forze di maggioranza possano continuare a sostenere la tesi di volere rispettare la volontà popolare, perché l’introduzione della sfiducia costruttiva o l’indicazione nella lista del candidato premier ci manterrebbe nell’ambito della forma di governo parlamentare, seppure corretta.

A scanso di equivoci, può anche essere ritenuto sufficiente, o l’unico risultato concretamente conseguibile, ma, per l’appunto, non è ciò che era contenuto nel programma elettorale del centrodestra (che ricordiamo per l’ennesima volta parlava espressamente di elezione diretta del presidente della Repubblica).

E a tale riguardo, nulla muta il fatto che la maggior parte della comunità scientifica sia a favore di tale scelta, sia perché anche l’unanime giudizio di una comunità scientifica non conferisce maggiore veridicità ad una tesi scientifica, come ha dimostrato la storia della scienza e anche quella del diritto, sia perché, anche ammettendo che si tratti della scelta tecnicamente migliore, nessuno dei tantissimi e autorevoli costituzionalisti intervenuti potrebbe negare che le ipotesi preferite siano cosa diversa da quanto previsto nel programma elettorale dalla coalizione vincente.

Una possibile soluzione

In conclusione, si vuole indicare una possibile via di soluzione che consentirebbe di osservare contestualmente sia la promessa elettorale sia la volontà prevalente di mantenere immutato il ruolo di garanzia del capo dello Stato.

Si potrebbe modificare la sola disciplina relativa all’elezione del presidente della Repubblica e della durata del suo mandato, con l’eventuale previsione espressa di un limite di mandati, senza mutare di una virgola la sfera delle attribuzioni costituzionali.

Avremmo il rovesciamento della nota citazione letteraria, perché non cambieremmo (quasi) nulla per cambiare (quasi) tutto, poiché inevitabilmente l’elezione diretta comporterebbe la responsabilità politica del presidente della Repubblica e darebbe maggiore legittimazione democratica alle sue attribuzioni. Basti pensare al maggior rilievo della volontà presidenziale che si avrebbe nel caso di nomina del presidente del Consiglio e, su proposta di questo, dei ministri.

L’anomalia italiana

Ma soprattutto porremmo fine all’anomalia italiana degli ultimi trent’anni e ci sembra davvero singolare che il centrodestra non ne avverta il bisogno.

Infatti, come è noto, nella storia della c.d. Seconda Repubblica, abbiamo assistito ad un singolare fenomeno: il costante cambio di maggioranza politica ad ogni legislatura, principalmente tra centrosinistra e centrodestra, e la costante elezione a presidente della Repubblica di esponenti di centrosinistra.

Ciò è avvenuto per la singolare circostanza che non si è mai avuto l’elezione di un presidente della Repubblica in una legislatura con una maggioranza di centrodestra. Ed è probabile che ciò avvenga di nuovo in occasione della prossima elezione, qualora, come pare probabile, il presidente Mattarella concluderà l’intero secondo suo settennato e alle prossime elezioni politiche vi sia un cambio di maggioranza, come finora sempre avvenuto.

Interesse di tutti

Ma improvvisamente questa direzione potrebbe invertirsi qualora invece venisse meno una delle due condizioni, e cioè fosse questo Parlamento ad eleggere il prossimo capo dello Stato o la maggioranza si confermasse alle prossime elezioni politiche. In definitiva, nulla impedisce sul piano fattuale che succeda un lungo periodo in cui la circostanza si manifesti in senso contrario, con l’elezione di esponenti di centrodestra, pur in presenza di una costante alternanza di maggioranze politiche.

Ecco perché paradossalmente potrebbe davvero essere interesse di tutti avere l’elezione diretta del presidente della Repubblica poiché vi sarebbe anche una maggiore probabile alternanza anche nella massima carica repubblicana e, forse, otterremo anche l’effetto di ridurre in parte lo iato tra Costituzione formale e materiale.

Il timore è però che, alla fine, prevalgano le letture più fedeli allo spirito della citazione gattopardesca. E avremmo perduto un’altra occasione per esaltare anche sul piano istituzionale la volontà popolare, troppo spesso nella nostra storia repubblicana mortificata nella sua effettività.

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