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Ecco perché il nostro calcio non riesce ad attrarre investimenti all’altezza delle big d’Europa

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E’ più o meno un decennio che le squadre di calcio italiane sono uscite da quel gruppetto di società ai vertici in Europa per fatturato e per vittorie. Quasi come se la vittoria della nazionale a Berlino abbia rappresentato il tramonto della semi-egemonia delle squadre italiane di club ai vertici del calcio europeo.

Le motivazioni di questo decennio di non vittorie sono sicuramente molteplici, ma un evidente gap relativo alle capacità economiche delle società italiane è un dato che salta agli occhi di tutti.

Che l’Italia non sia più un Paese ricco è purtroppo risaputo e che questo impatti sulle società di calcio è inevitabile. Di conseguenza il prodotto calcio, che esportavamo con vanto, è drasticamente caduto in basso per svariati motivi, tra cui la mancanza di lungimiranza dei dirigenti che si sono cullati sugli allori del passato.

Con l’avvento degli investitori asiatici e americani e dei petroldollari (che siano arabi o russi) il calcio europeo ha visto un’impennata di introiti che ha solo marginalmente sfiorato la nostra penisola calcistica, aumentando il gap con le squadre europee e costringendo i dirigenti delle società italiane a salti mortali per evitare la bancarotta.

Che le società di calcio siano diventate delle aziende a tutti gli effetti è ormai una cosa nota; sono rari i magnati che investono i propri soldi nel calcio solo per la passione che li lega a questo sport o ad una squadra in particolare senza avere nulla in cambio.

Il calcio italiano non fa eccezione, purtroppo però la situazione del Paese non aiuta. Gli investitori, italiani o esteri che siano, sono spaventati dal peso fiscale sulle società e dagli impianti sportivi fatiscenti o lontani anni luce dagli standard europei. Quindi, senza un’oculata politica di investimenti, che il più delle volte corrisponde a indebitamenti, a 360 gradi su strutture e atleti, rischia di trascinare le società di calcio verso la necessità di fare cassa vendendo all’estero i talenti coltivati in casa o ancor peggio verso la bancarotta.

Gli invertitori esteri che hanno avuto il coraggio di esporsi in Italia ancora non hanno potuto ottenere gli introiti che speravano.

Basti pensare al presidente della AS Roma, James Pallotta, attirato da una tifoseria calda e capace di elargire tanto affetto (leggi euro) verso la propria squadra del cuore, che si sta scontrando con tutti gli intoppi burocratici nella costruzione di uno stadio di proprietà. Il presidente ha avviato il progetto da più di sette anni e ancora non è stata posata la prima pietra. Tutto ciò ha portato inevitabilmente la società a puntare su introiti derivati dalle vendite dei giocatori lanciati in prima squadra.

E la Roma è solo un esempio di quanto sia difficile avviare un progetto, ma anche le società milanesi hanno incontrato e stanno incontrando svariati ostacoli, con diversi attori e diverse vicissitudini, ma con risultati analoghi, ossia assenza di vittorie.

Eccezione in fattore di crescita economica e di vittorie è rappresentata dalla Juventus. La società di Torino, supportata e guidata dalla storica famiglia piemontese, ha saputo risollevarsi dal baratro di Calciopoli e in un quinquennio è riuscita sistemare i conti, costruire una squadra vincente e avviare una serie di business che le permettono di sedersi al tavolo delle più potenti di Europa. Come ha fatto la Juventus ad essere la più ricca e la più vincente del calcio italiano negli ultimi anni? In primis portando una serie di manager in ogni settore dell’azienda di alto livello, che hanno messo in condizione la società di crescere economicamente e contestualmente di costruire e guidare una squadra con molti ottimi giocatori. Lo stadio di proprietà è solo il frutto di un lavoro basato su investimenti e lungimiranza. Lungimiranza? Forse, ma era tanto difficile capire che le più grandi squadre europee possiedono un impianto di proprietà dagli albori, mentre le squadre italiane hanno evitato di investire in questa direzione fintanto che c’erano a disposizione stati di proprietà di enti statali da sfruttare?

Ma cerchiamo di capire perché un investitore preferisce puntare sul calcio italiano. Per costruire una squadra vincente che attiri attenzioni di tutto il mondo e partecipi alle competizioni più importanti per vincerle, si potrebbe ipotizzare. Tutto ciò, oltre alle soddisfazioni sportive, dovrebbe portare anche soddisfazioni economiche.

Ogni dirigente di azienda sa che per crescere e migliorare bisogna investire. Un buon investitore deve capire quali sono le fonti di entrata della società e cercare di migliorarle e contestualmente cercare di limitare, ove possibile, le spese, ma con l’assioma che se ho più entrate posso sopperire a più spese.

Da dove possono ottenere soldi le società di calcio?

  • Biglietti/Abbonamenti;
  • Diritti tv;
  • Sponsor;
  • Merchandising;
  • Cessioni calciatori.

Analizziamo uno per uno questi punti per le squadre italiane.

Considerando lo stato attuale di molti stadi di serie A, è impensabile di chiedere ai tifosi cifre vagamente vicine a quelle che esborsano gli altri tifosi europei. Inoltre l’affluenza allo stadio sta calando per quasi tutte le realtà della nostra massima serie. Gli stadi sono per lo più vecchi, difficili da raggiungere e non offrono servizi ai tifosi. A parte alcune eccezioni (Juventus, Udinese e pochi altri) gli stadi risalgono a trenta anni fa o anche di più, con pochissimi interventi di ristrutturazione. Questo perché non sono gestiti dai privati, ma dai comuni, che coerentemente con la situazione dello Stato italiano, non hanno soldi da investire sulle strutture sportive e inoltre (forse perché le vedono come un’entrata certa da parte delle società che li affittano) ne rendono difficile la vendita alle squadre stesse.

Se pensiamo ai diritti Tv, dobbiamo dividerli tra i diritti per la trasmissione in Italia delle partite e quelli per la trasmissione all’estero. Il bando emesso dalla Federcalcio ha portato nelle case delle società italiane un po’ di ossigeno, ma neanche lontanamente paragonabile a quello che prendono le società spagnole o quelle inglesi, dove, anche le piccole società percepiscono cifre ragguardevoli, nonostante siano lontane da quelle percepite dalle squadre di vertice. Perché tutto ciò? Perché il calcio italiano ha meno campioni internazionali ed è meno affascinante degli altri campionati ed è quindi “poco vendibile” all’estero dove vogliono vedere tanti goal e spettacolo. Il nostro calcio purtroppo non esporta spettacolo né sul terreno di gioco, dove passano pochi campioni e poche giocate spettacolari, né sugli spalti, quasi sempre vuoti e in stadi, come dicevamo prima, fatiscenti e obsoleti.

Gli sponsor, ovviamente, seguono di pari passo i diritti Tt. Sponsor internazionali sono attirati di più da squadre che giocano in campionati con grande visibilità ed è inevitabile che anche qui siamo in ritardo rispetto ad altri club europei.

Il merchandising è dato da un insieme di visibilità, vittorie, visione di business e passione, dove quest’ultima rappresenta una piccola percentuale. Mentre visibilità e visione di business passano necessariamente per uno stadio di proprietà dove il tifoso, ma anche l’appassionato, possa portare altro denaro nelle casse della società.

In ultimo c’è la cessione dei giocatori, questo punto però rischia di avere un impatto notevole sulle vittorie della squadra. I giocatori che si possono vendere vengono necessariamente dal settore giovanile o da calciatori acquistati a basso costo e rivenduti ad un costo più alto. Un buon settore giovanile riesce a fornire buoni giocatori da utilizzare in prima squadra o da vendere in non meno di 6 anni, quindi un progetto che si basi sul settore giovanile dovrebbe aspettare un bel po’ prima di vedere i propri frutti. Comprare subito un calciatore ha non poche difficoltà, specialmente in Italia: il costo di un giocatore si compone del prezzo del cartellino dello stesso e di quanto ci si accorda per lo stipendio. Questi sono i tasselli base, poi però si entra nei meandri dei regolamenti del fisco nazionale.

In Italia per comprare un calciatore, oltre a pagarne il cartellino, si deve pagare circa il doppio dello stipendio netto per il quale ci si accorda con lo stesso. Se poi il giocatore viene da una squadra italiana, si deve presentare una fideiussione pari al lordo dello stipendio che percepirà lo stesso per tutta la durata del contratto. Vale a dire se la società si accorda per due milioni netti a stagione per quattro anni, si deve presentare una fideiussione di sedici milioni di euro. Per non parlare delle commissioni che si prendono gli intermediari (leggi procuratori e fondi di investimento). Allora è più facile comprare giocatori all’esterno? Dipende. Alcuni stati agevolano le società di calcio, riducendo le imposte da pagare per un lavoratore dipendente, mettendo in difficoltà le società italiane che, per comprare lo stesso giocatore, devono pagare più tasse, quindi più uscite.

Pare evidente che ogni tassello che rappresenta le entrate di una squadra di calcio per le italiane sia in netto svantaggio rispetto alle altre compagini europee. Quindi non meravigliamoci se gli investitori guardano al nostro campionato solo in rarissimi casi.

Come uscire da questo vortice che sta relegando le squadre italiane a ruolo di comparse nelle manifestazioni continentali? Una mano ci è stata data dalla Uefa che ci ha “donato” un posto in più nella Champions League. Questo significa che ogni anno almeno quattro squadre italiane riceveranno oltre ad un consistente introito in denaro, anche la possibilità di partecipare alla competizione più ambita, dando visibilità al nostro calcio e ai nostri talenti.

Questa ventata d’ossigeno ci potrebbe permettere, come accennavamo prima, di fare investimenti nell’ottica di ottenere una crescita graduale che risollevi l’economia calcistica italiana e che magari dia una mano anche all’economia del paese.

Forse ho una visione troppo ottimistica, ma intanto speriamo che le quattro squadre che partecipano quest’anno alla Champions facciano più strada possibile, per avviare, assieme alla saggezza dei manager, un circolo virtuoso di crescita di tutto il calcio italiano, attirando qualche dollaro avanzato in qualche barile di petrolio dimenticato in giro.

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