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Una liaison imprevista: Trump e Macron, così distanti e così vicini

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Più diversi non potrebbero essere, per ciò che sono e per come vengono rappresentati. Donald Trump è il presidente degli Stati Uniti più discusso di sempre: outsider, dato per sconfitto in partenza, preso in giro, osteggiato, perennemente sorvegliato speciale per battute sulle donne, tradimenti e presunti rapporti invasivi con la Russia, l’esponente miliardario della pancia del popolo che ha sgambettato l’élite. Emmanuel Macron è il funzionario che si è fatto strada tra i corridoi della politica, posato, innovativo, garbato, il rivoluzionario della politica francese senza ghigliottina, ma savoir-faire, il favorito prima ancora di sapere quali siano le sue idee. Sono diversi, eppure i due non sono sempre così distanti come verrebbe da credere.

Il 24 aprile il capo di Stato francese volerà a Washington dove sarà ospite di Trump che per l’occasione ha organizzato la prima cena di stato della sua presidenza. Avranno di che discutere, soprattutto dopo l’attacco missilistico in Siria, quando dall’Eliseo si sono fatti trovare pronti e non hanno esitato un attimo a sostenere il piano americano. E’ stato lo stesso Macron a dichiarare di avere le prove dell’utilizzo di armi chimiche da parte delle truppe di Assad così come ad annunciare, all’indomani dell’operazione, di essere riuscito a convincere Trump a non ritirare immediatamente le forze militari dalla regione: affermazioni smentite a stretto giro di posta da Washington giusto per rimarcare che i due sono diversi, però finiscono per incrociarsi spesso.

Perché se Trump è pronto ad accogliere Macron con tutti gli onori di casa, la scorsa estate il cerimoniale è andato in scena a Parigi, con il presidente americano a presenziare i festeggiamenti del 14 luglio, la banda militare che suona “Get Lucky” dei Daft Punk, la cena con le rispettive mogli sulla Tour Eiffel e la stretta di mano da record secondo gli standard trumpiani: mezzo minuto di handshake. Macron, dopo un attimo di sbandamento nel senso letterale del termine, ha tenuto botta e ne è uscito alla grande, dando l’impressione di saper trattare con Trump, non solo metaforicamente.

Trump è il boss che dopo aver torchiato apprendisti dallo sfarzoso ufficio di New York ora cambia le pedine del suo staff a ritmo serrato; Macron è un professionista nell’apparire a onor di fotografi e telecamere che non smarrisce l’aplomb nemmeno quando cammina tra le rovine delle Antille francesi devastate dall’uragano Irma in camicia bianca con le maniche arrotolate.

Gli antipodi che si incontrano e che costruiscono una rete di comunicazioni, tra strappi ufficiali e diplomazie costantemente all’opera, verso una special relationship molto particolare che rischia – se non è forse già accaduto – di lasciare con il cerino in mano Londra, il partner abituale di Washington: il governo britannico di Theresa May si è schierato con il vecchio alleato nell’intervento siriano, ma allo stesso tempo ha dimostrato in diverse occasioni di fare più fatica a gestire l’ingombrante interlocutore statunitense, suggerendogli pure di cancellare il viaggio nella capitale per l’inaugurazione della nuova ambasciata mentre tra l’opinione pubblica montava la protesta per le politiche sull’immigrazione.

E se, a proposito di ambasciate, Trump ordina che quella in Israele venga definitivamente trasferita dal Tel Aviv a Gerusalemme, Macron si unisce dapprima al coro del no, giudicando la scelta “una minaccia per la pace” durante una conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Parigi (dicembre 2017), poi spedisce il consigliere per la sicurezza nazionale, Aurélien Lechevallier, in missione a Ramallah per incontrare alcuni importanti esponenti governativi palestinesi, chiedendogli di concedere un’occasione al piano di pace di Trump per il Medio Oriente (gennaio 2018). La distanza più marcata resta quella sulla questione ambientale, dopo lo strappo di Trump sugli accordi della Conferenza di Parigi al quale Macron ha però risposto senza calcare la mano, ma sfruttando ironicamente lo slogan che ha scandito la campagna elettorale di The Donald e aprendo le porte della Francia ai ricercatori scientifici con l’obiettivo di “Make Our Planet Great Again” e garantendo finanziamenti statali per portare avanti le ricerche in ambito climatico.

Il 2018 dei due sarà impegnativo: le Midterm Elections per testare lo stato di salute del suo mandato per Trump, la vasta mobilitazione sindacale contro la riforma delle ferrovie per Macron. Magari si ritroveranno presto per raccontarsela, intanto continuano a saldare la loro liaison imprevista.

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