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La disastrosa serata di Biden: tutti i passi falsi nell’ultimo dibattito e il disperato “damage control” dei media di sinistra

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Se non ce l’avete fatta a restare alzati fino a tarda notte per seguire il secondo e ultimo dibattito presidenziale, o magari non ci avete proprio pensato, per farvi un’idea di com’è andato vi suggeriamo di partire dai titoli di queste ore dei media liberal. Questa volta non vi dicono subito che ha vinto Biden e questo è già un indicatore del fatto che qualcosa non dev’essere andato per il verso giusto. La Cnn, per esempio, osserva che “il presidente Trump ha ascoltato le preghiere dei suoi consiglieri, offrendo una prestazione molto più contenuta, anche se non è riuscito a ottenere il game-changing di cui aveva bisogno per alterare drasticamente la traiettoria della corsa”. È questo lo spin che più o meno troverete su tutti i media liberal. E confermando tutto il suo talento, è lo stesso spin che già pochi minuti dopo la conclusione del dibattito diffondeva su Twitter Filippo Sensi, l’ex spin doctor di Mattero Renzi.

La performance di Trump è stata più composta e disciplinata, per ricordarvi com’era andato male nel primo dibattito, ma non c’è ragione – ci spiegano – di pensare che abbia centrato quella chiara vittoria di cui aveva bisogno. Dunque, ha vinto Trump? No, perché a scanso di equivoci, l’instant poll della Cnn dà comunque vincitore Biden, sebbene, bontà loro, con un margine inferiore rispetto all’altra volta: 53 contro 39 per cento. Lo stesso identico pattern dei sondaggi post-debate di quattro anni fa tra Hillary e Trump.

Si chiama damage control, perché lasciando stare il giochino di chi ha vinto o ha perso (impossibile dire oggi se e quanto il dibattito influenzerà chi ancora non ha votato), però Biden è andato davvero male, peggio dell’altra volta, quando pure non aveva brillato e i media di sinistra si erano dovuti aggrappare al fatto che Trump, attaccato da due fronti, lo avesse interrotto spesso. Very rude!

Cosa poteva andare peggio ieri sera? Beh, certo, Biden poteva svenire in diretta e non è svenuto. Si è limitato a controllare sul suo orologio da polso quanto mancasse alla fine del dibattito, come fece Bush senior contro Clinton nel 1992.

Ancora più comici i titoli dei nostri media liberal: “Biden attacca Trump sul Covid, lui risponde con insinuazioni sull’Ucraina” (Huffington Post). Le “insinuazioni” sono i traffici con società di potenze straniere rivali che emergono dalle email del figlio Biden. “Un bel dibattito nonostante le solite bugie di Trump” (Linkiesta). “Un dibattito normale” (Il Foglio). “Non si è ripetuto il caos del primo confronto televisivo. Ma né Trump né Biden sembravano preparati per un confronto pacato” (Formiche.net).

Un altro aspetto che vedrete parecchio sottolineato è l’ottima prova della “moderatrice”, Kristen Welker della Nbc. Diranno che ha vinto lei il dibattito. In effetti, è stata molto meno faziosa dei suoi colleghi, aiutata però anche dalle nuove regole, ma non ha certo rinunciato a dare una mano a Biden nei momenti più difficili. Ha spesso cercato di interrompere Trump quando vedeva che stava per affondare il colpo sul suo avversario: “Presidente dobbiamo passare alla prossima domanda”, “abbiamo molte questioni ancora da affrontare”, e così via… Tanta fretta di passare al successivo argomento da rivolgersi, poi, a Biden: “Vuole rispondere, vuole aggiungere qualcosa?”. Il paradosso è che a volte chiedeva a Biden di rispondere a qualcosa che Trump non aveva nemmeno avuto il tempo di finire di dire perché interrotto.

E non è un caso che alla politica estera, tradizionalmente il tema principale del terzo dibattito presidenziale, sia stata riservata dalla commissione organizzatrice una minima parte del tempo. Si sarebbe dovuto parlare dei successi dell’amministrazione Trump: nessuna nuova guerra, gli storici Accordi di Abramo tra alcuni Paesi arabi e Israele, il riequilibrio delle spese militari degli alleati Nato, l’uccisione di Soleimani. E, al contrario, dell’avanzata di Russia e Cina nell’era Obama e degli oltre cento miliardi di dollari in contanti versati al regime iraniano.

Né chiaramente si è parlato della nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema, dopo che dai sondaggi è emerso che una maggioranza degli americani è favorevole alla conferma, mentre Biden l’ha bollata come un atto illegittimo.

Ma vediamo quali sono stati a nostro avviso i punti salienti.

Fondamentalmente Trump è riuscito a centrare tre obiettivi. Primo, è riuscito a ripresentarsi, come quattro anni fa, quasi come uno sfidante del “sistema”, ricordando efficacemente, numerose volte, che Biden è stato nei palazzi di Washington per 47 anni, di cui 8 alla vicepresidenza con Obama: “Perché non l’hai fatto negli otto anni in cui eri vicepresidente?”, ha più volte ribattuto all’avversario quando questi provava a presentare le sue proposte, “It’s all talk, no action with these politicians”. In effetti, suona strano che Biden possa parlare con qualche credibilità di “razzismo istituzionale” in America, dopo essere stato senatore ininterrottamente dal 1973 (!) e il vice di un presidente di colore! Solo con i media complici si può sostenere impunemente una simile argomentazione.

Il candidato democratico è stato costretto a riconoscere che lui e l’ex presidente Barack Obama “hanno commesso un errore” non riuscendo a introdurre una riforma complessiva dell’immigrazione durante la loro amministrazione. E ad una specifica domanda riguardo la seperazione delle famiglie di immigrati illegali alla frontiera, Trump l’ha potuto incalzare: “Who built the cages, Joe?”.

Secondo, il presidente è riuscito a far dire a Biden almeno tre palesi falsità, facilmente verificabili anche dagli elettori. Nonostante ovviamente non fosse previsto tra le domande della “moderatrice”, Trump è riuscito con successo a introdurre nel dibattito il tema degli affari della famiglia Biden con società di potenze straniere rivali, ed in particolare un accordo con una delle maggiori compagnie energetiche cinesi, e a restare sull’argomento per un tempo congruo. A Joe Biden, menzionato come “the Big Guy” negli scambi di email del figlio Hunter, sarebbe stata offerta una quota del 10 per cento della partnership tra la compagnia cinese CEFC e la famiglia Biden. L’ex vicepresidente si è difeso dicendo che secondo 50 funzionari di intelligence (ex funzionari, anonimi, citati dal New York Times) si tratta di “disinformazione russa”. Peccato che il sospetto sia stato già smentito dal direttore della National Intelligence, Ratcliffe, ma soprattutto, che tutto è nero su bianco nelle email del figlio Hunter, autentiche, nessuno lo mette in dubbio, estratte dai suoi laptop. Prima balla.

L’inchiesta del New York Postcensurato da Twitter e Facebook, ricordiamolo – è molto solida e alla fine anche i media mainstream sono stati costretti a prenderla in considerazione. Ciò che emerge dalle email è che Hunter Biden trattava accordi e compensi milionari per sé e la sua famiglia spendendo il nome del padre, in pratica “vendendo” ai suoi soci l’accesso diretto alla Casa Bianca in cambio di milioni di dollari. Una pratica simile a quella della Clinton Foundation.

Trump è poi riuscito a costringere Biden a contraddirsi sul fracking (tema molto sensibile in uno stato chiave come la Pennsylvania). Nonostante la conduttrice si sia rifiutata di porre lei la domanda, che non era affatto fuori tema parlando di energia e climate change, incalzato dal presidente, Biden ha risposto: “I. have. never. said. I. oppose. fracking”.
Trump: “You said it on tape!”
Biden: “Show the tape!”

Peccato che di video, in rete, in cui afferma il contrario ne circolano diversi e da mesi.

Ancora, in un passaggio poco ripreso, l’ex vicepresidente ha affermato che “nessuno ha perso la sua copertura sanitaria sotto l’Obamacare“. Balla colossale, l’hanno persa milioni di persone come riconosciuto anche, tra gli altri fact-checker, da Politifact.

Terzo, il vero e proprio scivolone finale, quando alla domanda di Trump “Would you close down the oil industry?”, Biden ha ammesso “Yes, I would transition from the oil industry”, lasciando di stucco persino la moderatrice: “Ma perché mai?”.
“It’s a big statement, Joe”, ha subito sottolineato Trump.
Biden: “It’s a big statement because the oil industry pollutes significantly… It has to be replaced by renewable energy over time”.
Trump: “Will you remember that Texas? Will you remember that, Pennsylvania, Oklahoma?”.

Anche agli attacchi per la gestione dell’emergenza Covid, il tema su cui era più vulnerabile, Trump si è difeso bene, spiegando che non si può restare chiusi per sempre: “Dobbiamo aprire il nostro Paese. L’ho già detto, la cura non può essere peggiore del problema”; “come nazione possiamo chiuderci nel seminterrato come fa Joe Biden. Lui è bravo a farlo, evidentemente avrà fatto i soldi da qualche parte…”.

Insomma, sintetizzando le posizioni di Biden emerse ieri sera: chiuderebbe l’intero Paese a meno che non si possa riaprire in sicurezza (senza aver citato una misura diversa rispetto a quelle già in atto, tranne divisori di Plexiglass nei ristoranti); proprio nel pieno della recessione da pandemia alzerebbe le tasse a tutte o quasi le fasce di reddito e alzarebbe il salario base a livello nazionale; terminerebbe l’industria energetica fossile Usa.

Non sappiamo quanti voti questo dibattito sia riuscito a spostare, considerando che 49 milioni di americani hanno già votato (superando il record delle scorse elezioni con ben 12 giorni di anticipo) e che potrebbe mancare troppo poco tempo perché la disastrosa performance di Biden sia “digerita” dai pochi elettori ancora indecisi. Come ha giustamente osservato Andrew McCarthy, “il problema dei dibattiti è che devi costruire su di essi. Romney annientò Obama nel primo dibattito, ma il suo team sembrava pensare di aver vinto le elezioni quella notte, quando invece l’aveva solo fatto entrare in partita. Biden ha dato a Trump molto su cui lavorare stasera, ma Trump deve lavorarci. Non pavoneggiarsi. Costruire!”

E in fretta, aggiungiamo.

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