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Tra cene, psichiatri e interviste al vetriolo il Partito democratico sta scomparendo

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Di questo passo l’estinzione non sembra lontana. I problemi che attanagliano i Dem sono tanti e non nascono certo dalle elezioni del 4 marzo, che possono essere considerate il culmine di una crisi di lungo periodo. Perché la questione è sempre quella dell’identità. Identità che mancava al Pci-Pds dopo la svolta della Bolognina, identità che è sempre mancata al Pd che non ha saputo sciogliere coerentemente le componenti che ha tentato di fondere: quella comunista e quella democristiana.

La situazione odierna non è tanto diversa rispetto a quella del post 1989. Oggi come allora mancano valori di riferimento, ideali e chiarezza strategica. Se dopo la caduta del Muro di Berlino Occhetto cercò di riverniciare il partito con una spruzzata di ecologismo, ambientalismo e terzomondismo (ignorando il rapporto cruciale tra capitale e lavoro), oggi il Pd cerca di sopravvivere alla crisi dell’europeismo di cui si era fatto prono cantore. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: un partito senza alcun orizzonte ideale, senza un programma e senza un’idea di futuro.

Occhetto, a differenza dell’odierno Partito democratico, aveva avuto due vie di fuga praticabili: il giustizialismo di Mani Pulite, e l’antiberlusconismo militante. L’unica ancora di salvataggio per il Pd, invece, pare Macron, che però sta crollando nei sondaggi trascinando i Dem verso un vicolo cieco.

Il Pds, per evitare le numerose contraddizioni sorte dopo il crollo del marxismo-leninismo, si era affidato al Pool di Milano. Era diventato il partito delle procure. La crociata dell’onestà, grazie ad un moralismo esasperato, aveva fatto dimenticare un passato piuttosto scomodo.

Il nodo, però, era venuto subito al pettine con la sconfitta elettorale del 1994. E da qui, altra importante scappatoia, era sorta la fruttuosa crociata dell’antiberlusconismo. La demonizzazione del Cavaliere come nuovo massimalismo.

Anche questo tentativo non portò gli effetti sperati. La sinistra governò per sette anni (dal 1996 al 2001 e dal 2006 al 2008), ma sempre lacerata da lotte intestine e soprattutto succube di Berlusconi. Questo ventennio (1994-2011) fu dunque dominato dal bipolarismo incentrato sullo scontro tra berlusconismo e antiberlusconismo.

Solo nel 2013 la classe dirigente del Pd, nato nel 2007, è riuscita ad andare al potere. Ma anche in questo caso le divisioni hanno avuto la meglio. Lo scontro Renzi-Letta, ma anche le lotte tra l’ala più di sinistra e la corrente renziana, hanno limitato l’operato degli esecutivi della legislatura post Monti. Un europeismo acritico troppo piegato agli ordini degli organismi continentali ha fatto il resto.

Non a caso tra il 4 dicembre 2016 e il 4 marzo 2018 gli elettori hanno brutalmente bocciato il Pd, che ora si trova alle corde. Senza un progetto, diviso in correnti superbellicose e senza un leader. Come potrà affrontare le Europee del 2019? Con quale programma si presenterà agli elettori? Come tornerà a parlare al popolo? Tante domande che oggi appaiono senza risposta. E pensare che questo fu il partito di integrazione di massa più importante del Novecento. Chissà cosa direbbero Gramsci e Togliatti…

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