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Ma tutti questi cookies ce li dobbiamo mangiare per forza?

Tutte le pratiche commerciali scorrette e i rischi per la privacy dietro uno dei più fastidiosi momenti della navigazione su internet

Cookies (Wiki Commons, public domain) (Wiki Commons, public domain)

Premessa: questa breve trattazione non contiene elementi strettamente tecnici né vuole essere uno strumento per rendere “sicura” la vostra navigazione sul web, ma affronta un aspetto che nessuno dei siti web sui quali ci colleghiamo ogni giorno fa piena luce.

Strategie commerciali

Diciamo, innanzitutto, che ai primordi di internet esistevano soltanto due tipologie di siti web: quelli gratuiti e quelli accessibili previo pagamento di una somma di danaro a titolo di abbonamento. Nel corso degli anni, con l’incredibile sviluppo della rete, diventata il primo strumento di comunicazione commerciale al mondo già nel primo decennio del terzo millennio, i fornitori di informazioni di qualsiasi genere (commerciale, multimediale, giornalistico, personale  ecc.) hanno sempre più ceduto alla lusinga di monetizzare l’attività dei lettori dei proprio sito.

Almeno inizialmente, anche il più modesto blogger in ambito locale (è capitato pure a chi scrive) ricevevano inviti, principalmente da Google, per aderire ad Ad Sense un geniale sistema che, semplificandone il funzionamento all’essenziale, consente di guadagnare pochi spiccioli per ogni clic che i lettori di qualunque pagina web appongano su un riquadro pubblicitario inserito da Google, in modo del tutto autonomo e poco controllabile dal gestore del sito.

In questo caso, di fatto, il webmaster che s’iscriva a Ad Sense di Google perfeziona un contratto commerciale sostanzialmente corretto e facile da comprendere: io ti aggiungo pubblicità che, a mia volta, faccio pagare all’azienda che pubblicizzo, e pure tu ci guadagni qualcosa per ogni clic su quel messaggio pubblicitario.

Uscire dal sistema era (parlo di oltre 15 anni fa) comunque molto semplice e pure io lo feci, non approvando né l’argomento né il tono dei messaggi pubblicitari che mi trovai sul mio povero blog di provincia. Ancor prima che mi venissero contabilizzati e versati i proventi dei clic eventualmente apposti dai miei lettori, mandai un messaggio fiammeggiante a Google: “Toglietemi subito da questa schifezza, oppure vi faccio causa per almeno otto buoni motivi, e fatelo pure a velocità del fulmine”.

Il giorno seguente ero fuori e tutto finì senza problemi. Mai più pensato a monetizzare la mia attività sul web con quel sistema, ma ciascuno è libero di pensarla diversamente. Probabilmente non è cambiato molto, dopo 15 anni, ma non so di preciso, anche perché lo trovo un sistema da sfigati e la cosa m’interessa poco.

Ma poi arrivarono i cookies

In tre parole, i cookies (e già il riferimento ai dolcetti anglosassoni la dice lunga in tema di obliquità…) sono stringhe di testo nascoste che permettono al proprietario del sito web di conoscere il comportamento dei lettori su quelle pagine (diciamo solo su quelle, ma ci sarebbe da  obiettare anche su questo), permettendo la famosa “miglior navigazione” di quell’utente, ossia, per esempio, di non dover digitare nuovamente i propri dati quando si ritorna su quel sito, oppure di permettere al sito di memorizzare alcune preferenze degli utenti, presentando con priorità argomenti inerenti gli interessi e i gusti personali desunti dalle pagine consultate da chi accetti quei cookies.

Ti piace la musica jazz? Ok, io ti riempio pagine dei più svariati siti sui quali tu navighi, di pubblicità e riferimenti al jazz. Qui sorge un robusto problema, proprio perché io, accettando i dolcetti,  pensavo di rendere più veloce e coinvolgente la navigazione su quel sito e non volevo certamente farmi riempire di pubblicità anche su altre pagine su argomenti che voi presumete m’interessino.

Anche qui, l’inghippo trova una tutela più o meno legittima: il venditore di dolcetti ti mette una lunga e dettagliata lista dei fornitori di messaggi pubblicitari che potranno arrivarti, tu li accetti e la cosa assomiglia meglio ad un contratto regolare. Si storce il naso, ma business is business. I tecnici mi diranno che esiste una differenza tra cookies essenziali (che dovrebbero rimanere custoditi sul server di quel solo sito) e cookies di profilazione cedibili a terzi, ma la sostanza cambia di poco.

E se i cookies se li vendono a tua insaputa?

Ecco la vera complicazione potenzialmente dannosa. Ti viene detto chiaramente che le tue preferenze su quel sito verranno comunicate a “venditori” esterni collegati ai gestori di quel sito. Sennonché tali venditori non sono direttamente le aziende che ti manderanno la loro pubblicità “mirata”, ma agenzie di raccolta e profilazione commerciale che venderanno i tuoi dati alle aziende, permettendo di dirigere la loro pubblicità presumendo che i destinatari della stessa siano persone interessate a quegli articoli o servizi.

È proprio quel passaggio intermedio che perviene alle agenzie che vendono i tuoi dati (e Dio non voglia che tu non abbia immesso anche dati veramente personali) a rendere tutto più complesso e pericoloso per la nostra privacy. A proposito: come ben immaginerete, l’Autorità Garante della Privacy e quella per le Garanzie nelle Comunicazioni si sono occupate molte volte ,e quotidianamente lo fanno ancora, della cosa. Una semplice verifica su quei siti istituzionali permetterà a chiunque di farsi un’idea sull’efficacia della normativa specifica in materia di profilazione a scopi commerciali.

Proseguire la navigazione

Per non parlare dell’impossibilità di proseguire nella navigazione se non si acconsenta all’utilizzo dei cookies. È cosa che verifichiamo tutti, ogni giorno. Molti, troppi, siti, tenuti per legge a chiederti se tu intenda o meno accettare l’utilizzo dei cookies cosa fanno? Se tu ‘sti stramaledetti cookies li accetti in toto, nessun problema: continui a navigare sul sito senza problema (salvo quelli che arriveranno eventualmente in un secondo tempo).

Se tu, com’è tuo diritto, intenda negare l’utilizzo dei mefitici dolcetti, ti blocchi lì e la navigazione non prosegue, Ma… ma… non era mio diritto rifiutarli? Questa simpaticissima pratica è assai diffusa e non sfuggono molti tra i principali quotidiani online. Enti partecipati dallo Stato, agenzie di stampa e così via. E che dire del tastino “Continua senza accettare” nascosto oppure (questo è colossale) che non funziona? Ma per chi ci prendono questi farabutti?

E fare scorrere interminabili liste di fornitori per dare o togliere selettivamente l’assenso è legale? Sì, in senso stretto lo è, ma certamente non è corretto, esattamente come non è corretto presentare bollette dei servizi essenziali, tuttora assolutamente illeggibili ed incomplete. E le nostre onnipresenti Autorità Garanti che fanno? Poco di risolutivo, spiace ammetterlo.

Chissà che qualche accorto e previdente gestore di siti web non abbia successo dicendo chiaro e tondo che su quel sito non vi sono cookies di profilazione – di sicuro per me sarebbe un incentivo a seguire quel sito.

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