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Lo Stato e il monopolio della forza: in difesa del Secondo Emendamento

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Se c’è un aspetto che fa indignare ogni osservatore europeo degli Stati Uniti, questo è il Secondo Emendamento: la libertà di portare armi. La proposta di Donald Trump di permettere agli insegnanti di armarsi per difendere i loro studenti, dopo la strage nella scuola in Florida, ha sollevato il solito coro di indignazione. In Europa, soprattutto, ma anche negli Usa, dove i Liberal manifestano tutto il loro sdegno in piazza, usando il dolore dei parenti delle vittime come testimonial della loro causa. E permettendo così ai nostri giornalisti di affermare che “anche negli Usa sono contro la proposta”. Difficile, però, che l’idea di Trump sia impopolare negli Usa così come lo è da noi. Prima di tutto, perché questa è la prima generazione di studenti che entra a scuola disarmata. Fino al 1985, era normale vedere gli studenti entrare armati a scuola ed esercitarsi nei poligoni dei loro istituti. Eppure non c’erano tutte le stragi che conosciamo solo dagli anni ’90 (curiosa evoluzione: niente più armi, più stragi nelle scuole).

In realtà quel che fa più impressione, all’osservatore europeo e quel che più indigna il Liberal americano, è il rapporto fra lo Stato e la violenza. In Europa è dato per scontato che lo Stato debba essere un monopolista pressoché assoluto della violenza. Il cittadino deve essere disarmato, se si vuole preservare l’ordine e la pace. Questo concetto si è affermato circa quattro secoli fa, con i teorici dell’assolutismo monarchico. Thomas Hobbes partiva dall’assunto che lo stato di natura, la condizione pre-civile della società, fosse inevitabilmente violento. Dunque solo conferendo tutto il potere a un “leviatano”, si può ottenere l’ordine. Con la graduale trasformazione delle monarchie assolute in repubbliche, questo concetto non è cambiato: benché investito dal popolo sovrano, invece che da Dio, il potere statale è sempre assoluto in fatto di violenza. Negli Usa, i padri fondatori discendono dalla scuola opposta, quella di John Locke, padre del liberalismo: l’uomo nasce libero e tende al perseguimento della felicità assieme ai suoi simili. E’, invece, soprattutto lo Stato il peggior potenziale aggressore e quindi il suo potere deve essere contenuto. Il Secondo Emendamento venne introdotto nel 1791, all’indomani della guerra di indipendenza, condotta inizialmente da una popolazione armata, da milizie allora illegali, contro il Regno Unito. Era una popolazione che si auto-governava e difendeva i suoi diritti da un potere sovrano assolutista che violava le sue stesse leggi. Anche una volta vinta la guerra, fu sempre chiaro, nella mente dei costituenti, che il re di Inghilterra avrebbe sempre potuto “tornare a bussare alla porta”. Non solo in seguito a una nuova invasione britannica, che per altro ci fu, appena vent’anni dopo, ma anche sotto forma di una nuova tirannia autoctona.

Il Secondo Emendamento permette al cittadino di difendersi dallo Stato. Per questo viene visto come fumo negli occhi dagli europei (e dagli intellettuali europeizzanti americani): perché mette in discussione il potere dello Stato. I liberali e i socialisti europei, che discendono da tutt’altra Rivoluzione, quella Francese, condannano il Secondo Emendamento con più veemenza ancora rispetto ai conservatori: per tutti loro è un ostacolo opposto allo Stato emancipatore ed educatore da parte delle masse reazionarie. I vandeani cattolici armati che nel 1793 si opposero con le armi in pugno ai giacobini e non si lasciarono “emancipare”, a costo di finire sterminati, sono ancora dalla parte dei “cattivi”.

Negli Usa, al contrario, si tengono stretto il Secondo Emendamento ancora oggi perché c’è sempre una minoranza che non intende farsi sterminare. Dopo la Guerra Civile (1861-1865), negli Stati del Sud, pur sconfitti, i governi locali promossero leggi per disarmare i neri appena liberati dalla schiavitù e lasciarli in balia degli ex padroni bianchi. Fu il XIV Emendamento, ratificato nel 1868 per emancipare gli schiavi liberati, che estese loro anche il diritto a portare armi. Ancora alla fine dell’800, anche negli Stati del Nord vennero introdotte leggi restrittive, teoricamente neutrali sul piano razziale, ma arbitrarie e utili solo ai movimenti anti-immigrazionisti che volevano disarmare i nuovi arrivati: ebrei, italiani, polacchi e altri popoli “violenti”. In tempi più recenti, l’ex segretaria di Stato Condoleezza Rice, afro-americana e Repubblicana, è una convinta sostenitrice del Secondo Emendamento, perché nel 1963, a Birmingham, Alabama, suo padre poté contribuire alla difesa del suo quartiere da assalitori bianchi sudisti. E lo poté fare solo perché la comunità nera disponeva di armi non dichiarate: le avessero denunciate, sarebbero state probabilmente confiscate da una polizia locale collusa con gli aggressori.

I legislatori odierni, per ovvi motivi, non usano più l’argomento razziale per motivare l’introduzione di nuove leggi sul controllo delle armi. Però, nello spirito dei nuovi regolatori è ben visibile un atteggiamento classista: i cittadini comuni, “piccolo borghesi” che rispettano le leggi e vogliono difendere le loro proprietà, sono giudicati come bambini che devono essere protetti da loro stessi. Ogni episodio di violenza è buono per chiedere il loro disarmo, ma è chiaro che lo scopo finale è quello di aver cittadini disarmati e uno Stato che pensa alla loro sicurezza, al loro bene e non vuole essere disturbato.

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