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Errori ed orrori della sinistra italiana: ecco come il Pd si è scavato la fossa da solo

Maria Elena Boschi è donna di certezze: “Ma quali periferie, abbiamo perso perché non siamo stati abbastanza sui social”. Come a dire perché non abbiamo saputo vendere abbastanza fumo, non abbiamo saputo incantare i gonzi. Sicuro, dall’altra parte ci stanno i rozzi, i populisti, gli usurpatori, ma in cosa questa decaduta classe di potere sarebbe migliore? Fermi a due, tre decenni fa, incapaci di uscire da una visione da play station. Già quell’ossessivo riferirsi agli esperimenti esotici, l’Obamismo, il Macronismo, il Corbynismo, lo Tsiprasismo tradisce la consapevolezza della mediocrità, l’incapacità di trovare modelli nel proprio seno, di uscire dalla tracotanza egolatrica. Figli dell’attimo fuggente già fuggito, tragicamente impotenti ad una visione politica di insieme, di lungo respiro, in perenne ritardo rispetto ai mutamenti globali, sempre da un’altra parte rispetto a dove le cose succedono. La sondaggista Ghisleri trova che molti abbiano votato il movimento telematico di Grillo in dispetto a una nomenklatura arrogante e inconcludente, ma questa un po’ è la scoperta dell’acqua calda e un po’ suona come una rassicurazione improbabile: basta aggiustare il tiro del contropopulismo, del populismo socialista, e tutto torna a posto. In realtà, all’interno del crollo condiviso dei partiti socialdemocratici in Europa, in Occidente la frana continua del Pd, questa accolita di giovani vecchi, ha in sé qualcosa di più sconcertante, di morboso, perfino di grottesco.

Quel continuo, infantile accusare di tutto e di più Salvini, il mostro, dal crollo del ponte Morandi all’uragano Florence, quell’addebitargli faccende personali o estranee alla lotta politica, spesso senza prudenza, come i voli o le feste con la porchetta di Stato che poi si scoprono pagati di tasca propria. Lo accusano, lui in particolare, neanche Conte, di avere cancellato risorse per l’assistenza, i fondi per gli invalidi, salvo scoprire che era stato Gentiloni, al che il contenuto sparisce dai social di Martina. E sì che stanno lì, fanno lo stesso mestiere, c’erano quando maturavano certe misure, certi tagli. Ci sono twittatrici seriali, come questa Alessia Morani, che ad ogni cinguettio bruciano migliaia di voti. Ci sono consiglieri locali che tra un “restiamo umani” e l’altro scrivono di volere Salvini sulla sedia elettrica o appeso per i piedi o sognano incidenti ai figli. C’è un livello intellettuale penoso, una attitudine analitica prossima allo zero, una incapacità di ammettere i propri sbagli che è spaventosa. E si definiscono competenti, si atteggiano a raffinati. Nel vestire, nel degustare, senz’altro. Ma dai loro tipi umani, che oscillano tra l’Enrico Beruschi del “Drive in” e gli inconcludenti del “Caro Diario” morettiano, ogni pretesa di affidabilità, di personalità, è improponibile.

Ma c’è dell’altro, e di peggio. Atteso che la sinistra oscillante tra rigurgiti massimalisti e velleità riformiste ha perso ogni velleità rappresentativa del mondo operaio, e che si disinteressa completamente di quanto accade nelle fabbriche – innovazioni, mutamenti, nuove prospettive, problematiche inedite – è altrove, nell’omnium indifferenziato, che si sono avuti i provvedimenti magari meno eclatanti ma più odiosi e controproducenti. Uno si chiama, all’inglese, split payment, appena eliminato dai nuovi venuti. Tecnicamente un anticipo dell’imposizione fiscale ai fini IVA, introdotto dalla legge 190/2014 (recepita nella legge di Stabilità del 2015), esteso da Gentiloni col decreto legge 50/2017 sulle fatture emesse dai professionisti soggetti a ritenuta d’acconto. Di fatto, un meccanismo perverso che obbligava a versare in anticipo l’IVA a prescindere dall’effettivo incasso, con l’effetto di pagarla due volte in un colpo solo: quella dell’esercizio precedente e quella dell’esercizio attuale. Una trovata che sicuramente ha fatto piacere all’Europa tedesca dei parametri e dei conti in ordine, ma che ha creato problemi enormi a migliaia di piccoli professionisti, ha finito di ridurli sul lastrico e li ha obbligati a chiudere bottega al termine di una crisi di sistema che pareva senza fondo e senza tempo.

Un’altra trovata della quale non si è capito il senso è stata quella di eliminare il bollo di circolazione agevolato per le auto fino a 20 anni, innalzando il limite di un decennio: opera di Renzi, che si era presentato promettendo di eliminare il bollo tout court; l’ha viceversa imposto ad un numero incalcolabile di possessori di auto vecchie, non necessariamente ricchi, se mai legati affettivamente a gloriosi carrozzoni ultraventennali, che di fronte alla prospettiva di dover pagare un botto di cavalli fiscali si sono sentiti traditi e hanno accompagnato quei pezzi di casa, di vita semovente nell’ultimo viaggio dallo sfasciacarrozze. La rottamazione per i catorci politici dirottata sui catorci su strada, oltre alla distruzione, del tutto gratuita, di una filiera di consumo legata ai club di auto storiche, ai ricambi, ai carrozzieri, ai meccanici e via dicendo.

Ma dove davvero il Pd si è scavato la fossa da solo è nella fenomenologia dello spirito di questi fenomeni che non riescono a mascherare il distacco, fino al disprezzo, per chi dovrebbe votarli. Non c’è niente da fare, è più forte di loro, gli scappa da un fianco, ce l’hanno scritto in faccia, traspare da quell’ammiccare, traspira in quegli atteggiamenti di sufficienza, emana dalle loro divise di privilegiati, promana nei comportamenti spontanei – chi scrive ha avuto modo di osservarne qualcuno nei bar di Roma: una arroganza da signorotti medievali. E se aprono bocca è anche peggio, viene giù tutto. Una antipatia si direbbe genetica, istintiva, che sembra aborrire le origini popolari cui si sostiene di rifarsi e che penosamente si finge di rispolverare nel laicismo descamisado, fasullo, la manica arrotolata per andar sottobraccio con Farinelli, con i Benetton, la partitella pretesca coi mocciosi di borgata.

Di fronte alle ultime rilevazioni che danno un elettore su tre alla Lega e perfino uno su quattro a sinistra sommessamente convinto dalla linea salviniana sull’immigrazione, non cercano di capire, non fanno uno straccio di autocritica: liquidano il tutto come feccia, come pattume, rivendicano maggiore presenza su quei parchi giochi del narcisismo che sono i social, si ritrovano a tramare a cena e lo annunciano come un passo fondamentale, organizzano, come dice l’ex sottosegretario Giacomelli, “il fronte repubblicano da Berlusconi a Fratoianni”, salvo rimangiarsi la cena mai consumata (un unicum, un capolavoro della sinistra scissionista anche in trattoria) nel turbinar d’accuse manicomiali mentre parte la resistenza gastrica coi primi digiuni gandhiani. Ma la faccenda davvero gustosa, è che una simile diaspora gastronomica trova una curiosa sintesi hegeliana nello strampalato attacco alla conduttrice Isoardi, ritenuta una novella Petacci, che conduce un programma di cucina. Calenda si sbaglia, non sono al manicomio, neppure ad Achille Campanile, sono già ai Monty Python.

Ma come fa un leader in disgrazia di un partito che fu popolare, che vorrebbe definirsi popolare, a mettersi in sodalizio con l’impresario Presta, chiedendo (a Berlusconi) qualche milione di euro per un documentario al crocicchio fra Piero Angela, Benigni e Jovanotti? Ecco, se questo è il futuro, è l’unico che i dirigenti del Pd sono bravi a intercettare; ed è anche il futuro sbagliato, lucroso ma sterile. Una spocchia tragicamente immotivata a fronte di una dotazione culturale evanescente, infarcita di luoghi comuni scoutistici. Dopodiché, la gente vota. Con la pancia, lo stomaco, i piedi, con gli organi che si vuole, ma tant’è e non aver capito il mondo per un politico è una rovina, anche se questi se ne vantano.

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