Politica

Test per i magistrati e separazione delle carriere: perché s’hanno da fare

L’antico riflesso pavloviano per cui ogni ipotesi di riforma della giustizia del centrodestra deve essere intesa come un attacco alla magistratura

Carlo Nordio

Ci sono poche certezze nella vita. Una di queste è certamente la vibrante reazione della magistratura associata a ogni ipotesi di riforma dell’ordinamento giudiziario, soprattutto quando essa è proposta da una maggioranza di centrodestra. Sta accadendo naturalmente anche adesso con la proposta di riforma del governo Meloni, nonostante il Guardasigilli, Carlo Nordio, sia un magistrato in riposo.

Già questo elemento induce una prima riflessione, nel senso che, in verità, si può presumere sussista un pregiudizio di favore verso le istanze della magistratura da parte di chi vi ha operato con discreto successo per l’intera esperienza professionale, al punto da potere svolgere al suo termine un importante ruolo pubblico. E ciò fa apparire un po’ sopra le righe certe dichiarazioni critiche che sembrano rievocare il clima di aperta conflittualità del passato.

Oggi la situazione è obiettivamente diversa. Il leader di governo non ha alcun tipo di problema giudiziario e il suo ministro della giustizia è, appunto, un alto magistrato in riposo di chiara impronta liberale e il programma elettorale della coalizione di centrodestra espressamente indicava la “Riforma della giustizia e dell’ordinamento giudiziario: separazione delle carriere e riforma del Csm”.

Reazioni eccessive

Ciononostante il tema ha scatenato il putiferio mediatico in questi giorni, con particolare riferimento alla questione dell’introduzione di un esame psico-attitudinale nel processo concorsuale. È bene tenere a mente questa precisazione poiché delimita molto la portata della modifica proposta, limitando, giustamente, la valutazione psico-attitudinale al momento della selezione e non anche al successivo svolgimento della carriera.

Al riguardo, non si comprende molto il tono delle proteste che sembrano obiettivamente eccedere. Si è chiamata addirittura in causa la lesione del principio di separazione dei poteri alla quale si è prontamente risposto con la precisazione che tale nuova fase selettiva sarebbe integralmente svolta sotto la guida del Csm, senza cioè alcuna possibile interferenza ministeriale.

Probabilmente le reazioni polemiche sono il frutto di un antico riflesso pavloviano per cui ogni ipotesi di riforma della giustizia del centrodestra deve essere intesa come un attacco alla magistratura, anche quando le proposte avanzate sono di modesto rilievo, come, appunto, in questo caso.

Il test psico-attitudinale

Si tratta, infatti, di prevedere lo svolgimento durante il concorso di un Minnesota test per l’accertamento dell’idoneità psico-attitudinale nella convinzione, sulla quale difficilmente non si può non convenire, che non sia sufficiente il solo possesso di notevoli capacità tecniche, accertate dalle relative prove scritte e orali, per essere idonei a svolgere l’attività di magistrato, ma siano necessarie anche determinate attitudini.

Per avere un’idea di ciò di cui si sta discutendo, si tenga conto che il test citato è abitualmente somministrato ai vari concorsi per il reclutamento nelle Forze Armate e nei corpi di Polizia e serve principalmente a valutare queste aree:

  • Stabilità emotiva: il test cerca di identificare candidati che abbiano una buona gestione delle emozioni e la capacità di affrontare lo stress in situazioni ad alta pressione.
  • Affidabilità: Gli esaminatori cercano di individuare candidati che siano onesti e affidabili, in grado di rispettare le leggi e le regole.
  • Adeguata capacità di giudizio: È essenziale che i candidati siano in grado di prendere decisioni ponderate e basate sulla logica, specialmente in situazioni critiche.
  • Comportamento sociale: La capacità di interagire in modo efficace con i colleghi e il pubblico è valutata per garantire che i candidati siano adatti a ruoli che richiedono una comunicazione efficace.
  • Resistenza allo stress: Il test cerca individuare candidati che possono gestire lo stress in modo efficace e rimanere calmi sotto pressione.

Credo che nessuno oserebbe sostenere che un magistrato non debba possedere tali attitudini. Se così è occorre essere conseguenti, poiché non esiste nessun altro strumento per accertarle che non quello di una somministrazione di uno specifico test di comprovata validità internazionale, come è, appunto, il Minnesota test.

Peraltro, come spesso accade, il nostro dibattito pubblico si colora di un eccesso ideologico che fa perdere di vista la consistenza pratica dell’argomento. Infatti, chiunque abbia un minimo di confidenza con le procedure concorsuali militari sa benissimo che i candidati possono esercitarsi perché il test non è segreto e ci si può esercitare per prepararsi a superarlo.

Ciò varrebbe principalmente per i concorsi in magistratura in considerazione del fatto che la quasi totalità dei vincitori di concorso frequentano degli specifici corsi di preparazione, talvolta anche per diversi anni. Non è dunque difficile immaginare, banalmente, l’introduzione nei molti corsi di preparazione al concorso in magistratura di lezioni sul test e una sua simulazione.

In definitiva, si ha la sensazione che intorno alla questione dell’esame psico-attitudinale in fase concorsuale si faccia molto rumore per nulla. E non sarebbe certo una novità per il nostro dibattito pubblico.

La separazione delle carriere

Il secondo elemento, la separazione delle carriere, è invece molto più significativo e importante, poiché secondo le parole del ministro “la separazione delle carriere è consustanziale a una riforma, forse ancora più importante, del Consiglio superiore della magistratura per l’ovvia ragione che una separazione delle carriere comporta due Consigli superiori della magistratura separati sulla cui formazione e sul criterio di elezione ci sarà un dibattito successivo”.

La problematica della separazione delle carriere non è certo una novità e sul punto esiste una notevole letteratura processuale, costituzionale e politica. L’elemento di novità di questa specifica proposta è il suo autore. Tante volte abbiamo sentito echeggiare nel dibattito politico il monito einaudiano “conoscere per deliberare”. Si dà il caso che stavolta ci sia qualcuno a via Arenula che concretamente sa di ciò di cui si parla e di ciò che la separazione delle carriere potrebbe comportare sul piano processuale, ma anche, e forse soprattutto, su quello più generale dell’assetto istituzionale dell’ordine giudiziario e dei suoi rapporti con gli altri poteri dello Stato.

A noi piace pensare che sia opportuno un ritorno alle antiche origini del costituzionalismo liberale con una declinazione istituzionale del principio di separazione dei poteri secondo la quale anche il potere giudiziario conosca una sua articolazione per ridurne l’influenza sugli altri che, in concreto, spesso si è trovato ad esercitare.

D’altronde, crediamo sia innegabile che da qualche tempo si ponga un problema di equilibrio nei rapporti tra politica e giustizia e pensare di conseguirlo senza qualche modifica di sistema pare velleitario.

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