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Mettere in pausa l’AI? Tre motivi a favore dell’appello di Musk

I rischi di una sperimentazione che coincide con somministrazione all’intera umanità. Diffusione globale non sempre corrisponde a credibilità

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Come vi dicevo pochi giorni orsono, la tematica relativa alla AI (Artificial Intelligence) è assai più complessa di quanto potrebbe sembrare, anche considerando tale tecnologia cibernetica dal solo punto di vista dei vantaggi che gli algoritmi di quel tipo possono offrire alla società del domani. Pur non dubitando affatto che la ricerca tecnologica applicata ai computer possa dare risultati stupefacenti e migliorativi della vita quotidiana, sorgono dubbi, molti dubbi, sugli effetti collaterali delle nuove frontiere cibernetiche.

La “scorciatoia”

Nel citato mio ultimo articolo, si concludeva parlando dell’ultima implementazione della AI, ossia le chat GPT, quei servizi informatici che permettono di porre via web delle domande specifiche ad un elaboratore centrale che fornisce risposte “sensate” agli interpellanti, basandole sulla fulminea ricerca e correlazione delle parole della domanda all’interno della sconfinata prateria di internet.

Attraverso le chat GPT, senza dover utilizzare il nostro cervello, possiamo fare ricerche, senza dover accostare tra loro le varie fonti d’informazione, verificare la plausibilità degli elementi estrapolati dall’immenso calderone delle memorie informatiche, e così qualsiasi computer o smartphone fa tutto da solo e vi spara sullo schermo relazioni, trattati e compendi su qualunque campo dello scibile in pochi secondi.

Ribadisco le mie perplessità sulla bontà dei dati restituiti dal sistema GPT e sul loro disvalore educativo per i giovani (che sono certamente i maggiori fruitori di tali “scorciatoie” informatiche), ed ho oggi una freccia in più nella faretra del mio ragionamento, che voglio sottoporvi con queste note. Cosa è dunque accaduto?

L’appello di Elon Musk

Proprio mentre noi discettavamo amichevolmente su Atlantico Quotidiano delle chat GPT, salta fuori che nientemeno Elon Musk rompe le righe e la spara grossa: la ricerca sull’Intelligenza Artificiale dovrebbe, per usare le sue stesse parole “essere fermata in quanto potrebbe costituire un serio pericolo per l’umanità”.

Bingo. L’asserzione di Musk, peraltro condivisa dal cofondatore della Apple, Steve Wozniak, è stata pubblicata dal Future of Life Institute, organizzazione no-profit che, oltre allo stesso Musk, annovera personaggi di spicco come il cofondatore di Skype, Jaan Tallinn, professori universitari importanti, come Alan Guth (ordinario di fisica al Massachusetts Institute of Technology), George Church (professore di genetica ad Harvard). Apprendiamo inoltre che sarebbero oltre mille i ricercatori e gli scienziati che aderiscono alla proposta shock di Musk.

Orbene, per quanto sia del tutto prevedibile che, soltanto a pronunciare il nome “Elon Musk” si leveranno le barricate ideologiche degli odiatori di turno e che ci saranno innumerevoli tesi avverse, che ci piaccia o meno, e non è di lui che voglio parlare specificamente oggi, non possiamo negare al geniale sudafricano naturalizzato Usa che sia uno che le cose le intuisce in anticipo e poi le fa sul serio.

Pausa di riflessione

Sgombrato il campo dalla possibile eccezione “ma cosa vuoi che ne sappia quello scemo lì, che mi sta pure sulle balle e di sicuro vuole conquistare il mondo”, che certamente rappresenta una bella fetta dell’opinione pubblica, tanta fermezza nello sparigliare le carte, in un momento in cui l’Intelligenza Artificiale (di cui il sistema GPT è una delle punte di diamante) ci viene presentata come l’unica soluzione praticabile del progresso scientifico e sociale, dovrebbe farci riflettere.

Proprio questo, in sostanza, chiedono gli scienziati sodali dello spaziale Elon: fermarsi (secondo loro basteranno soli sei mesi) a riflettere su ciò che stiamo facendo, prima di metterci in un guaio dal quale potremmo non avere gli strumenti per uscirne. Mi pare una richiesta sensata e condivisibile, per una serie di motivi che potremmo condensare in tre punti fermi.

Diffusione e credibilità

Primo. La ricerca scientifica è internazionalmente e storicamente regolata da schemi assai poco flessibili, che nel corso della storia sono stati elaborati e condivisi nel metodo onde evitare che chiunque possa fare danno alla società basandosi sul proprio consenso personale (oggi più che mai quasi esclusivamente mediatico), oppure sulla mancata sperimentazione preventiva ed effettuata con regole (per citarne una sola, quella del doppio cieco) che nei secoli hanno dimostrato la loro efficacia.

Accade, al contrario, che in questo giovane e sufficientemente sciagurato terzo millennio, ogni cosa che sia veicolata da internet assume apoditticamente criteri di credibilità ed autorità che magari non possiede o non merita. Potremmo fare centinaia di esempi, che preferisco lasciare al lettore, e su questo, tagliando corto, non ci piove.

Troppe scemenze legate ad internet vengono trattate come serie soltanto perché diffuse capillarmente come mai prima d’oggi fosse possibile fare. Diffusione globale non corrisponde necessariamente a credibilità, sia ben chiaro.

La lezione dei vaccini anti-Covid

Secondo. A favore di una richiesta di rallentare la folle corsa verso l’assoluta IA milita una considerazione che ci proviene da una lezione che sembra proprio non abbiamo imparato, seppure pochissimo tempo fa e sulla nostra pelle.

Quale che sia la posizione individuale di ciascuno sulla pandemia da Covid-19, non possiamo negare che il nocciolo della vexata quaestio stia proprio nella domanda se la sperimentazione dei vaccini che ci sono stati imposti potesse essere stata sufficiente, prima di somministrarli all’intera umanità.

Lo ripeto, per essere chiaro: non intendo immettermi nella polemica “pro-vax” oppure “no-vax”. Non m’interessa e non ne ho la profonda conoscenza scientifica che dovrebbe essere proprio l’abc di chi ne parli. Mi permetto, semmai, di scomodare nuovamente il già citato Galileo Galilei, al quale viene riconosciuto il ruolo di padre della ricerca scientifica sperimentale.

Condenso e proseguo, per non fare l’ennesimo trattatello: la sperimentazione effettuata con criteri severissimi deve necessariamente precedere l’adozione e la somministrazione a pioggia di una nuova tecnologia. Se rinunciamo a questo diagramma di flusso, come lo chiamano gli informatici, rischiamo di mandare tutto in vacca.

Un conto è parlare di una rappresentativa ed ampia schiera di beta tester nella fase di sperimentazione, e tutt’altro è buttare in pubblico dominio una nuova tecnologia prima di averla sperimentata. Invertire o frammischiare queste fasi non porta mai a buoni risultati.

Mondo simulato e mondo reale

Terzo. Anche e soprattutto facendo riferimento all’invasiva pubblicità che troviamo sui media, passare da qualcosa iniziato per gioco a scoperte che possono cambiare la vita sul pianeta, sembrerebbe cosa normale e scontata, mentre non lo è affatto.

Sul punto, osserverei che, in grandissima parte, le tecniche di Intelligenza Artificiale sui computer sono nate nei primissimi anni ’90 coi primi giochi di simulazione (ancora prima che venisse inventato Windows), mentre chi utilizzava il pc per lavoro o ricerca ne sfruttava quasi unicamente la funzione di database, ossia immagazzinando serie enormi di dati per poi recuperarli in tempi brevissimi secondo il bisogno.

La fase di simulazione (ossia quella di ricreare sulla macchina comportamenti e situazioni reali) è, curiosamente ma realisticamente, nata dopo, coi primi giochi per pc. Una prova? I simulatori di volo utilizzati in ambito civile e militare, ultimo ed insostituibile passo prima di affidare al cadetto una vera macchina volante, sono nati dai simulatori di volo come semplici giochi, non viceversa.

Ma schiantarsi col simulatore non è lo stesso che farlo con un aereo vero, anche se i dirottatori delle Torri Gemelle ci riuscirono perfettamente, pur essendosi quasi unicamente addestrati (è storia, purtroppo…) con Windows Flight Simulator.

Probabilmente, almeno lo spero, Elon Musk vuole richiamare la nostra attenzione sulle dinamiche diverse tra mondo simulato e mondo reale. Dare troppo peso a ciò che funziona bene nei giochi e pretendere di trasferirlo pari pari nella vita di tutti noi, non considerando le ben diverse e più gravi conseguenze, potrebbe, almeno in ipotesi, avere effetti catastrofici.

In conclusione: proprio perché stiamo insensatamente correndo tutti sempre più, e stiamo appena oggi accorgendoci che non sempre “velocità” corrisponde a “buono”, sentire qualcuno che invita a fermarsi un attimo a ragionare, e non m’importa un fico secco dei motivi che lo spingano a farlo, non mi pare sia tanto scellerato.