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Renzi l’”homo bonus” al capolinea e la sfida liberale al pensiero breve

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L’Italia si accinge ad affrontare la tornata elettorale dopo aver assistito, in questi ultimi tre anni, alla rottamazione del renzismo. Il paradosso dell’ex sindaco di Firenze, che nel frattempo è diventato anche ex Presidente del Consiglio, è di essere stato la principale – l’unica? – reale vittima del suo ossessivo storytelling sul ricambio generazionale, divenuto infine un ridicolo giovanilismo d’accatto. L’arrogante homo novus – o forse dovremo definirlo l’homo bonus – della politica italiana, quello che doveva “rovesciare la piramide”, “cambiare tutto”, che solennemente prometteva di ritirarsi a vita privata in caso di sconfitta al referendum costituzionale, è diventato – o forse, semplicemente, è sempre stato – l’ennesimo illusionista. Un prestigiatore davvero molto abile nel far sparire i soldi pubblici per poi farli riapparire sotto la forma di puntuali bonus pre-elettorali e finte riduzioni di tasse.

Un’immagine su tutte, forse, fotografa la pochezza e la bassa statura politica di chi credeva d’esser dotato dell’altezza giusta per fare lo statista. Quell’imbarazzante “ciaone” urlato a Bergamo nel maggio del 2016, e accompagnato anche dal gesto della mano, con la quale il fallito rottamatore salutava orgogliosamente i “gufi”, quelli che ritenevano impossibile la concessione, da parte dell’Unione Europea, di una maggiore flessibilità dei conti per il nostro Paese. Perché questo è stato il vero, l’unico leit-motiv di tre anni di renzismo: l’annuale pellegrinaggio a Bruxelles, con il cappello a mano – altro che pugni sbattuti sul tavolo – a mendicare la tanto agognata flessibilità. In sostanza, a chiedere all’Unione Europea di allentare i cordoni della borsa: non per tagliare le tasse, non per tagliare la spesa, non per tagliare il debito. Ma solo per finanziare le mancette per determinate categorie, casualmente tradizionali target elettorali del centrosinistra. Si è iniziato con gli 80 euro, poi sono arrivati la quattordicesima per i pensionati, l’ulteriore estensione dei suddetti 80 euro, il bonus cultura i diciottenni, i 500 euro per i docenti. Un fuori-tutto degno di un centro commerciale, o più precisamente cambiali contabilizzate, come da tradizione sulle spalle – già ampiamente cariche – delle prossime generazioni. Ma in fatto di previsione future, Matteo Renzi non è mai stato molto abile: come scordare il memorabile invito ad acquistare le azioni dei Monte dei Paschi, definito “un affare” dall’ex Presidente del Consiglio.

Renzi ha finito coll’assomigliare sempre più al suo avversario principale: Beppe Grillo. Quella che doveva essere una narrazione alternativa, credibile, autorevole, agli urli scomposti, alla rabbia e all’odio del Movimento 5 Stelle ne è diventata una scadente fotocopia. Si pensi, ad esempio, alla campagna condotta in occasione del referendum costituzionale, che ha segnato il crepuscolo del renzismo. Mesi trascorsi a trasformare le istituzioni in un perenne e litigioso congresso del centrosinistra, un referendum divenuto un maldestro tentativo di plebiscito per avere un’investitura popolare in realtà mai ottenuta, insomma il modo peggiore per concludere un’esperienza di governo. Intanto ecco un’altra pioggia di miliardi di euro – sottratti alle tasche degli Italiani – per continuare a finanziare un’azienda decotta come Alitalia, ecco altri 17 miliardi di soldi pubblici per evitare i fallimenti delle banche, la riforma Madia pressoché cassata dalla Corte costituzionale, la famosa “buona scuola” ridotta all’ennesima tavola calda per i sindacati.

Occorre, dunque, chiedersi se in questa gara a chi grida più forte, in questa democrazia emozionale dove contano più i like e i followers piuttosto che la costruzione di un consenso ragionato e radicato sul territorio, ci sia spazio per un cambio di paradigma. Esiste una maggioranza silenziosa stanca dell’urlo vuoto del grillismo, del governo trasformato in un congresso perenne del Partito Democratico, e di un centrodestra diviso, litigioso e immaturo. Il grande assente degli ultimi anni è, innegabilmente, proprio il centrodestra; l’assenza di una proposta organica e credibile di governo, antagonista del pensiero breve di Grillo e Renzi. Al contrario, purtroppo, anche alcuni settori dell’area alternativa alla sinistra si sono lasciati contagiare dal virus dell’algoritmo, preferendo sobillare le piazze per rincorrere un egoistico consenso personale. Nonostante ciò, le ultime elezioni amministrative hanno dimostrato che gli elettori sono ancora disponibili a dare fiducia al centrodestra: la fiducia, tuttavia, va meritata. Ecco perché non bisogna temere di affrontare di petto le principali tematiche del nostro tempo, e delineare approcci e soluzioni che non siano contaminati dalla tentazione del pensiero breve, che di per sé un pensiero debole, ma da razionalità e buon senso.

Occorre riprendere le fila di un pensiero liberale e moderno, che non si esaurisca nell’infantile venerazione di personalità del passato, ma che si rinnovi nell’intraprendenza di sfidare gli estremismi figli del pensiero breve. Per governare la complessità non servono le scorciatoie, ma la forza di un pensiero che va oltre la vacuità degli storytelling e delle politica ridotta a sfida tra leadership che durano il tempo di un click. Perché questo chiedono i nostri tempi: una rivisitazione pratica e non teorica dei principi liberali, e una loro rinnovata applicazione per affrontare le problematiche e le sfide del XXI secolo. Una rivisitazione che non può essere solo una stucchevole venerazione delle icone di un passato ormai lontano, bensì una rielaborazione ponderata e concreta, alla luce anche di alcune condizioni sociologiche che hanno profondamente mutato i comportamenti degli individui e, dunque, della società. Non si tratta di rinnegare la storia del pensiero liberale, ma di tracciarne nuove coordinate. Una missione senz’altro difficile, ma che per questo non deve scoraggiare.

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