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I disastri (molto probabili) di Biden-Obama in Medio Oriente, aspettando Kamala…

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PROBABILMENTE – scritto maiuscolo proprio per evitare fraintendimenti ma non le critiche che, sono sicuro, arriveranno a quest’articolo – a meno di grande sorprese, che però non si vedono all’orizzonte, per quello che riguarda il mondo e il Medio Oriente in particolare, i prossimi quattro anni saranno, probabilmente, molto difficili da superare.

Quattro anni da superare con la speranza che non diventino otto perché, come si dice, le disgrazie non vengono mai da sole.

Vista l’età, 78 anni, probabilmente non sarà Joe Biden a correre per un secondo mandato – sempre ammesso, considerando che il Premio Nobel per la Pace lo segue come un’ombra, che lo possa essere in pieno, o solo in parte, durante quello appena cominciato.

Chi sarà allora il presidente, la presidente e/o la presidenta e/o la presidentessa, durante un eventuale “secondo mandato Biden”? Probabilmente la fedele apostola Harris.

Sì, Kamala, proprio lei, quella che pur avendo la madre indo-americana e il padre di origine giamaicana, è diventata afroamericana ad honorem in previsione di essere probabilmente eletta presidente, presidenta e/o presidentessa come prima donna e, già che ci siamo, anche come prima afroamericana.

Ambo, terno, quaterna e tombola… una mossa e, probabilmente, Obama-Klinton-Biden-Kamala Harris prendono tutto il cucuzzaro.

Probabilmente, nei prossimi quattro anni, i media di tutto il mondo, quelli che hanno sempre chiamato Donald Trump tycoon e quasi mai presidente, ripeteranno talmente tante volte il termine ‘afroamericana’ legato al nome Kamala Harris, che non solo riusciranno a convincerci che i suoi nonni durante lo schiavismo raccoglievano il cotone in Virginia, ma, alla fine, la sentiremo anche cantare un rap di quelli che vanno di moda a Brooklyn o un blues scritto da Bo Diddley.

Ma non è tutto: probabilmente, durante questo mandato e in funzione di una campagna elettorale sotterranea, ma non troppo, che durerà fino all’inizio della campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali, l’attenzione dei media sarà rivolta più alla vicepresidente, perché donna e ‘afroamericana’, che al presidente stesso.

In un’orchestrazione giornalistica che, probabilmente, sarà studiata dagli esperti di marketing di sinistra fin nei minimi particolari.

Tutto questo a meno di eclatanti obamate che, molto probabilmente, il neo presidente non mancherà di portare alla ribalta.

Tutti ricorderanno, per esempio, i casini di proporzioni bibliche che crearono le ‘Primavere Arabe’ dell’Ombra di Biden, Premio Nobel per la Pace, per cui, visto che tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, è facile prevedere che, probabilmente, esaurita la collezione primaverile, la nuova amministrazione passerà a quella estiva, oppure, bypassandola, direttamente a quella ‘autunno-inverno’.

La prova di tutto questo? Sherlock Holmes, l’eroe nato dalla penna del grande Sir Arthur Ignatius Conan Doyle, a questa domanda avrebbe dato la sua classica risposta: elementare, Watson.

Perché elementare? Semplice, perché subito dopo il giuramento di Joe Biden e prima ancora che lo stesso entrasse nello Studio Ovale e poggiasse le chiappe sulla poltrona e i piedi sulla famosa scrivania, come già fecero George W. Bush e il suo mentore Barak Hussein Obama, l’ambasciata Usa in Israele ha cambiato il nome del suo account Twitter per includere la Cisgiordania e Gaza.

Questa trovata ha scatenato un’immediata tempesta sul social network da parte di chi si chiedeva se questo rapido cambiamento rappresentasse un fin troppo rapido mutamento di politica fin dal primo giorno di mandato del presidente Biden.

Cosa accaduta, e questo particolare la dice lunga, esattamente nel momento in cui David Friedman, ambasciatore nominato dal presidente Trump, si dimetteva dall’incarico.

Anche se a distanza di poco tempo l’account è tornato ad essere quello di “Ambasciata degli Stati Uniti in Israele”, e un portavoce dell’ambasciata ha detto al Times of Israel che ciò che era accaduto “non rifletteva un cambiamento di politica o un’indicazione del futuro cambiamento di politica”, la frittata era già fatta.

Politicamente parlando la frittata è anche più grossa di ciò che può sembrare al primo impatto, perché non solo si è già capito quale sarà la politica di questa amministrazione nei confronti di Israele, ma, cosa ancora più grave, in quelle poche righe i territori della Cisgiordania sono stati separati dalla Striscia di Gaza e, anche se per pochi istanti, Washington ha, di fatto, riconosciuto due stati palestinesi e nessuno di loro si chiamava Palestina.

Chissà come prenderanno i palestinesi questa nuova e inaspettata doppia indipendenza con allegato il doppio riconoscimento addirittura da Washington.

Roba dell’altro mondo, diciamocelo francamente, un’obamata del genere non sarebbe riuscita neanche al Premio Nobel per la Pace.

Negli ambienti giornalistici israeliani circola la voce che Yossi Cohen, l’attuale direttore del Mossad, che lascerà il suo incarico fra alcuni mesi per fine mandato, sarà nominato inviato speciale di Israele presso l’amministrazione Biden sulla questione nucleare iraniana.

Mossa necessaria, considerando che funzionari vicini al neoeletto presidente già da tre mesi stanno portando avanti trattative con Teheran per il rientro degli Stati Uniti nel trattato di Ginevra tanto voluto dall’Ombra dell’attuale presidente.

Yossi Cohen non avrà un compito facile nel cercare di far capire, a chi proprio non vuole capire, a che livello di pericolo stiamo arrivando con gli iraniani che continuano imperterriti con le loro ricerche sul nucleare militare.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: se Obama si è preso le primavere e le estati, e Biden, probabilmente, prenderà l’autunno-inverno cosa rimarrà alla povera Kamala fra quattro anni? Semplice: il Prêt-à-porter.

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