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Diritti umani in Iran, si muovono Francia, Germania e Regno Unito, ma l’Italia tace

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Tre Paesi europei – Gran Bretagna, Germania e Francia – hanno reso noto di aver deciso di convocare il locale ambasciatore iraniano per protestare ufficialmente contro il trattamento dei detenuti politici in Iran. Questi Paesi, coordinandosi tra loro, hanno protestato contro il rappresentante di Teheran dopo i recenti casi di drammatici abusi dei diritti umani da parte della Repubblica Islamica.

Londra, Berlino e Parigi non intendevano protestare solo contro la recente esecuzione del wrestler Navid Afkari, o contro la decisione di Teheran di riportare in carcere l’avvocato per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, nonostante le sue drammatiche condizioni di salute, ma anche contro la prigionia di alcuni loro cittadini in possesso di cittadinanza iraniana. Si tratta molto spesso di accademici, arrivati in Iran su invito o per vedere i famigliari, a cui Teheran offre di diventare una loro spia e che, nei casi di diniego, decide di arrestare allo scopo di estorcere denaro o la liberazione di spie iraniane arrestate in Occidente. È il caso di Nazanin Zaghari-Ratcliffe, attivista di una ong e cittadina irano-inglese, arrestata nel 2016 e ancora detenuta con l’accusa di complotto contro la sicurezza nazionale. Oppure di Kylie More-Gilbert, accademica in possesso della cittadinanza australiana e inglese, in prigione in Iran dal 2018, dopo essere arrivata nella Repubblica Islamica per una conferenza universitaria. La Gilbert oggi si trova nel carcere femminile di Qarchak, noto per le sue pessime condizioni igieniche e la sua violenza. Oppure il caso dell’antropologa Fariba Adelkhahm, in possesso sia della cittadinanza francese che di quella iraniana, arrestata nel 2019, anche lei con la scusa della sicurezza nazionale.

Il Parlamento iraniano, per parte sua, ha reagito alla convocazione degli ambasciatori iraniani condannando l’interferenza dei Paesi europei negli affari interni della Repubblica Islamica ed esprimendo il sostegno agli abusi della magistratura iraniana. Una condanna alla decisione di Francia, Germania e Gran Bretagna è arrivata anche da Ebrahim Raisi, capo della magistratura iraniana – responsabile dei massacri di centinaia di oppositori politici nel 1988 – tra i papabili a sostituire la Guida Suprema Ali Khamenei.

E l’Italia che fa? Che dice? A quanto pare nulla. Eppure Roma ne avrebbe di cose da dire a Teheran, stando almeno alle posizioni ufficiali della politica estera italiana, espresse in questi giorni all’apertura della Assemblea generale delle Nazioni Unite. Come non ricordare, infatti, che il ministro Di Maio ha partecipato ad una recente riunione dell’Onu sulla pena di morte, ricordando l’impegno italiano per una moratoria? E chi detiene il triste record di condanne a morte, in rapporto al numero della popolazione? L’Iran… Eppure il governo italiano è rimasto in silenzio, anche davanti alla recente esecuzione del wrestler Afkari (nonostante la condanna di tutta la Ue).

Come non ricordare che il 23 settembre scorso il vice ministro degli affari esteri, Marina Sereni, dichiarava che l’Italia era in prima fila nel combattere le discriminazioni LGBTI? E quale Paese ancora oggi arresta i suoi cittadini per il loro orientamento sessuale? L’Iran, ovviamente…Eppure, anche su questo, da Roma neanche una parola…

Immaginiamo la probabile giustificazione, Roma lavora “dietro le quinte”, magari con i dialoghi di Siracusa, lanciati dall’allora ministro degli affari esteri Emma Bonino, tra giuristi iraniani e italiani. Dialoghi che, dal 2013 ad oggi, non hanno prodotto nulla. Peggio, non hanno contribuito nemmeno alla liberazione di Ahmadreza Djalali, ricercatore medico arrestato in Iran nel 2016, anche lui per non aver accettato di diventare un agente del MOIS (agenzia di intelligence iraniana). Ahmadreza è stato condannato a morte e, anche se non è un cittadino italiano, la sua storia riguarda direttamente il nostro Paese. Djalali infatti ha lavorato per anni presso l’Università del Piemonte Orientale, da dove è partito il primo appello per la sua liberazione. Appello che è stato raccolto da alcuni senatori italiani e da ong come Nessuno Tocchi Caino, ma che è stato di fatto ignorato dalla diplomazia italiana.

Nel frattempo, mentre a Siracusa si discute sul nulla, Djalali in carcere ha perso oltre 30 chili e continua a rischiare di finire sul patibolo ogni giorno…

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la grande bugia verde