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Corsa al Colle: Draghi dall’inizio, Mattarella per sbloccare lo stallo, ma occhio a Berlusconi nel mezzo

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Se uno non si fosse abituato ai continui contorcimenti della informazione, a cominciare proprio da quella cosiddetta autorevole, si meraviglierebbe del fatto che dopo aver mitizzato il mandato del buon Mattarella, se ne metta in discussione proprio quello che ne costituisce l’effettivo lascito politico. Se per lui si pretende che la sua elezione di parte abbia dato vita ad una gestione imparziale, ciò non varrebbe più per il successore, che dovrebbe invece contare su una elezione al limite dell’unanimità per essere considerato super partes. Ma, a prescinderne, rimane, comunque l’attuale stato denunciato coram populo come fallimentare: un Parlamento privo di una maggioranza omogenea, anzi addirittura frammentato all’interno degli stessi gruppi parlamentari, con quel masso erratico costituito dal Misto; dominato da un solo sentimento comune, quello di sopravvivere; non che delegittimato dall’esito referendario, per cui è destinato ad essere sostituito da un consesso ridotto di un terzo.

Ne segue che l’elezione in agenda corre il rischio di essere non solo casuale ma anche congiunturale, legata drammaticamente all’oggi, sì da ridondare sulla figura dell’eletto, togliendole quella autorevolezza necessaria per esercitare una moral suasion, sempre più debordante sulla effettiva gestione governativa. Bene, che c’entrerebbe Mattarella? Se avesse tenuta ferma la decisione preannunciata di affidarsi solo ad una maggioranza omogenea, senza poi avvalersi di fatto della tesi per cui ne sarebbe bastata una qualsiasi, purché sufficiente, non avrebbe dato semaforo verde prima al governo giallo-verde poi a quello giallo-rosso; avrebbe, invece, proceduto allo scioglimento delle Camere, sì da renderle pienamente legittimate a eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Certo c’è stata poi la scelta di Draghi, dichiarata come salvifica, ma si è solo posticipata, rendendola più traumatica, la problematica relativa al ritorno alla normalità democratica, che a stare a sentire certa gente di sinistra, dovrebbe esse rinviata ancora, con una imbalsamazione del riluttante Mattarella e dell’enigmatico Draghi.

L’incertezza gonfiata a dismisura dai mass media, nonostante che la storia delle nostre elezioni presidenziali sia connotata da sorprese imprevedibili, sembra accresciuta dalla stessa pandemia, cioè dal come inciderà sui numeri dei votanti, sì da poter lasciare l’ultima parola alla fortuna: insomma il Covid potrebbe diventare il votante decisivo. A ragionare a bocce ferme, ci sono due nomi, Mattarella e Draghi, ma con una ben diversa prospettiva di riuscita: il presidente della Repubblica – che pare essersi dichiarato del tutto indisponibile ad un secondo mandato – potrebbe essere forzato a tornare in gioco solo a fronte di uno stato di stallo che si prolungasse senza alcuno sblocco in vista, con una soluzione alla Napolitano; mentre l’attuale presidente del Consiglio dei ministri – che si è mostrato non contrario  ad essere eletto – dovrebbe tornare buono per il Quirinale già all’inizio, in base ad una intesa trasversale circa la sua successione a Palazzo Chigi, tale tenere insieme l’attuale maggioranza in questo turbolento 2022, sì da evitare la fine anticipata della legislatura.

Di fatto un candidato ci sarebbe già, non ancora per essere sceso esplicitamente in campo, ma per aver dalla sua la maggioranza più prossima a quella assoluta, necessaria dalla quarta votazione in poi. E che candidato, Silvio Berlusconi che quanto a cursus honorum, lo batte soltanto Romano Prodi, ma estremamente pericoloso per il centrosinistra, lo si guardi con l’occhio rivolto al passato o al futuro: rispetto al passato, costringerebbe inevitabilmente a rivedere l’avvento della Seconda Repubblica, tramite il recupero della destra alla piena dialettica democratica attuato proprio dall’uomo di Arcore, con un sistema bipolare, se pur bipartitico, come il “fatto storico” che è riuscito ad assicurare una alternanza all’insegna di una pur critica stabilità; rispetto al futuro, rafforzerebbe la prospettiva di una vittoria a durare del centrodestra alle elezioni politiche del 2023, mettendogli in mano la gestione PNRR a tutto il 2026.

Dire che l’uomo è divisivo, è dire il vero, ma se si guarda al solo profilo politico, non lo è più dello stesso Napolitano, che per quanti avessero memoria è rimasto pesantemente nello stomaco come uno stalinista tardivamente convertito; certo il profilo privato non è esaltante, ma ormai è chiaro che molto è da ricondurre ad una autentica persecuzione giudiziaria gestita da quella Procura di Milano finita al centro degli scandali giudiziari. Qui, peraltro, non interessa disquisire sulla sua legittimazione morale, che è stata messa in discussione pur con riguardo alla sua attuale compagna, che, con quasi cinquanta anni di differenza, diventerebbe la prima signora d’Italia; casomai verrebbe da suggerire una maggiore moderazione nella campagna diffamatoria condotta a tutta forza, con prospettive terribili circa gli ingorghi ai valichi dell’intelligenza di sinistra in fuga e i conflitti civili, perché la elezione di Berlusconi non è probabile, ma pur sempre possibile, certo non impedita o anche solo ostacolata dalla raccolta di firme da parte del Fatto Quotidiano.

Dunque, l’unico candidato che abbia dalla sua in partenza un numero di voti non troppo lontano dalla maggioranza assoluta è Silvio Berlusconi, sì da rendere interessante cercare di capire quale potrebbe essere la sua strategia. Una volta che fosse deciso a giocare l’ultima carta della sua carriera politica, l’uomo di Arcore, potrebbe farsi votare fin dall’inizio oppure solo alla quarta votazione, certo molto dipende da quali calcoli abbia fatto sui numeri in gioco. Partire subito può ben essere un segno di forza, che se confermato da un crescendo di voti nelle prime tre votazioni a maggioranza di due terzi, potrebbe agire da massa critica capace di attirare nella quarta la maggioranza assoluta. Solo che il rischio è duplice, da un lato, che il bottino numerico risulti minore di quanto atteso o, comunque, in calando dalla prima alla terza votazione; dall’altro, viceversa, che risulti più abbondante del previsto, segnalando uno smottamento a favore specie da parte del gruppo Misto, a questo punto attivando ogni sforzo contrario del centrosinistra per farlo rientrare.

Forse, la miglior mossa sarebbe attendere, scegliendo per le prime tre votazioni l’astensione, per poi puntare su una maggioranza a sorpresa nella quarta, contando sulla percezione di una inevitabilità della scelta. Meglio l’astensione che un nome di bandiera, perché quel nome, se credibile, potrebbe ben essere votato anche dal Pd e 5 Stelle, come male minore, una volta riconosciuto che questa volta l’iniziativa spetti al centrodestra.

Certo la partita resta sempre a due, sì che bisogna anche capire che cosa farà il centrosinistra. C’è da credere che punterà su un nome che possa mettere in difficoltà lo stesso centrodestra, cercando di trovar proseliti anche al di fuori del suo stretto ambito. Potrebbe farlo alla prima votazione, oppure astenersi  o convergere su un suo nome identitario nelle prime tre, per, poi, alla quarta appoggiare un uomo come Amato o una donna come Cartabia.

Madame e monsieur fate votre jeu.

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