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Errori di analisi dei mainstream media e nuova frontiera sinistra-destra

Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Dario Dedi

Negli ultimi anni i cosiddetti media tradizionali si sono presi non poche batoste. Parliamo dei grandi giornaloni coi loro magnifici opinionisti e analisti politici che recentemente non ne hanno azzeccata una. Da Trump alla Brexit fino alle elezioni politiche italiane del 4 marzo è andata così: se la stampa simil-NY Times e Repubblica diceva una cosa, ne succedeva un’altra. Negli Usa i giornali che sostenevano la candidatura di Trump si contavano sulle dita di una mano, quelli pro Clinton si potevano contare solo col pallottoliere, eppure Donald Trump è presidente degli Stati Uniti. Tutti i giornali europei scongiuravano che dal referendum consultivo britannico sarebbe uscita la volontà di abbandonare l’UE, eppure entro il 2019 l’UK non sarà più uno stato membro. Allo stesso modo fino a prima del 4 marzo c’era chi seriamente pensava che il Partito democratico avrebbe potuto avvicinarsi ad una vittoria, eppure ne è uscito più che sconfitto. Come possiamo constatare non ci prendono neanche per sbaglio, e non ci hanno preso per niente quando hanno definito questo governo “il governo più a destra nella storia della Repubblica”.

Prima di analizzare questo giudizio bisognerebbe ribadire in modo ormai nauseante che veramente le categorie tradizionali di “destra” e “sinistra” non valgono più un fico secco. Sopratutto non significano nulla se non contestualizzate. Ai tempi dei grandi teorici del liberalismo la contraddizione si componeva tra la destra liberale, favorevole al libero mercato, e la sinistra statalista, propensa all’interventismo pubblico nell’economia. Ai tempi delle crisi delle democrazie occidentali nel ‘900 la destra era fascismo, la sinistra era comunismo militante antifascista. Oggi, invece, la destra si configura come sovranista e anticapitalista, mentre la sinistra è globalista e sostenitrice delle privatizzazioni tout court, contraddicendo la visione ottocentesca e ribaltandola. Questo excursus storico serve a far capire che definire il governo Conte come il governo più a destra della Repubblica italiana è, a prescindere dal giudizio nei suoi confronti, ridicolo.

Ma se vogliamo essere sinceri ed accettare parzialmente questo metodo di categorizzazione la verità è una: questo è il governo in parte più a sinistra della storia italiana. Almeno, per quanto riguarda il lato economico, mai nessun governo si era presentato in questo modo come difensore delle classi sociali più deboli ed emarginate. E mai nessun governo si era dichiarato apertamente tanto anticapitalista. Il motivo per cui si ritiene che questo governo sia di destra è che non è troppo attento ai diritti sociali e civili. Non nel senso che li vuole ridurre o smantellare, ma nel senso che non è la sua priorità. Ed è proprio questo elemento ad aver portato alla morte definitiva del centro-sinistra italiano. Mentre il Pd parlava di ius soli e unioni civili – che sono certo argomenti importanti ma non di primo rilievo – le aziende chiudevano, le persone erano sempre più povere e il livello di precarietà aumentava. Gli elettori hanno tenuto conto di questo, e hanno premiato due partiti che hanno lasciato momentaneamente da parte i diritti civili per dare spazio a quelli più sentiti dai cittadini, ovvero quelli economici.
Basta guardare i dati sugli elettori del 4 marzo rispettivamente ai diversi partiti per capire di che cosa si parla. Mentre Movimento 5 Stelle e Lega sono stati votati principalmente nelle periferie, il Pd si è preso i voti dei centri storici, ovvero della classe medio-alta, che di certo non rappresenta storicamente la sinistra. Insomma queste vecchie categorie non valgono più, e i risultati lo dimostrano chiaramente. Va preso atto del fatto, però, che giornali e partiti radical chic non hanno imparato la lezione. Più che criticare questo governo, dovrebbero studiarlo, e capire come mai quello che tanto criticano è un governo nato anche grazie ai voti dei loro lettori ed ex elettori.

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