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I miei 25 aprile: perché è sempre stata una festa totalmente monopolizzata dal Pci e dai suoi eredi

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È un onore per Atlantico pubblicare questo primo intervento del professor Franco Carinci, autorevole giuslavorista

Il primo, quello autentico del 1945, non mi ha lasciato un bel ricordo. Tutt’altro. Ero un ragazzino a mezzo fra i sei e i sette anni, che avrei compiuto a settembre, e abitavo da sfollato, con i miei genitori e i miei due fratelli, in appartamento della nonna, tutti stipati in un’unica camera, più un piccolo soggiorno e una cucina in comune con una zia. Credo proprio che fosse il 25, non ricordo se mattina o pomeriggio, quando vennero a suonare due uomini con in spalla dei mitragliatori, chiedendo insistentemente del dottore, che era appunto mio padre. Non senza un forte timore di tutti noi, mio padre li accompagnò al piano superiore, per poi, ritornato giù, spiegare alla mamma, ma non senza che io – poco discosto – riuscissi a sentire, che i due erano andati per ammazzare il padre; non trovandolo avevano sparato alla figlia, senza lasciar capire il perché a cose fatte cercassero un medico.

Questo è stato il primo, ma non mi influenzò al momento più di tanto, così da impedirmi di sentirmi di sinistra, come era naturale che fosse uscendo da una famiglia della media borghesia professionista, sostanzialmente apolitica, ma conservatrice. Ma non lo fui praticamente, se non quando il Psi non acquistò una sia pur limitata autonomia, restando nel frattempo una specie né carne né pesce nella negletta terra di mezzo fra i democristiani intenti a ruminare il loro illimitato potere e i comunisti occupati a elaborare il loro prolungato digiuno.

Certo è che non ho mai vissuto il 25 aprile come una festa anche mia. Come una festa certo, ma poco e punto diversa da qualsiasi altra religiosa o civile; perché almeno a me è sempre apparsa una festa totalmente monopolizzata dal Pci, con la solita ma sempre più rada sfilata di partigiani, esibiti pubblicamente come uniche e insostituibili vestali dell’antifascismo. Sono sempre stato un lettore accanito, sicché non potevo che trangugiare la verità, accuratamente celata, che la Liberazione fosse un dono delle truppe alleate, per cui sarebbe stato un dovere della ritrovata democrazia onorare anzitutto le molte decine di migliaia di giovani americani, inglesi, australiani, canadesi, polacchi, che ci hanno regalato la loro giovinezza. Se c’è stato un Paese in cui la resistenza è stata militarmente meno rilevante, questo è stato proprio l’Italia, a confronto con la Norvegia, la Francia, per non parlare della Yugoslavia. Ciò non toglie che ci sia stato fior fiore di eroismo, come testimoniano in maniera profondamente toccante le lettere della Resistenza italiana che non temono affatto il confronto con quelle delle Resistenze europee. Ma questo non ci dice nulla, o addirittura ci dice anche troppo, sul come la resistenza elevata a mito sia stata monopolizzata da un unico partito, il Pci.

Perché? La risposta è semplice, tanto da essere stata più volte fornita. A dirla in breve, cosa che di solito suscita lunghe e dotte smentite, a me sembra poter riassumere il già detto e ridetto in tre semplici osservazioni. Primo, la Liberazione era opera dell’Occidente, cioè il nemico numero del Paese guida, l’Unione Sovietica, quindi era meglio non enfatizzarne la presenza determinante; secondo, la Liberazione era stata effettiva, qualunque cosa avessero fatto gli Stati Uniti per influenzarne la politica (cioè il Piano Marshall, la Nato, la Comunità europea, che videro tutte il Pci fieramente contrario in Parlamento e nelle piazze), non assolutamente fittizia come per i Paesi caduti nell’orbita sovietica; terzo, una volta che l’antifascismo fosse stato elevato a carattere intrinseco ed esclusivo della democrazia, e fosse monopolizzato attraverso la gestione in proprio della ricorrenza celebrativa, allora il Pci sarebbe risultato non solo l’unico detentore della democrazia ma anche l’unico a poter giudicare gli altri partiti e movimenti in quanto non antifascisti… quindi fascisti. Non era fascista De Gasperi, ma certo servo abbietto degli Stati Uniti, ma fascisti erano Tambroni, Cossiga, Craxi, Berlusconi… e ora, per fortuna, Salvini, perché se non c’è un morto da piangere, le prefiche restano con gli occhi asciutti e le tasche vuote.

Certo, il Pci non c’è più, e sarebbe ridicolo confinare i Ds in un loro remoto passato, superato e digerito da un pezzo. Ma una certa arroganza è restata, per cui ancora oggi il segretario, Zingaretti, afferma che solo il suo partito può salvare la democrazia italiana, supportato da quel guru dal pensiero più lento della parola, che addirittura intravvede la fine della storia democratica del nostro Paese. Certo, amici della c.d. stampa d’opinione, che poi è quella dei soliti giornalisti che amerebbero l’avvento di una destra liberale ed europea, ma non quella che gli forniscono le libere elezioni ma quella che loro pensano dover essere, con una perenne attesa del Messia che se anche venisse non lo riconoscerebbero; certo amici, c’era tanta gente in piazza. Ma lasciatemi chiudere con una battuta scherzosa, ma non troppo, e con un’osservazione amara: si diceva una volta che la sinistra riempie le piazze ma non le urne; ma soprattutto avete ascoltato quelle interviste volanti fatte a giovani sui sedici-diciotto anni, facevano festa, ma non sapevano perché e neppure la fatidica data del 1945 diceva loro qualcosa.

I ricordi non diventano memorie se non quando sono convissute. Una fede che sopravvive solo nella liturgia è destinata a spegnersi con l’esaurirsi dell’ultima candela.

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