Marx è morto, Dio è morto e anche il Ghost Writer del presidente Mattarella non sta troppo bene
Il 29 ottobre, alla cerimonia del passaggio di consegne tra Mario Draghi e Christine Lagarde alla guida della Banca centrale europea, c’erano moltissime personalità europee tra cui il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente italiano Sergio Mattarella, oltre naturalmente a Draghi e Lagarde.
Il presidente Mattarella, nel salutare Draghi e dare il benvenuto alla Lagarde, ha tenuto un breve discorso del quale riportiamo un passaggio.
“Oggi possiamo dire che il sistema europeo economico è più solido: l’occupazione è cresciuta ed è mediamente più alta che nel ’99, il sistema bancario è più compatto. L’integrazione tra le economie, e quindi la convergenza tra gli stati membri, è elevata. Ma soprattutto, il sostegno popolare all’euro è tornato ad essere particolarmente alto.”
A fronte di queste affermazioni, non è stato fornito alcun elemento di supporto, tant’è che su Twitter, Ashoka Mody, uno dei più autorevoli economisti del mondo, è intervenuto direttamente da Nuova Delhi chiedendo, testualmente: “La gente può dire quello che vuole senza fornire prove?”
Max D’antoni, economista e docente di scienza delle finanze all’Università di Siena, ascoltando il presidente, ha parlato di universi paralleli.
E sì perché la cosa davvero strabiliante è che il presidente Mattarella è riuscito ad inanellare una serie di, ehm, imprecisioni per usare un eufemismo, tutte insieme.
La sintesi, riportata dall’account Twitter del Quirinale, è che grazie all’Unione europea e all’euro le divergenze tra i Paesi membri si sono ridotte. Per questo i cittadini amano ogni giorno di più l’euro.
I dati, però, ci raccontano una storia leggermente diversa. È assolutamente innegabile che, tanto l’architettura europea quanto la moneta unica, abbiano ampliato le divergenze e le asimmetrie tra gli stati membri ai loro massimi storici.
Analizziamo, per esempio, il tasso di interesse tra i Paesi centrali e quelli periferici: un’unica politica monetaria non può andare bene per Paesi così diversi.
Queste asimmetrie, non si limitano solo ai tassi di interesse, ma si riverberano su tutti gli aspetti dell’economia degli stati membri.
Osservando la dinamica del reddito pro capite, ad esempio, risulta evidente che la moneta unica ha peggiorato clamorosamente le condizioni di vita della popolazione, soprattutto quella delle fasce più deboli.
Analizzando infine la disoccupazione scopriamo che l’Italia, ancora una volta, è tra i Paesi più penalizzati proprio per colpa di un’asimmetria relazionale.
E se allarghiamo il discorso a più economie, le differenze sono maggiormente evidenti.
Infine, l’amore per l’euro. Secondo il Censis, tra le persone a basso reddito la percentuale di chi vorrebbe il ritorno alla lira è del 31 per cento, rispetto all’8,8 per cento delle persone con redditi alti. Anche questa asimmetria dovrebbe indurre ad un ragionamento più articolato.
Per quanto riguarda invece l’uscita dall’Unione europea, questa è vista positivamente dal 31,6 per cento di quelli più impoveriti dalla crisi, contro l’11 per cento delle persone con redditi alti. Non capiamo quindi, da quali dati abbia tratto le conclusioni il presidente. Ma deve essere un problema nostro.