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La giustizia italiana chiude entrambi gli occhi sulla violazione delle sanzioni Usa e Ue sull’Iran

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 30 luglio 2019

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Lo scorso ottobre sono state rese note le motivazioni di una sentenza della Corte di Cassazione che lascia sbigottiti. La Corte Suprema italiana, nel marzo scorso, ha ribaltato una sentenza che condannava la società italiana Safilo a pagare 35.000 euro per aver violato il regolamento Ue n. 267 del 2012, facendo affari con l’Iran per mezzo di un intermediario inserito nella lista delle sanzioni. Parliamo di questa storia solo oggi perché, nonostante le motivazioni siano note da ottobre, sulla stampa la notizia è arrivata ieri.

Ma chi era questo intermediario? Se andiamo a leggere la sentenza, l’informazione è scritta nera su bianco: si trattava della Tidewater Middle East Co. una società iraniana sotto sanzioni Ue e Usa per la sua diretta connessione con le Guardie Rivoluzionarie iraniane, ovvero i Pasdaran.

La diatriba legale si è svolta tra il Ministero degli affari economici (Mef) per mezzo dell’Avvocatura dello Stato e, appunto, la Safilo. Con il primo che pretendeva la condanna della Safilo per aver violato le sanzioni europee, facendo affari con l’Iran per mezzo di un intermediario legato ai Pasdaran e la seconda, la Safilo, che negava il fatto di aver violato le sanzioni.

Diciamo subito che il processo ha avuto tre gradi di giudizio, e in tutti la Safilo ha avuto la meglio. Ad esprimersi contro l’Avvocatura dello Stato è stato prima il Tribunale di Padova, poi quello di Venezia e, infine, come suddetto, la Cassazione.

Questa sentenza però rischia di costituire un precedente pericoloso, perché – sebbene sia chiaro che un occhiale non è un oggetto dual-use – dovrebbe essere altrettanto chiaro che venderlo per mezzo di una società legata ai Pasdaran rischia di avere un concreto effetto per quanto concerne il tema del finanziamento del terrorismo internazionale.

Prima di tornare su questo aspetto, precisiamo su cosa si è basata la sentenza della Cassazione. La Suprema Corte ha distinto tra “risorsa economica” (punibile per violazioni delle sanzioni) e “bene”, ovvero gli occhiali, esportabile in quanto non rientrante nel tema del dual-use. L’Avvocatura dello Stato – a nostro parere ragionevolmente – riteneva che esportare occhiali e montature in Iran per mezzo di un intermediario legato ai Pasdaran equivaleva a “trasferire risorse economiche”, dando di fatto disponibilità economiche e finanziarie. La Corte, anzi le Corti, non l’hanno pensata allo stesso modo, ritenendo che questa lettura avrebbe limitato tutto l’export con l’Iran, e che quindi ci si doveva attenere al vietare solo i beni duplice uso.

Una conclusione, però, che rischia di rappresentare un precedente pericoloso, dal momento che un bene chiaramente non dual use come gli occhiali, esportato dall’Italia, se arriva in Iran per mezzo di una società legata ai Pasdaran diventa nei fatti una risorsa economica. Le Guardie Rivoluzionarie, infatti, con i proventi della vendita degli occhiali, possono tranquillamente pagare un attentato, le armi per reprimere le proteste di piazza, o semplicemente pagare gli stipendi dei loro dipendenti, miliziani e jihadisti sparsi per tutto il Medio Oriente. Quello che non è un bene dual use, se arrivato a Teheran grazie a chi, secondo il Dipartimento di Stato Usa, è il primo finanziatore del terrorismo internazionale dal 1984, diventa una risorsa economica per compiere atti contrari alla sicurezza regionale, mondiale e agli stessi diritti umani.

Se andiamo a leggere le motivazioni per cui la Tidewater è posta sotto sanzioni sia Ue che Usa, emerge chiaramente che non solo si tratta di una società legata ai Pasdaran, ma anche di una realtà che ha attivamente contribuito allo sviluppo del programma nucleare e missilistico clandestino del regime iraniano.

La Tidewater, per la cronaca, opera in diversi porti iraniani, tra cui il terminal Sahid Rajaee presso Bandar Abbas, dove passa oltre il 90 per cento dei container diretti in Iran. È qui, tra l’altro, che molto probabilmente il regime iraniano ha fatto arrivare il cargo made in Italy Altinia, per poi riconvertirlo illegalmente in una nave da guerra, presentata al pubblico alcune settimane or sono con il nome di Shahid Rudaki. Ad oggi, ancora nessuno ha chiarito come e per mezzo di quale intermdiario, quel cargo di fabbricazione italiana è giunto a Teheran senza alcun controllo…

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