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L’amore per Putin una malattia infantile che un centrodestra di governo deve superare

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La crisi al confine con l’Ucraina è seria? Ma soprattutto, l’Italia come la potrà affrontare nei prossimi giorni e settimane, soprattutto se si dovesse verificare un’improvvisa escalation? Alla prima domanda è facile rispondere: al confine con l’Ucraina, l’esercito russo sta ammassando una quantità di uomini e armi mai vista dal 2014, da quando, cioè, la Russia annesse la Crimea con un colpo di mano e alimentò la guerriglia filo-russa nel Donbass (Ucraina orientale). Questo non vuol dire che di qui a poco scoppierà una guerra, ma la Russia si sta comunque preparando a farla. Di fronte a una situazione del genere, in che condizioni si sta facendo trovare l’Italia? È facile anche questa risposta: vulnerabile, considerando che un ufficiale di Marina, Walter Biot, è stato scoperto, all’inizio di aprile, mentre forniva ai russi documenti segreti in cambio di denaro. Ma la vulnerabilità dell’Italia non risiede tanto nel Walter Biot che, a detta della moglie, agiva così solo perché in difficoltà economica (3 mila euro al mese, stipendio fisso), quanto nei tanti anonimi italiani, politici, militari, civili di tutte le professioni, che sarebbero disposti a lavorare per i russi anche gratis, ognuno secondo i suoi mezzi e capacità.

È inutile ormai fingere di non vedere il problema: l’Italia è uno dei Paesi più filo-Putin dell’Occidente e la popolarità del presidente (ormai presidente eterno) russo è diffusa e radicata soprattutto nei partiti di centrodestra e nel Movimento 5 Stelle. È ben visibile in ogni manifestazione pubblica, dalla gioia con cui sono stati accolti i pochi aiuti militari russi per la pandemia di Covid, nel 2020, fino alla richiesta del vaccino Sputnik V anche da parte di chi è scettico sui vaccini in generale (ma per quello promosso da Putin fa l’unica eccezione).

Questa popolarità di Putin e del suo regime è stata fotografata in diversi sondaggi. L’ultimo e più dettagliato risale all’estate del 2018, condotto da Demos. Fra i leader stranieri, Putin risulta essere il secondo più popolare in Italia, subito dietro Angela Merkel. Ma nei partiti di centrodestra arriva primo, anche più di Donald Trump, con il 31 per cento dei consensi in Forza Italia e un incredibile 49 per cento nella Lega. Questi consensi sono probabilmente aumentati grazie alla propaganda di Mosca in tempi di pandemia, sia per gli aiuti mandati a Bergamo, sia per la promozione del vaccino made in Russia. La popolarità ci cui gode l’inquilino fisso del Cremlino prescinde dal suo disprezzo per le regole democratiche, dalla sua ostilità dichiarata nei confronti della Nato (di cui anche noi facciamo parte, anche se tendiamo a dimenticarlo) e dai sospetti più che fondati che i suoi concorrenti e nemici interni, morti di morte violenta, siano stati eliminati per suo volere.

È una popolarità spontanea o coltivata? Sicuramente la propaganda russa ha lavorato molto, anche in lingua italiana. Ma ha trovato dei collaboratori straordinari, primi fra tutti Romano Prodi e Silvio Berlusconi, entrambi ospiti fissi al Club Valdai. In questo caso è meglio focalizzarsi solo sui partiti di centrodestra. Sia il Pd che il Movimento 5 Stelle sono infatti attratti, in modo assai malsano, da ogni dittatura, da quella cinese a quella russa, passando per Turchia e Venezuela. L’amore per la Russia di Putin è invece una caratteristica peculiare del centrodestra, che pure è storicamente allineato alle democrazie occidentali.

L’amore del centrodestra per Putin ha radici ormai profonde. Berlusconi, quando l’armata russa schiacciava la piccola Georgia, lungi dal mantenere una posizione equilibrata, tenne un vibrante discorso in difesa delle ragioni di Putin, arrivando a paragonare il presidente riformatore liberale georgiano Mikhail Saakashvili a “Saddam” (e la cosa fu talmente plateale che il povero Paolo Guzzanti, già presidente della Commissione Mitrokhin, diede le dimissioni dal gruppo parlamentare del Pdl). Se Berlusconi non ha mai nascosto la sua amicizia, anche personale, con il presidente russo, Matteo Salvini ha ereditato dalla Lega bossiana un forte legame con la destra nazionalista russa. Un legame che risale all’amicizia con Vladimir Zhirinovskij, leader dell’ultra-destra che voleva distruggere gli Usa a colpi di bombe atomiche, ma prometteva di riconoscere l’indipendenza della Padania. Dall’amicizia con queste singolari figure del mondo post-sovietico, la Lega bossiana ha poi coerentemente maturato la sua difesa d’ufficio della Jugoslavia di Milosevic, fino ai drammatici giorni della guerra nel Kosovo (probabilmente l’unico partito separatista europeo che tifava per la repressione armata di un movimento secessionista). E automaticamente il legame si è trasferito a Putin, specialmente da quando il presidente russo ha sposato una linea politica più nazionalista. Salvini ha fatto di tutto per mostrare la sua vicinanza al leader del Cremlino, con metodi pop (farsi fotografare sulla Piazza Rossa con la sua maglietta celebrativa), diplomatici (l’opposizione costante alle sanzioni europee) e partitici (l’associazione anche formale fra la Lega e Russia Unita, il partito di Putin).

Quanto al partito in più rapida crescita nel centrodestra, Fratelli d’Italia, la sua simpatia per il leader russo è stata espressa in molti modi. Fra cui anche i complimenti subito inviati da Giorgia Meloni a Putin in occasione della sua rielezione, mentre in tutto il resto d’Europa si dava quasi per scontato che quelle elezioni fossero fraudolente. A livello locale, è a suo modo memorabile la campagna elettorale di Adelina Putin, a Vicenza: “Vuoi votare Putin? Ora puoi!”. Lo slogan stesso fa capire che è una tattica vincente sfruttare la popolarità dello “zar” russo. Lo stesso slogan non si potrebbe usare per altri leader autoritari (“Vuoi votare Erdogan? Ora puoi!” “Vuoi votare Xi? Ora puoi!”) e non solo perché i loro cognomi sono meno diffusi in Italia.

Qual è il problema, adesso? Che se i partiti filo-russi vogliono governare e farsi valere anche fra i partner internazionali, devono comunque, in ogni caso, abbandonare il loro putinismo e allinearsi alla politica occidentale. Letteralmente in ogni caso: se anche la Lega volesse far gruppo con i partiti sovranisti ed euroscettici dell’Europa centrale, fra loro c’è il PiS polacco, dal cui punto di vista la Russia è un pericolo esistenziale. Se anche si decidesse di fare fronte comune con altri partiti conservatori della Anglosfera, sia Donald Trump che Boris Johnson sono stati comunque coerentemente dei leader della Nato e hanno trattato la Russia come un avversario strategico. Quale è. Se poi la Lega volesse completare la svolta moderata e, dopo l’adesione al Governo Draghi, volesse anche entrare nel Ppe, in quel caso sarebbe ancora “peggio”: se è vero che leader Popolari come Angela Merkel fanno affari d’oro con il Cremlino, la linea politica ufficiale è con la Nato contro la Russia, dalla parte dell’Ucraina contro le ingerenze russe, in difesa dei Paesi Baltici contro le mire neo-imperiali di Putin. Forse l’unica partner europea che garantirebbe la continuità di una strategia filo-moscovita è Marine Le Pen, ma in questi anni ha dimostrato che non può o non vuole formare un polo europeo alternativo.

Lasciare il putinismo per strada sarebbe un segno di grande maturità politica, anche se si vuole contestare il centralismo e il dirigismo dell’Ue, assieme ai Paesi che più ne soffrono. Ma non dovrà essere un compito lasciato a metà. Non si può avere la moglie europea e l’amante russa, come si credeva di fare durante la Guerra Fredda. Si dovrà amare la moglie. Visti i livelli di popolarità di cui gode il leader russo, una svolta atlantista o europeista non spiegata potrebbe generare delusione, disillusione, abbandono verso realtà ancor più alternative all’Occidente. Tenere i piedi in due scarpe e fingere che fra atlantismo e putinismo non vi siano contraddizioni potrebbe essere ancora peggio: la schizofrenia di chi predica in un modo e razzola nel modo opposto prima o poi si paga, come dimostra il caso di Gianfranco Fini, erede dell’elettorato del Msi che un bel giorno si mise a parlare (e a votare) come un leader di un partito liberal di sinistra. E perse tutti.

Per raggiungere una vera maturità politica, abbandonando il putinismo, i partiti di centrodestra dovranno fare la scelta più ardua: de-radicalizzare i loro elettorati. In questo caso: de-russificarli. Come? Dopo decenni di narrazione filo-russa non basterà dire “ho cambiato idea”. Ma si dovrà semplicemente iniziare a dire la verità.

Tutta la propaganda russa si fonda, infatti, su una montagna di menzogne, a cui gli amici italiani del Cremlino hanno sempre voluto credere, anche contro ogni evidenza dei fatti. Ma basta poco per smontarle, una ad una. Per capire che, ad esempio, la Russia, alleata dell’Iran, con regioni intere (come la Cecenia) governate da radicali islamici e la moschea più grande d’Europa a Mosca, non è un baluardo contro l’islam radicale. La Russia, alleata di ferro della Cina (con cui vota sempre assieme all’Onu, in ogni singolo dossier) non è un baluardo contro il regime di Pechino. Ed è tanto inutile ripescare il concetto “realista” fuori tempo massimo “teniamo buona la Russia, perché il vero nemico è la Cina”, perché entrambe le potenze sono allineate contro l’Occidente, da decenni ormai. La Russia, prima al mondo per numero di aborti in rapporto alla popolazione, non è neppure un baluardo dei valori cristiani. La Russia non è liberista, anche se molti libertari tengono a sottolineare che ha la flat tax e un debito pubblico inferiore a quello italiano. Però è al 92esimo posto nella classifica della libertà economica (Index of Economic Freedom), quando l’Italia, che pure non brilla di liberismo, è al 68esimo. Per chi teme che le sanzioni facciano collassare il mercato italiano, la Russia non è il primo Paese destinatario dell’export italiano, bensì il 14esimo. Ed è il 9° Paese di provenienza delle importazioni del nostro Paese. Non è una potenza economica, ma un Paese che, con i suoi 145 milioni di abitanti ha un Pil (1.576 miliardi di dollari) inferiore a quello dell’Italia (2.086 miliardi di dollari). Semmai è una potenza nucleare, prima al mondo per numero di testate, numero e qualità dei missili. Ed è ancora almeno al secondo posto per forze armate convenzionali. Una macchina militare di tutto rispetto che ha un unico principale obiettivo: sfidare la Nato. Cioè noi.

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