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Potere ai “Competenti”, lo smarrimento dei partiti

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A poco più di tre mesi dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica, è legittimo cominciare a chiedersi se Mario Draghi sarà il successore di Mattarella al Quirinale oppure se continuerà a svolgere il suo incarico a Palazzo Chigi fino al termine della legislatura. Partito democratico e Movimento 5 Stelle hanno fatto trasparire abbastanza chiaramente la volontà di un Mattarella-bis, anche se il presidente uscente è stato molto attento a non apparire intenzionato a ricoprire la più alta carica dello Stato per altri sette anni.

Di una cosa, però, possiamo essere certi: della crisi d’identità della politica, dell’incapacità dei partiti di esprimere figure all’altezza.

Nel contesto pandemico in cui viviamo, si è generata la convinzione che una società dia risultati decisamente migliori se si affida al potere degli esperti. Come ha spiegato Federico Rampini nel suo libro “La notte della sinistra” (Mondadori):

“Gli eccessi di democrazia – detti anche populismi – sono stati attribuiti al fatto che i ‘bifolchi’ sono facile preda di demagoghi o addirittura aspiranti dittatori. Da democrazia a tecnocrazia, il passo è breve e spesso auspicato”. 

Si guardi al centrosinistra, per esempio. Dopo i continui attacchi rivolti a Matteo Salvini – ancora ieri Enrico Letta chiedeva a gran voce l’uscita della Lega dal governo, “irresponsabile” per aver votato i propri emendamenti contro il Green Pass – il segretario del Pd decide di candidarsi nel seggio di Siena senza il simbolo del partito di cui è segretario nazionale. 

Secondo l’ex premier, candidandosi in un collegio uninominale – chi prende un voto in più rispetto all’avversario vince – i consensi dei partiti devono convergere sui candidati più forti per evitare una dispersione di voti. Dal punto di vista della tecnica elettorale è vero. Ma è altrettanto indubbia la volontà di anteporre l’opportunismo politico – una manciata di voti in più che sarebbero irraggiungibili presentando il simbolo del Pd – ad una visione politica di lungo periodo, larga coalizione inclusa.

La scelta di presentare una lista autonoma dimostra, ancora una volta, l’intenzione di prediligere il leader di partito, piuttosto che presentarsi davanti al cittadino con una squadra solida, articolata e che, in futuro, possa ricoprire anche posizioni di governo. Per dirla con le parole del costituzionalista Sabino Cassese: “Siamo di fronte ad una continua leaderizzazione e verticalizzazione del potere”. Il partito è il segretario ed il segretario è il partito.

Sul fronte pentastellato, il giacobinismo dell’uno vale uno ha portato dal voler “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno” ad allearsi con la forza politica osteggiata da sempre: il Partito democratico.

I tempi in cui il Pd era “il partito di Bibbiano” formato da “traditori” e “voltagabbana” sono lontani. Oggi, Giuseppe Conte si schiera al fianco della sinistra, dopo aver governato per più di un anno insieme a Matteo Salvini, prima condividendo e poi mettendo sotto processo il suo operato da ministro dell’interno.

La situazione non pare essere delle migliori neanche sul fronte opposto. Attualmente, il centrodestra si trova nel paradosso di avere due partiti, Lega e Forza Italia, all’interno di un governo di unità nazionale ed un altro, Fratelli d’Italia, all’opposizione.

Tra il partito del Cavaliere ed il Pd non si notano più differenze sostanziali. Nata per opporsi alla sinistra culturale, FI ha abbandonato quelle battaglie liberali che una volta la contraddistinguevano, accettando di diventare la ruota di scorta di quella stessa sinistra.

Il vuoto liberale lasciato da Berlusconi non sembra però colmato né da Matteo Salvini né da Giorgia Meloni.

In un contesto di emergenza sanitaria ed economica come quello attuale, l’attenzione sembra concentrata solo sullo Stato, sul Recovery Fund e sui grandi piani pubblici; anziché rivolgere lo sguardo ad un’economia vibrante, trainata dalle imprese, dai privati e da una politica di forte defiscalizzazione.

Sempre riprendendo le parole di Cassese: “I partiti sono nati con un piede nella società e l’altro nello Stato. Hanno conservato il secondo e perduto il primo, con una grande crisi di legittimazione”.

Non sorprendiamoci se poi il cittadino si rassegna alle decisioni di tecnocrati ed “esperti”…

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