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Ecco perché la polarizzazione dell’elettorato gioca a favore del centrodestra

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A seguire i sondaggi che vengono presentati ogni lunedì sul telegiornale serale di La7, appare ormai chiara una costante crescita di quel che si auto battezza come centro-destra, che questa settimana si aggira intorno al 50 per cento, con una Lega al 34 per cento sì da quasi pareggiare la somma di 5Stelle e Pd. Il che conferma la costante enfatizzazione del Pd circa l’esistenza di una maggioranza “legale”, pur a fronte di una “reale” detenuta dalla “destra”, come viene etichettata sbrigativamente la coalizione Lega/Fratelli d’Italia/Forza Italia, vista e vissuta come totalmente appiattita sulla stessa Lega. Affermazione, questa, che ha fatto da supporto alla costituzione di una eterogenea alleanza parlamentare Pd/5Stelle che, ieri, avrebbe impedito, una svolta elettorale autoritaria; e che, domani, impedirebbe l’elezione di un presidente della Repubblica sovranista.

La riunificazione del centro-destra, consacrata dal bagno di folla di Piazza San Giovanni ha inevitabilmente favorito la sua crescita nei sondaggi, con una deriva verso una polarizzazione del sistema, che la coalizione di governo subisce, travagliata com’è dalla ricerca di visibilità da parte delle singole componenti. Questa polarizzazione dell’elettorato giocherà a favore del centro-destra nelle prossime elezioni regionali; e lo farà già a cominciare dalle piattaforme ritagliate a misura di quelle nazionali, ma contando in partenza una duplice rendita. C’è una quota consistente dell’elettorato che si è sentita espropriata ancora una volta della possibilità di dire una parola decisiva sulla formazione del Governo, fra l’altro con la prospettiva di esserne privata per sempre a seguito dell’approvazione di una legge elettorale proporzionale, ricalcata sulla frammentazione del centro-sinistra. Tale quota in una certa misura si rivarrà proprio nelle elezioni regionali, punendo quelli che confessano apertamente di non averli fatti votare, per paura di trovarli contrari.

La polarizzazione gioca anche in un senso non sempre valutato a dovere, anche perché i sondaggi non ce ne danno conto. Non c’è solo un voto pro, c’è anche un voto contro, motivato non dal consenso rispetto al partito che si sceglie, ma dal dissenso verso il partito che si vuole soccombente. È una lezione ben appresa dalla Dc fin dalla sua prima votazione nel 1948 e, poi, utilizzata per decenni, all’insegna della famosa frase di Montanelli, “turiamoci il naso”; ma praticata alla grande anche da Berlusconi. In un Paese tendenzialmente conservatore, dove la trilogia classica di Dio, Patria, Famiglia ha ancora una forte presa identitaria, lo si voglia o meno, la paura del comunismo si è trasformata in allergia per una sinistra che sembra trovar gusto nel negare in tutto o in parte quella scala di valori: l’elogio di uno stato laico, svuotato del suo contenuto storico, che culmina nel bando del crocifisso dalle scuole, quello stesso segno che svetta dai mille campanili e che sovrasta le tombe dei nostri padri; il dileggio di ogni sentimento nazionale, che viene tacciato di sovranismo, termine usato in senso spregiativo, come se ci potesse essere una Europa a prescindere dai popoli che la compongono, ciascuno con la sua lingua, cultura, tradizione e ampia capacità di autogoverno, come certo lo sono tutti, a cominciare proprio dai francesi e dai tedeschi; lo svuotamento della famiglia tradizionale, consacrata apertis verbis dalla Costituzione, ridotta ad una delle tante famiglie arcobaleno, con la messa in soffitta di padre e madre, a favore di una astratta indicazione di genitore n. 1 e n. 2.

Ora tutto questo viene indubbiamente enfatizzato dall’essere le consultazioni regionali all’insegna del maggioritario: o di qua o di là, con una parola definitiva alla chiusura dei seggi. Non sarà sufficiente cambiare la legge nazionale a favore di elezioni proporzionali, come d’altronde sono state di fatto anche le ultime. Bisognerebbe cambiare il popolo, intento utopico che in fondo sta sotto all’ambiguo termine populismo. Esso dovrebbe significare un appello diretto al popolo, inteso come una massa confusa e manipolabile, con esclusione delle necessarie mediazioni di una Repubblica parlamentare. Ma non risulta che questo sia nel programma della Lega, non essendo sufficiente far valere la frase di Salvini, circa la rivendica “dei pieni poteri”, evidentemente riferita alla conquista di una propria maggioranza. E, comunque, volendo, sarebbe più facile individuarlo nel programma dei 5Stelle, con la loro piattaforma Rousseau, che, fra l’altro, è una caricatura della rappresentanza diretta.

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