C’è del vecchio nel nuovo che avanza, a cominciare dal gonfiare il numero dei partecipanti, dai 35.000 valutati dalla Questura ai 100.000 vantati dall’organizzazione, con tanto di grido trionfale lanciato dal palco alla piazza, “obiettivo raggiunto”. Ma, soprattutto, c’è la tentazione di considerare anche questo delle sardine un movimento unitario e omogeneo, formato da giovani, tutti proiettati verso il futuro, all’insegna di valori di lealtà costituzionale e di tolleranza reciproca. Solo che questa alla prova dei fatti risulta una rappresentazione agiografica, fatta da una sinistra estenuata da una continua guerriglia interna, che l’ha privata di qualsiasi spinta valoriale, condannandola ad una tattica di mera sopravvivenza. Una sinistra, questa, con una duplice sensazione elettorale: la speranza di essere supportata dal movimento delle sardine; ma, al tempo stesso, con la paura di esserne svuotata una volta che il movimento diventasse partito, con una sua lista concorrente.
Dalle piazze esce una composizione eterogenea delle sardine, assai varia per età e per esperienza di vita. Certo ci sono i “convinti”, giovani, sui venti/trent’anni, che vivono il loro noviziato movimentista, uscendo dall’isolamento del vissuto quotidiano, per ritrovare la loro identità in una folla accomunata da un anti-Salvini ossessivo, poco o niente occultato sotto il richiamo di canzoni e parole d’ordine già in auge nel dopo Seconda Guerra Mondiale, cantano “Bella ciao” e protestano contro “il fascismo alle porte”. Ma non ci sono solo loro; ci sono anche i “nostalgici”, più o meno stagionati negli anni, che rivivono ricordi ingialliti di militanza e mobilitazione, come primi amori ormai lontani nei tempi; i “disillusi”, che non si riconoscono più nel Pd e 5 Stelle, perché hanno tradito le loro radici; gli “utopisti”, che sono sempre nella fervida attesa di un mondo migliore; i “protestatari”, che partecipano abitualmente a manifestazioni contro-corrente; i “turisti”, che vengono per vedere uno spettacolo pubblicizzato.
Solo Salvini, perché non anche la Meloni, che certo la mette giù più pesante, con una crescita continua nei sondaggi, forse perché è una donna, intoccabile per il politically correct, che sembra essere il linguaggio d’obbligo adottato dalle sardine, se pure a stretto senso unico. Di fatto Salvini è e rimane a tutt’oggi il leader indiscusso di una maggioranza di centrodestra, che non solo riempie le piazze, ma risulta prima nei sondaggi. Ecco, qui mi sembra essere il punto, i “convinti” sono giovani che protestano contro questa “maggioranza silenziosa”, che sembra composta dalle legioni dei loro padri e madri, chiuse nel recinto delle famiglie consuetudinarie, use a vecchie tradizioni, senza peraltro coltivarle coerentemente, ripetitive e noiose nella gestione quotidiana, responsabili di aver preparato per i figli un futuro peggiore del loro passato.
È l’essenza stessa di ogni protesta giovanile, che si ripresenta senza alcuna regolarità, con una anima anti conformista rispetto alla realtà di una certa vulgata imperante; si propone un presente resistenziale all’insegna di una mobilitazione di massa, che insegua di piazza in piazza “l’uomo forte” di turno, all’insegna dello slogan che abbia diritto di parlare ma non di essere ascoltato, sì da accompagnarne il tour elettorale con manifestazioni, quand’anche pacifiche, destinate a oscurarlo sui mass media. L’altro ieri Craxi, ieri Berlusconi, oggi Salvini. Riecheggia il grido di Borrelli, “Resistenza, resistenza, resistenza”, che, però, aveva dalla sua non la civile protesta, ma l’armata dei procuratori, con la costante minaccia dell’azione penale, non di rado usata per mettere alla gogna una specifica parte politica.
Non c’è dietro nessuno, come ben testimonia la povertà dell’organizzazione, alimentata da una colletta di circa 11.000 euro, appena sufficiente ad attrezzare un palco ed un sistema fonico alla buona; a meno che per qualcuno intenda la prossimità di qualche organizzatore all’ambiente della sinistra, cioè poco o nulla. Semmai c’è dietro un passato elettorale molto caratterizzato, come conferma un sondaggio recente per cui il 40 per cento ha votato Pd e il 25 per cento 5 Stelle. Un passato, peraltro, che si riflette in una cultura della sinistra antica, di chiara approssimazione manichea, fra una parte buona, se pur momentaneamente traviata, ed una parte cattiva: una resurrezione della sinistra e destra, di cui lo spartiacque è dato non più dalla appartenenza di classe, ma dalla fedeltà rispetto ad una Costituzione interpretata astoricamente come figlia di una sola parte. Se pur può suonare un po’ forzato, c’è una riproduzione di quella conventio ad escludendum nei confronti del PCI, superata solo allorquando in un contesto internazionale segnato dalla fine del blocco sovietico, il partito si acclimatò definitivamente al regime democratico: allora fu contro il PCI, ora è contro il centrodestra.
L’idea di fondo ereditata dal secolo scorso è quella di una debolezza intrinseca del regime costituzionale, imputata a una parte stessa dello Stato deviata ed occulta, cui, allora, solo una sinistra “politico-sindacale” poteva far fronte con una mobilitazione diffusa, con a sua protagonista la classe operaia e a sua espressione lo sciopero generale. Certo una eredità aggiornata, cosicché, ora, unicamente una sinistra “culturale” può impedire una rottura del sistema parlamentare, con a sua protagonista principale una intera generazione di ceto medio, frustrata da una realtà vista e vissuta come imborghesita, aideologica e consumista, priva delle grandi stagioni e figure della seconda metà del secolo scorso, e a sua espressione la manifestazione pubblica diffusa e reiterata, al tempo stesso pacifica e intollerante, silenziosa e corale, neutrale sotto il simbolo delle sardine, ma univoca nelle scritte e nelle immagini con riguardo al destinatario.
Se si vuole il sentire delle sardine è chiaramente esplicitato dalle sei regole date nella recente manifestazione di Roma, che costituiscono una specie di testo di una igiene comunicativa, che, sotto l’apparenza di una rilevanza neutra, rivela chiaramente, che è stata stesa con riferimento inequivoco a Salvini. Basti rileggerla:
“Uno: pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare. Due: chiunque ricopri la carica di ministro comunichi solo nei canali istituzionali. Tre: pretendiamo trasparenza che l’uso della politica fa dei social network. Quattro: pretendiamo che il mondo dell’informazione traduca questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti. Cinque: che la violenza venga esclusa dai toni della politica. E anzi quella verbale venga equiparata a quella fisica. Sei: ripensare, anzi abrogare il decreto sicurezza”.
Non occorre spendere parole per vederci Salvini e la “bestia” come imputati alla sbarra, con a conferma il fatto che l’unico programma legislativo, riguarda l’abolizione del decreto sicurezza, con l’infantile sicumera che così venga risolta la questione immigrazione.
Con un “pretendiamo”, che sotto la forzatura dell’espressione occulta una certa debolezza, si vuole mettere in “sicurezza” la rete, con l’implicitamente auspicato arricchimento del codice penale secondo il più tipico indirizzo giustizialista, tanto da giungere a far equivalere la violenza verbale a quella fisica. Ma il bello, o meglio il brutto, è che l’avvento di internet è stato una grande conquista della democrazia, di cui anche le sardine si sono largamente avvalse, sulla scia dei 5 Stelle; d’altronde ogni qualvolta si vuol mettere la camicia di forza alla stampa, ieri, e alla rete, oggi, al di là di una legge penale rispettosa della libertà costituzionale di libera espressione, si rischia di dar luogo ad una pesante censura discriminatoria. Per ora tutto qui, in attesa di quel “domani inizia la fase due”, maturato nella stessa chiave simbolica della scelta dell’etichetta “Sardine”, con l’assemblea degli organizzatori tenuta nel salone di un edificio occupato, non per nulla balzato ai favori delle cronache per l’intervento salvifico di un cardinale elettricista. Per ora questa fase sembra consistere in una semplice, se pur, significativa, messa a punto dell’organizzazione per render la protesta diffusa al di là delle piazze dei centri urbani grandi e medi, con una presenza periferica più articolata sempre all’inseguimento del segretario della Lega. Ma cosa andranno a fare le “sardine” nelle periferie, nei medi e piccoli centri, nei borghi di campagna e di montagna: politica “passiva”, nella forma di una simbolica presenza a mo’ di una lezione di educazione civica, vissuta inevitabilmente dai destinatari come una manifestazione di arroganza; politica “attiva” che riesca a interpretarne la sensazione di marginalità e frustrazione? Se quest’ultima risulta essere la strada obbligata, allora non basterà recitare la parte di gente che vien dalla città a convertire gli “indigeni” dei quartieri periferici e dell’entroterra, agitando a guisa di croce il simbolo delle sardine contro quel diavolo di Salvini. Non parole di bon ton, ma proposte, ma se queste ultime sono tutt’uno con quelle della sinistra di Governo, a Roma come a Bologna, allora non c’è che augurare alle sardine “buona fortuna”.