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Giovani (e tardo-giovani) bocciati alla prova di maturità dell’emergenza coronavirus

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Essere giovani non è un merito né una conquista, ma soltanto una condizione individuale, temporanea ed indipendente dalla volontà e dalle qualità di una persona, che, soprattutto, passerà. Accade, invece, che i giovani, ormai del tutto maldisposti nei confronti di chi ha più esperienza di loro, cadano nel tranello, teso loro da scaltri ed interessati adulti, di ritenere di avere il mondo in mano, non considerando di essere (probabilmente) destinati a vivere in un futuro che, prima o poi, diventerà anche per loro l’espressione del passato, rispetto ad altre istanze sociali di più giovani di loro. Potrà apparire una considerazione banale, ma non sarebbe affatto inutile ricordarlo a quelli che, in piena emergenza sanitaria epidemica, proprio non vogliono capire che dovrebbero, ora più che mai, dimostrare intelligenza e senso del dovere, evitando di accalcarsi nei locali (malsani), nelle località sciistiche ed in quelle di mare e, semplicemente, rimanere a casa. Mentre scrivo, sto osservando, tramite una webcam turistica, gli sciatori in fila ravvicinata in attesa del piattello dello ski-lift, in una notissima località di divertimento italiana. Divertimento, non ho detto sport (che ha regole precise e qualche forma di disciplina).

Leggo altresì molti commenti sui social, a proposito dell’inopportuno assembramento nei luoghi di intrattenimento collettivo, molti dei quali dicono, in sostanza: “Ma questi ragazzi, non hanno dei genitori che li controllino?”. La risposta è categorica: no, anzi, per essere precisi, molti li hanno, ma senza alcun controllo da parte loro. Ormai è quasi impossibile, anche per un genitore normodotato, controllare efficacemente cosa facciano i propri figli fuori da casa ed altrettanto difficile imporre loro di fare o non fare qualcosa di specifico, anche se pericoloso. Viviamo in una società che ha letteralmente fatto a pezzi l’autorità genitoriale, anche e soprattutto dal punto di vista normativo. I (pochi) padri-padroni sono (fortunatamente) categoria residuale nella pletora immensa dei genitori ormai del tutto privi della facoltà di indirizzare i figli o di proibire loro qualcosa, nel loro interesse. Chi non conosce qualcuno, se anche non lo abbia fatto egli stesso, che passa buona parte della sera del sabato ad accompagnare minorenni in discoteca, per poi andarli a riprendere ad ore antelucane? Non parlo di maggiorenni, ma di minorenni, perché dai 18 in su si deve fornire ai giovani un’auto per spostarsi liberamente. Questa la norma, anche se si registra qualche eccezione.

Alla luce di quanto precede, non appaia esagerato o eccessivo affermare che l’autorità genitoriale, equamente suddivisa tra entrambi i genitori dal 1975, per effetto della prima riforma del diritto di famiglia, ha subito costanti e sempre più incisive limitazioni a favore di un crescente allargamento della facoltà di autodeterminazione per i giovani che ancora risiedano con i genitori. La linea intrapresa è quella e l’orientamento generale quello, non neghiamolo. Tuttavia, non sono poche le contraddizioni, e non di poco conto per le conseguenze sociali che ne derivano. Da una parte si vorrebbe ammettere al voto i ragazzi di 16 anni (ossia in piena fase Playstation e/o d’innamoramento acritico per i c.d. influencer) ed altrettanto numerosi sono gli adulti favorevoli alla proposta di dare ai sedicenni la patente di guida, come peraltro accade da decenni negli Stati Uniti, mentre, dall’altra, l’imbarazzante scusante sociale della “ragazzata”, viene addotta troppo spesso per comportamenti gravissimi e socialmente inaccettabili quali l’omicidio, la rapina, la violenza sessuale. Ma non è l’unica contraddizione in materia di comportamenti giovanili e delle loro ricadute nella società, primissima, fra le tante, la stridente antinomia tra l’esigenza di distinguersi dal mondo dei “grandi”, da sempre ritenuti simbolo di arretratezza e passivo conformismo, adottando frasari, abbigliamenti, decorazioni corporee, gusti musicali del tutto improntati ad una sconfortante uniformità ed alla negazione di un proprio, distintivo, gusto personale. Giovani tutti vestiti uguali, con gli stessi tatuaggi, con le stesse barbette semi-incolte per i maschi e con gli stessi piercing per le ragazze, si dichiarano campioni di originalità e di anticonformismo.

Tutto ciò, sia ben chiaro, può unicamente suscitare un sorriso benevolo da parte degli adulti, benché, talvolta, si arrivi ad una forma di sudditanza psicologica dei loro genitori, i quali, diciamolo chiaro, non hanno il coraggio di prendere posizioni nette e coraggiose, dove sarebbe necessario adottarne, con la scusa che “i tempi sono cambiati” oppure che “non posso fare di mio figlio una mosca bianca, un disadattato”. Se i figli vogliono continuare ad andare al pub oppure a sciare, anche in tempi come questi, come possono impedirlo quei genitori che non si preoccupano minimamente di cosa possa accadere dentro una discoteca, mentre attendono in auto, infreddoliti, che i loro figli escano per riportarseli a casa? Mi si tacci pure di cinismo, ma temo che sia assai praticato il (discutibile) principio dell’occhio che non vede e del relativo cuore che non duole.

Ma non ci sono solo giovani anagraficamente tali, bensì anche gli eterni ragazzoni cinquantenni e speranzose ed irriducibili girls in zona menopausa a rincorrere le stesse mode dei loro figlioli. Sembrerebbe, infatti, che dai vent’anni fino all’età dell’ospizio, gli uomini debbano essere “smart”, sportivissimi, dinamicissimi, sempre in perfetta forma fisica e con abbronzatura adeguata. Sommessamente, magari perché non avverto da decenni la necessità di alcuna delle citate qualità giovanili, ad un adulto bisognerebbe richiedere serietà e capacità di dire “sì” oppure “no”, senz’appello, quando si tratti di questioni importanti. E sull’importanza di dare l’esempio? Certamente, anche quello ci sta, eccome! Ma quale esempio potrà dare un genitore che pare quotidianamente copiare dalle mode e manie dei propri figli? La malinconica considerazione che la gioventù, prima o poi, passa e che non tornerà più, dovrebbe spingerci a considerare i lati positivi dell’età adulta e dell’inevitabile terza età, per chi abbia la fortuna di arrivarci. Eppure, no, l’importante è fare i giovani, vestirsi da giovani, tagliarsi i capelli da giovani, ascoltare la musica dei giovani (perlopiù pessima, secondo un minimo di criterio di decenza compositiva) e persino imporsi di ragionare da giovani. Inutile spiegare a tanti tardo-giovani che su questa mania collettiva di eterna giovinezza ci marcino su enormi aziende commerciali e lo stesso mainstream politico, che pare preoccuparsi soltanto dei giovani, in quanto portatori di nuove idee, e quindi apoditticamente ritenute migliori delle precedenti. Si decide, financo, di sacrificare gli anziani nelle cure antivirali? Che problema c’è? Largo ai giovani, no? Abbiamo un governo di quarantenni, peraltro, e vediamo tutti quanta efficienza ce ne derivi e quanto conti la freschezza delle idee rispetto a capacità, esperienza, prudenza e nervi saldi, ossia caratteristiche che, da che mondo è mondo, non abbondano tra i giovani. So perfettamente di appartenere al “vecchio”, al passato (che pure fu persino nobile e rispettato da tutti) e ne sono fiero. Oh, guarda tu che termine ho usato: fierezza. Quando i giovani e certi eterni giovani potranno dirsi fieri di qualcosa che abbiano fatto loro stessi in passato, mi auto-sospenderò dalla società civile, ma nel frattempo…

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