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L’agenda Draghi, il mitico “Sarchiapone” diventato vessillo della sinistra

Tutti ne parlano con timore e riverenza, nessuno l’ha mai vista davvero e sa cosa sia. Contenuti, niente di niente. Come metodo, è la politica che abdica a se stressa

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In un vecchio sketch televisivo in bianco e nero, risalente al 1958, Walter Chiari è alle prese in uno scompartimento ferroviario con un misterioso animale, il Sarchiapone. E per quanti sforzi faccia, per quanta inventiva immaginifica possa metterci e per quanto si sporga e contorca e interroghi il proprietario della oscura bestia, non riesce a venire a capo delle fattezze della stessa.

Da quello sketch in poi, Sarchiapone, termine di derivazione napoletana già conosciuto nell’ambiente della rivista e dell’avanspettacolo, è divenuto sinonimo di qualcosa di indefinibile, di strano, di inconoscibile.

Esattamente come la agenda Draghi, tanto evocata dalla politica in questo primissimo scorcio di climaticamente infuocata campagna elettorale.

Vessillo della sinistra

L’agenda Draghi, che nessuno davvero ha idea di cosa sia e in cosa, precisamente, consista, è divenuta vessillo privilegiato della sinistra che, con elevatissimo senso di responsabilità e volendo obliare per convenienza le colpe del glorioso alleato Giuseppe Conte, vorrebbe ambire a succedere all’ex direttore della Bce, incarnandone lo spirito di servizio repubblicano.

Sotto l’agenda, niente di niente

L’agenda Draghi, a ben vedere, sembra punteggiare il dibattito politico con la consistenza ombrosa e nebbiosa degli pseudobiblia, quei libri fantastici, e inesistenti, creati dalla geniale penna di scrittori che con essi hanno intessuto l’architrave concettuale di un qualche mondo letterario: i libri finzionali di Borges, il Necronomicon di Lovecraft, la Guida intergalattica di Douglas Adams, e via dicendo.

Qualcuno potrebbe obiettare che l’agenda in questione consista negli interventi economici e strutturali promessi dall’ex premier e che quindi esista.

Proposito nobile ma ancora evanescente; perché a ben vedere, ad oggi, l’agendina, proprio a voler essere generosi, è quella dettata dal sistema di governance del Pnrr. Per il resto, dalla concorrenza in tutte le sue multiformi sfaccettature alla modellazione istituzionale del Paese, alla riforma del codice appalti, e a interventi economici organici e assortiti, niente di niente.

A ben vedere nessuno di questi interventi è mai stato approcciato, e a guardare ancor meglio ciascuno di essi costituisce oggetto di programmi politici e di interventi che nel corso degli anni hanno affaticato il legislatore. Si pensi al codice appalti, plurime volte riscritto, modificato, novellato, spesso sull’onda montante degli interventi euro-unitari.

In questi punti programmatici non c’è alcunché di davvero innovativo o titanico, come invece vorrebbe lasciar intendere il sistema mediatico e una certa parte politica.

Anzi, a volerla dire tutta sulla indispensabilità di una simile agenda sovra-umana, il governo si è talmente settato sugli obiettivi Pnrr da non essersi nemmeno accorto che combattere la galoppante crisi economica con un bonus da 200 euro equivale a cercare di spegnere un incendio con un super Liquidator. Tanto per la marmorea e olimpica competenza.

Il metodo Draghi, anzi Garofoli

E così, l’agenda Draghi è stata traslata dal lato empirico della decisione politico-legislativa e amministrativa all’apparato teorico-generale dell’approccio al modo di governare: sinonimo di serietà, di specchiata coerenza e di rigore, di assunzione di responsabilità, ovvero tutti quei lemmi che la politica italiana, dovendosi comunque confrontare con la pancia profonda del Paese, non può permettersi.

Quella modalità di governo te la puoi permettere se sei Mario Draghi e non per lo standing istituzionale, ma soltanto perché non hai necessità di confrontarti con il momento elettorale e con il consenso. Non esiste una agenda Draghi, esiste, semplicemente, Mario Draghi. E il suo metodo.

Che poi, a ben vedere, è il metodo Garofoli; quello di una iper-centralizzazione dei percorsi decisionali, capace di tenere all’oscuro politici e tecnici nei momenti in cui sarebbe necessario cesellare gli output normativi, arrivando in quel caso a compromessi e dilatando così i tempi della decisione.

La politica che abdica a se stessa

E allora l’agenda Draghi è divenuta qualcosa di piuttosto lineare e preciso, anche se dai lineamenti metafisici: l’abdicazione della politica al suo ruolo di intermediazione tra istanze della società e produzione normativa e di politiche pubbliche, e la sublimazione di un approccio che si vorrebbe decisionista e iper-verticista per silenziare gli infiniti costi di transazione tra compagini elettorali che definire eterogenee sarebbe assai limitativo.

Ai partiti le briciole

Nel marasma di un governo di ‘unità nazionale’ che di unito aveva ben poco e che all’approssimarsi inesorabile della sua scadenza naturale, e del clima di campagna elettorale permanente, si rendeva sempre più litigioso, diviso e pronto ad appuntare le proprie metaforiche bandierine su provvedimenti identitari, il metodo Draghi/Garofoli, il metodo quindi più che la agenda, sembrava fisiologico e inevitabile per andare avanti.

Appariva quasi come l’unico metodo utile per tenere tutti uniti; non lasciare che i partiti potessero metter bocca sui provvedimenti più delicati, importanti e attesi dall’Unione europea, e lasciar loro solo le briciole identitarie di misure e di atti di contorno.

In questo caso, con una benevola propensione per la parte sinistra del governo, a cui sono state riservate le maggiori attenzioni: nulla che possa davvero stupire se si analizza, anche solo superficialmente, il milieu politico-culturale dei principali consiglieri e collaboratori di Draghi.

L’auto-esautorazione

Appare quindi evidente per quale motivo la sinistra sia così desiderosa di essere riconosciuta come l’unica titolare ed erede di questa agenda: da un lato, perché la sua ontologica rendita di posizione rimonta direttamente alla collocazione egemonica rivestita all’interno del governo di ‘unità nazionale’, e dall’altro lato perché ciò implicherebbe il venir meno di qualunque faticosa ricerca di un programma elettorale.

Perché dover prendere posizione su fisco, spesa pubblica, investimenti, liberalizzazioni, guerra, revisione del catasto, quando si potrebbe semplificare all’estremo e trincerarsi dietro il vessillo di Draghi e della sua agenda?

Intendiamoci: voler nullificare la politica all’interno dell’abisso della competenza tecnica e della auto-esautorazione, può rappresentare uno straordinario assist per lo schieramento di centrodestra a patto che questi riesca a parlare, concretamente, di interventi, provvedimenti, progetti attesi dai cittadini, senza nascondersi dietro il mantra santificante dell’agenda Draghi.

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