Cultura

Il virus woke che rischia di svuotare la morale cristiana dall’interno

Sempre più ecclesiastici “convertiti” ai valori woke. Effetti devastanti sull’etica cristiana, “mutilata” del senso di responsabilità per le conseguenze delle proprie azioni

Papa Francesco Bergoglio migranti

Uno dei principali oggetti di critica da parte della cultura woke è ovviamente la tradizione cristiana, con i suoi principi morali e la sua visione dell’essere umano, la quale da sempre, nel bene e qualche volta nel male, con tutte le sue diverse sfumature e declinazioni, ha rappresentato e tuttora rappresenta (a volte in maniere implicita ma non per questo meno importante) la colonna portante, il motore spirituale e morale della civiltà occidentale.

La critica woke al cristianesimo

L’attacco critico è innanzitutto esterno, nel senso che la cultura woke, che di per sé ha alcuni tratti tipici della religione dogmatica, cerca di coinvolgere anche la fede cristiana nella generale disapprovazione della civiltà occidentale. E così, come tutte le discipline che fanno parte della nostra cultura (dalla geografia alla storia, dall’economia alla medicina, e persino la grammatica) sono messe sotto accusa, in quanto sessiste, razziste, colonialiste e chi più ne ha più ne metta, anche la religione viene sottoposta a critiche simili, alle quali si accompagna la convinzione sempre più spinta che il cristianesimo, lungi dall’essere una via di collegamento con la verità trascendente del divino, e comunque una guida importante nella vita individuale e sociale, è solo un’opinione come tante, la cui affidabilità, la cui credibilità deve essere semmai valutata alla luce dei principi, quelli sì indiscutibili, della cultura politicamente ed eticamente corretta.

Questa sorta di pressione culturale sulle chiese cristiane non solo ha portato molti ad approfondire ancora di più il distacco dalla pratica religiosa (uso questo termine nel senso più ampio possibile del termine, volendo comprendere in esso sia la frequenza alle funzioni liturgiche quanto la lettura della Bibbia o l’abitudine a dialogare su argomenti cristiani) già iniziato nel decenni precedenti (soprattutto in Europa).

Trasformazione dall’interno

Un effetto altrettanto importante è stata la crescente conversione di molti esponenti ecclesiastici, anche di alto livello, delle diverse confessioni cristiane alla condivisone di gran parte dei valori woke, conversione a volte determinata dalla volontà di dialogare meglio con il mondo di oggi, altre volte causata dal desiderio di far conoscere i valori cristiani anche a chi tende a rifiutarli, altre volte ancora provocata da meno nobili motivi, oppure da un forte coinvolgimento ideologico.

Non si tratta solo di un attacco alle tradizioni cristiane, peraltro molto diverse nelle diverse confessioni e da Paese a Paese anche nel solo ambito occidentale. Ciò a cui sembra tendere la trasformazione dall’interno del cristianesimo in senso woke è molto più grave: nell’allinearsi ai dogmi della cultura politicamente corretta c’è il rischio che entrino in crisi da un lato i principi fondamentali dell’etica cristiana (validi da duemila anni, nonostante i profondi cambiamenti in tema di morale che si sono verificati nell’ambito delle varie chiese) e dall’altro la visione dell’essere umano in relazione a Dio e quindi ai suoi simili, anch’essa rimasta costante attraverso tutti i mutamenti dogmatici, spesso in conflitto tra loro, che si sono avuti nei due millenni della nostra era.

Le due parti dell’etica cristiana

Vediamo di spiegarci. Da sempre l’etica cristiana e sulla sua scia l’etica occidentale si compone di due parti che sono state perfettamente illustrate a livello teorico dal sociologo e filosofo tedesco Max Weber (1864 – 1920): l’etica dei principi e l’etica della responsabilità, la prima rivolta a cercare di realizzare le finalità ideali, la seconda ad ottenere risultati concreti. In effetti, le due parti dell’etica (e in questo non credo di discostarmi troppo dal pensiero di Weber), nonostante siano inevitabilmente in conflitto tra loro, non possono mai essere del tutto separate, anche se una può prevalere sull’altra.

Mentre nell’etica politica pur prevalendo la responsabilità per le conseguenze di una decisione non può mancare un legame della stessa con dei valori ideali, in quella religiosa (e in particolare nell’etica cristiana) pur essendo essa principalmente basata sui principi (spesso sui principi più alti e addirittura trascendenti) non si può fare a meno di tenere conto delle conseguenze delle proprie azioni e delle proprie affermazioni, perché anche le migliori intenzioni finiscono per annullare sé stesse quando portano a creare danni ingiusti a spese del prossimo (e volte anche a spese di chi agisce).

Insomma, la morale cristiana (come detto pur con tutte le variazione che ha avuto in duemila anni) è sempre stata basata principalmente su un’etica delle buone intenzioni, ma che si assume le responsabilità delle conseguenze concrete delle azioni messe in atto.

Effetti devastanti della cultura woke

La cultura woke, che è invece basata com’è noto sulla critica ad ogni concetto di realtà oggettiva (in quanto ritenuto espressione della cultura dell’oppressione verso chi a tale realtà non si adegua) e che esalta invece il rispetto del punto di vista soggettivo (in particolare quello critico di ogni tradizione, in particolare di quelle occidentali), nel momento in cui si inserisce nella cultura cristiana (con le modalità che abbiamo descritto) in sostanza spezza il legame tra le buone intenzioni e la responsabilità della conseguenze, e nel mentre assolutizza le prime, finisce per ignorare totalmente le seconde.

Gli effetti sono potenzialmente devastanti: un chiaro esempio si ha nelle posizioni sul tema dell’immigrazione illegale fatte proprie da molti ecclesiastici (per fortuna non da tutti) delle varie confessioni, posizioni di sostegno incondizionato e in molti casi quasi “militante” all’immigrazione stessa in nome della “accoglienza”, termine pressoché divinizzato, nonché nelle parole quasi di “anatema” rivolte da molti (non ultimo lo stesso Papa Francesco) verso chi invece è favorevole a respingere e a riportare in patria i clandestini.

Con tutto il rispetto per chi si riconosce in quelle posizioni, esse sono a mio parere espressione di una morale in un certo senso “mutilata”, in quanto privata della parte, forse secondaria ma non per questo meno necessaria, che riguarda le conseguenze delle proprie azioni, quella che con Weber abbiamo chiamato l’etica della responsabilità.

L’etica della responsabilità

Se è vero infatti che la morale cristiana è innanzitutto basata su un’etica dei principi, che nei secoli ha portato molti a inseguire e spesso a realizzare, talora con sacrificio personale, i più alti ideali umani religiosi e civili, è anche vero che la stessa è sempre stata accompagnata (salvi i periodi in cui l’ideologia di potere si è impadronita delle chiese) dal senso di responsabilità per le conseguenze delle proprie decisioni.

Già nei Vangeli questo è chiaramente presente, ad esempio in quella che è considerata per antonomasia la parabola dedicata al soccorso delle persone in difficoltà, quella del Buon samaritano (Vangelo di Luca, cap. 10, vers. 25-37), nella quale il protagonista del racconto non si limita a soccorrere l’uomo ferito, ma si preoccupa di alloggiarlo a proprie spese prendendosi la responsabilità in prima persona delle proprie azioni, senza scaricare le conseguenze delle stesse sugli altri o sulla società.

Del resto che l’accoglienza e l’ospitalità per gli stranieri siano un valore importante, ma non assoluto, un valore da misurare in base agli effetti provocati dalla stessa, risulta già dal comportamento delle prime comunità cristiane, quale è ad esempio descritto in un importante testo (il più antico che parli della vita sociale dei primi cristiani) chiamato Didaché o Insegnamento dei dodici apostoli, in realtà uno scritto di autore ignoto, risalente fine del I o all’inizio del II secolo, da sempre conosciuto, ma ritrovato nella sua interezza solo nell’Ottocento, e ora compreso tra i testi dei cosiddetti “Padri apostolici”.

Nella Didaché vengono descritte la vita e le regole liturgiche, morali e sociali di una comunità cristiana, probabilmente situata in Siria, e nello stabilire i criteri riguardanti l’ospitalità si prevede il limite di tre giorni per gli stranieri in genere (cap. 12), e addirittura quello di due per gli “apostoli”, cioè per i predicatori cristiani itineranti che annunciavano il Vangelo (cap. 11). Questo per non incoraggiare abusi da parte degli ospitati che avrebbero danneggiato la comunità e snaturato il senso della morale cristiana, che anche in questo caso dimostra di essere basata su principi etici che uniscono le buone intenzioni alla responsabilità.

Molte volte e in maniera chiara sono stati illustrati su Atlantico Quotidiano, in particolare negli articoli di Anna Bono, gli effetti negativi umani, sociali e politici di una accoglienza generalizzata e incondizionata degli immigrati illegali: qui vorrei solo sottolineare le conseguenze altrettanto negative sia dal punto di vista morale che da quello della stessa visione dell’essere umano di un’etica cristiana che, seguendo i dogmi della cultura woke, voglia basarsi sulla sola intenzione trascurando gli effetti prevedibili delle proprie azioni.

L’etica della pura intenzione

In effetti, un’etica della pura intenzione non è adatta agli uomini, i quali sono inevitabilmente legati ad una realtà naturale e sociale che non riescono a dominare a piacimento: possiamo credere che solo l’Essere divino, essendo onnipotente, possa agire liberamente secondo le sue intenzioni. Il pretendere da parte degli esseri umani di non tenere conto della realtà in cui agiscono, in fondo coincide con l’antica pretesa di “essere come Dio”, che il libro della Genesi (capitolo 3, vers.5) descrive come il peccato originale, una pretesa non del tutto estranea alla cultura woke, che rischia di svuotare la morale cristiana dall’interno.

Non del tutto a torto è diventata proverbiale una frase che pare risalga a San Bernardo da Chiaravalle (1090 – 1153), secondo cui “la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”, ovviamente staccate da ogni considerazione basata sull’etica della responsabilità. Le conseguenze di un’etica di questo genere sono infatti decisamente criticabili da vari punti di vista.

Tre vittime

Innanzitutto, in forza di essa si giustifica in maniera totalmente acritica qualunque atto, anche se illegale, basato sui principi dell’accoglienza (ma talora le intenzioni non sono così limpide), compreso persino l’uso della forza (si pensi al famoso “speronamento” di qualche anno fa), e questo finisce per coprire senza nemmeno prenderli in considerazione errori ed azioni fonti di gravi danni umani e sociali sia per i cittadini italiani che per gli immigrati.

In secondo luogo (altra influenza della cultura manichea tipica del pensiero woke), la stessa morale che “santifica” i favorevoli all’immigrazione incontrollata, “demonizza” i contrari, i quali con tutto il rispetto per chi sostiene tali idee, non sono degli hostes humani generis, dei nemici del genere umano, e nemmeno dei cattivi cristiani, ma solo delle persone che all’etica delle intenzioni scelgono di affiancare quella della responsabilità, e che ritengono che in questa materia le conseguenze negative dell’immigrazione illegale finiscono per vanificare i migliori ideali richiamati a favore della stessa.

Infine, la vittima forse più importante è la stessa morale cristiana, che rischia di appiattirsi sui principi della cultura woke (già oggi, spesso molte omelie di ecclesiastici non si distinguono dai comizi degli attivisti politicamente corretti) legandosi a principi morali tanto astratti dalla realtà concreta quanto capaci in pratica di rendere la stessa realtà meno giusta e meno vivibile per tutti.

Forse proprio una serena rimeditazione della morale cristiana e dei suoi due aspetti, l’etica dei principi e quella della responsabilità può essere la via per impostare un dialogo non manicheo sull’immigrazione illegale (ma il discorso è valido anche per altri temi) e per ribadire che il ruolo della morale dei cristiani (con tutte le differenze che ci possono essere tra i diversi punti di vista) mira a valori ad un tempo più alti ma meno astratti di quelli della cultura politicamente corretta ed inclusivista a tutti i costi e per affermare la speranza fiduciosa, per fortuna presente anche in molti esponenti delle diverse chiese, che non sarà la cultura woke ad affossare né la morale cristiana né la civiltà occidentale.