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Nella corsa ai vaccini Ue non pervenuta, rivela tutta la sua ipocrisia. E in Italia è stallo

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A proposito di che razza di gente ci rappresenta in Europa, l’altra sera su ReteQuattro, dalla Palombelli, una deputata europea del Pd ha insistito ripetutamente, brandendo il suo telefonino a riprova, che la Ue avrebbe investito 2.000 miliardi in ricerca sui vaccini, una cifra mostruosa per la dimensione, che di per sé stessa denunciava una abissale ignoranza circa le entrate dell’Unione per il 2020, intorno ai 150 miliardi. La verità è che la nostra amica aveva semplicemente moltiplicato per mille la spesa effettiva, pari a due miliardi, comunque minima rispetto a quella che avrebbe dovuto essere investita, non comparabile assolutamente alla spesa della amministrazione Trump, cui dovrebbe essere riconosciuto il merito di aver promosso ed incentivato le Big Pharma statunitensi, che, alla fine di una corsa spettacolare, hanno varato a tutt’oggi tre vaccini estremamente efficaci.

Non ci fa certo onore che in questa corsa l’Unione sia stata del tutto assente, mentre Cina, Russia, la stessa reproba Gran Bretagna – che, dopo la Brexit, avrebbe dovuto essere travolta dalla arroganza di voler camminare da sola – vantino i loro bravi vaccini; assente e totalmente dipendente, con addirittura la penosa lentezza nella procedura di autorizzazione da parte dell’Agenzia europea del farmaco (Ema), cui proprio la consolidata struttura burocratica conferiva una potestà discrezionale vissuta e contrabbandata come autorevolezza non influenzabile minimamente dalla politica. Ma la lezione dei fatti ha dimostrato che questa indipendenza non era affatto vera, tanto che, quando la insofferenza della politica per lo strascicare della procedura con la scusa della massima sicurezza ha raggiunto il culmine, la stessa Agenzia ha improvvisamente scoperto di poter accelerare, con una approvazione destinata ad apparire tanto più superflua quanto più scontata, visto ormai l’utilizzo di quei vaccini sotto esame a dimensione globale.

Costretta a pensare a sé stessa, l’Ue ha rivelato tutta l’ipocrisia della tanto vantata solidarietà, sì da far sua la politica di “prima gli europei”, sia carezzando l’idea di un blocco delle esportazioni dei vaccini prodotti nella stessa Unione, sia bocciando la suggestione del populista e sovranista Johnson di riservare un 5 per cento dell’intera disponibilità vaccinale ai Paesi sottosviluppati. Già, il premier britannico se lo poteva permettere, visto che AstraZeneca era di casa e la campagna vaccinale procedeva a tappe forzate, portando la Gran Bretagna ai primi posti per la percentuale di persone raggiunte rispetto alla popolazione.

Solo che questa riscoperta sovranità vaccinale europea non è capace di tenere a bada le singole nazioni che ne fanno parte, dato che è basata su una carenza di vaccini, almeno in parte dovuta alla totale incapacità tecnica nella contrattazione con le Big Pharma, dove in poche parole la fornitura promessa è stata affidata al loro buon volere, con buona pace della nostra credibilità, dato che la responsabile sarebbe stata una italiana laureata in lingue. Le nazioni europee cominciano ad andare per la loro strada, nonostante la ossessiva rassicurazione proveniente da Bruxelles che entro l’estate tutta la popolazione europea sarà vaccinata, sì da fare gli occhi dolci allo Sputnik; ma, soprattutto, cominciano a farsi carico di quel che l’Ue non è in grado di realizzare tramite un coordinamento, cioè del futuro, per realizzare una indipendenza vaccinale capace di far fronte alle varianti, come Austria e Danimarca, cui va aggiunta la Norvegia pur fuori dall’Unione, intenzionate a far squadra con Israele.

L’Italia è in situazione di stallo, parte per la carenza di forniture, parte per le deficienze organizzative, che dal centro si sono irradiate nelle regioni, dando vita ad una vera balcanizzazione, che investe completamente anche le regioni “virtuose”. In testa, accoppiate nonostante la diversa coloritura politica, Lombardia e Emilia Romagna, che accompagnano una virulenta terza ondata con una vistosa carenza nella campagna vaccinale. Nessuna sorpresa per la Lombardia, accusata e condannata senza appello per la deficienza della sanità territoriale, ma che dire dell’Emilia Romagna, assurta a modello della sanità italiana, come tale esportabile in tutto il mondo? La totale perdita di lucidità risulta evidente nella stessa programmazione che è qui nella regione ormai rosa pallida, ha tenuto bene fin che si trattava di vaccinare il personale sanitario, con una accezione estremamente ampia, tanto da comprendere pure il personale amministrativo, non solo localizzato lontano dall’ospedale, ma anche in smart working. Ma la difficoltà è sorta nel procedere oltre secondo il criterio delle categorie, anche a causa della riserva dell’AstraZeneca fino prima ai 55 poi ai 65 anni, sì da creare un ingorgo ingestibile: seconda iniezione al personale sanitario con Pfizer e Moderna; prima iniezione dagli ottantenni in su sempre con Pfizer e Moderna; prima iniezione con AstraZeneca ai docenti, destinati a restarsene a casa, ai militari… Completamente dimenticati gli anziani, quelli dagli 80 anni in su programmati fino alla fine di aprile, nonché quelli dai 65, lasciati a tutt’oggi completamente a perdere.

Il Governo Draghi ha dichiarato il fallimento del Governo Conte 2, licenziando il direttore della Protezione civile e il commissario all’emergenza; ma senza toccare il responsabile politico, il ministro della salute Speranza, quasi prendendo spunto da Biden che ha dichiarato indesiderabili una settantina di funzionari dell’Arabia Saudita per il delitto Khashoggi, ma senza toccare minimamente il principe ereditario. Ora si viaggia fra previsioni rosee, per il presente, come il salto a 300/500 mila iniezioni giornaliere, contando sull’arrivo massiccio di dosi e progettazioni ambiziose; e realizzazioni, per il futuro, di centri di produzione su licenza, entro quattro-sei mesi, dando per scontato che ci dobbiamo arrangiare da soli, se pur con la incredibile giustificazione che, comunque, ci terremo per noi solo quel 13 per cento e rotti pari alla nostra quota europea, dando il resto all’Unione. Non c’è alcun dubbio che la stessa Italia si sia incamminata su quella strada del sovranismo nazionale che si alimenta all’impotenza europea, come comprova la decisione da primo della classe di vietare l’esportazione del vaccino AstraZeneca, una dimostrazione di muscoli che lascia non poco perplessi, perché non lo produciamo, se non in minima parte, ma ne usufruiamo solo col contagocce.

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