Tratto dal libro dello stesso autore “Storie del mare e del cielo”
Sul finire della Seconda Guerra Mondiale, in tutto il Nord Italia si diffuse una quasi-leggenda che i meno giovani di noi hanno certamente sentito raccontare dai genitori o dai nonni. Perché la definisco una “quasi-leggenda”? La motivazione è semplice. Che una vasta parte del Nord, dal 1943 al 1945, venne sorvolata da aerei alleati, perlopiù di sera o nella prima parte della notte, non è affatto leggenda.
Sappiamo oggi che tali aerei erano appartenenti alla RAF inglese, e sappiamo di certo che spesse volte furono i bimotori Bristol Beaufighter ad essere impiegati in piuttosto stravaganti missioni solitarie. Non si trattava di specifiche missioni di bombardamento contro obiettivi d’importanza bellica, ma furono missioni di disturbo e spiccato valore psicologico contro la popolazione italiana e le forze militari già duramente messe alla prova dopo i tumultuosi e incerti giorni seguenti l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Psicosi collettiva
Se tale è l’aspetto storicamente ben documentato, ciò che rasentò la leggenda popolare furono la vera natura e gli elementi di contorno di tali missioni piuttosto atipiche, ad iniziare dalla esatta identificazione di quel grosso aereo militare che quasi ogni giorno sorvolava minacciosamente ampie zone della provincia italiana del Nord. Ben presto, come a volte avviene quando un elemento perturbatore si faccia ripetutamente vivo nella (quasi) tranquilla vita degli abitanti delle nostre campagne, gli venne dato un nomignolo: Pippo oppure Pippetto.
Nonostante il nome familiare e quasi benevolo affibbiatogli, principalmente dagli abitanti delle zone rurali, ben presto quel velivolo ostile incusse una gran paura anche nelle città, ogni volta che un aereo isolato e di notevoli dimensioni apparisse all’orizzonte e volando a quota relativamente bassa. Era Pippetto; bastava pronunziarne il nome per dar vita ad una ridda infinita di racconti e “sentito dire” che non sempre avevano solide radici nella realtà dei fatti, manifestando, al contrario, una specie di psicosi collettiva che, se quello fu lo scopo di tali missioni, certamente produsse effetti utili per il nostro nemico, quale che fosse in tutta quella gran confusione di ruoli.
Le missioni
La maggior parte delle fonti storiche, quelle più attendibili, concorda sul tipo di missione che quegli aerei, sicuramente britannici, svolsero. Decollati, di solito, in squadriglie da dodici apparecchi, i Beaufighter si separavano poco dopo il decollo, scegliendo ciascuno una rotta diversa e coprendo abbastanza capillarmente una vasta zona delle nostre regioni settentrionali. Gli aeroporti di partenza erano principalmente due: a Falconara (AN) e a Foggia.
Le dimensioni degli apparecchi, caccia pesanti utilizzati anche come caccia bombardieri, comportavano un’autonomia di oltre 2.800 chilometri, il che permise loro di raggiungere comodamente ed in poco tempo tutto il Nord Italia, pur essendo decollati dal Centro o dal Sud della nostra penisola.
Dal punto di vista strettamente tattico, si possono collocare le missioni dei “Pippetti” come azioni di disturbo e perlustrazione a bassa intensità, poiché gli obiettivi effettivamente colpiti dai “Beau” furono deliberatamente modesti. Tuttavia, l’effetto strategico fu grande, in quanto riuscirono a far sentire la costante presenza alleata anche e soprattutto nelle zone in cui la Repubblica Sociale Italiana era più forte ed ancora in armi, ostacolando la percezione che la guerra potesse essere ancora vinta in extremis dalle forze dell’Asse.
La cosa curiosa e insolita fu che tutti i testimoni dell’epoca dissero e scrissero che non si conosceva affatto la nazionalità di quell’aereo isolato che, volando lentamente a bassa quota, talvolta mitragliava o “spezzonava” qualsiasi bersaglio ritenesse opportuno colpire il suo comandante, anche in aperta campagna e contro le singole persone, se lo ritenesse opportuno. I “Pippetti”, oltretutto, portavano la livrea mimetica che, nell’oscurità delle loro missioni al crepuscolo o notturne, li rendeva ancor meno identificabili, ed è certamente realistico affermare che assai difficilmente se ne poteva scorgere le insegne della forza aerea a cui appartenevano.
Quello che davvero contava era che, qualora fosse arrivato, col ronfare quieto dei suoi due motori Hercules tenuto a basso regime di giri, “Pippetto” avrebbe sicuramente mitragliato o “spezzonato” (ossia sganciato piccole bombe incendiarie) qualunque cosa emanasse una luce.
Indubbiamente, i sorvoli quasi quotidiani dell’imprevedibile aereo del mistero, ebbero un effetto parzialmente controproducente per gli inglesi, poiché contribuirono, e non poco, a far curare particolarmente le misure di oscuramento al suolo, poiché, soprattutto la gente di campagna, ebbe la sensazione precisa che essa, pur se risparmiata dai bombardamenti compiuti da centinaia di grandi bombardieri a schiera sulle grandi città, non sarebbe stata al sicuro.
Stavolta, si trattava di un solo aereo che compariva all’improvviso anche nelle località più isolate e prive di alcun interesse militare. Arrivava senza grande fragore di motori, mitragliava o bombardava, anche con più passaggi sullo stesso obiettivo e si allontanava nel buio dell’orizzonte.
Ricordo bene come, negli anni Sessanta, tanto in campagna che nei quartieri più periferici della città, alcune case abbandonate avevano ancora i vetri delle finestre oscurati da ormai sbiaditi resti di drappi di stoffa o fogli di carta spessa che una volta furono blu notte, risalenti all’epoca dell’oscuramento generale imposto dalle autorità dopo i primi bombardamenti sul nostro Paese.
Leggende
Ovviamente all’epoca furono molteplici le ipotesi sulla provenienza e le finalità delle incursioni del “Pippetto” locale – perché tutti credevano che l’aereo fosse, sera dopo sera, sempre lo stesso. Chi diceva che era certamente tedesco, chi americano o inglese, chi addirittura pensava che fosse italiano. Ma cosa poteva cambiare, alla fine?
Si diffusero vere e proprie leggende, come chi giurava di aver potuto addirittura scorgere l’orologio da polso del pilota, tanto basso egli volava, e chi era sicuro che i piloti dei “Pippetti” fossero tutti di colore. Qualche persona particolarmente impressionabile, oltre a ben più di un malfattore, ritennero fosse addirittura possibile che il pilota – perché si parlava sempre di un unico pilota a bordo – avrebbe potuto riconoscere una specifica persona intenta a fare qualcosa di proibito, per poi mandargli a casa i partigiani oppure i “repubblichini” il giorno dopo. Dopotutto, erano già passati interi anni di guerra e di tragedie n’erano davvero successe anche troppe, per cui la fantasia popolare letteralmente si sbizzarrì nelle più improbabili ricostruzioni.
Di fatto, almeno tre di questi velivoli vennero abbattuti dalle ormai sparute batterie della contraerea della Repubblica Sociale Italiana, in Lombardia e in Piemonte, ma assai poco si sa sulle reali circostanze di tali abbattimenti.
Contro la popolazione civile
Tutta la vicenda dei “Pippetti” rimane avvolta in un’alea di mistero, anche perché, a nessuno convenne attribuirsi ufficialmente la responsabilità di tali missioni decisamente rivolte contro la popolazione civile, e quindi contrarie al dettato delle convenzioni belliche internazionali. Già negli anni Quaranta del secolo scorso vigevano, infatti, le prime norme di diritto internazionale umanitario, per cui le azioni militari compiute verso obiettivi palesemente non militari, come quella di mitragliare dal cielo un innocuo casale in campagna, per di più certamente abitato, soltanto perché da esso trapela della luce, non farebbero onore a nessuno.
Bisogna essere sinceri, su questo punto: di morti sicuramente attribuibili ad aerei solitari dalla mitragliata o dalla bomba facile, i nostri padri o nonni ne hanno conosciuti tutti almeno uno.
Per quanto mi riguarda personalmente, posso dire che mia madre, allora ventenne, mi raccontò della volta in cui, all’imbrunire di un giorno d’estate del 1944, stava pedalando verso casa con altre ragazze sue coetanee di ritorno da Acqui Terme, quando accadde che un aereo di non so quale nazionalità, ma descrittomi in modo assai simile alla sagoma e dimensioni del Beaufighter, ebbe la bella idea di mitragliare la strada proprio davanti a loro. Le ragazze si buttarono nel fosso adiacente alla strada e rimasero immobili per alcuni minuti, salvandosi così la vita.
Mira sbagliata? Una bravata oppure una sorta di scherzo inaccettabile contro tre inermi ragazze in bicicletta, una sorta di avvertimento per qualche unità “controbanda” della RSI o contro le residue forze tedesche dell’Alessandrino? Ma perché un gesto tanto stupido e crudele?