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Ecco come il solito bias anti-Trump ha giocato persino sul dramma delle separazioni famigliari

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Come diceva quella pubblicità? Ti piace vincere facile? “Sì”, devono aver risposto a l’Espresso e a Time, che in questi giorni hanno sparato due riuscitissime copertine per i rispettivi “mercati”. Come in politica per conquistare voti, anche nel mondo dell’editoria per conquistare lettori e vendere copie ci vuole un bel po’ di quel cinismo che quelle copertine rimproverano ai due politici che intendono colpire: Matteo Salvini e Donald Trump. Se metti in copertina l’immagine di una montagna d’uomo, con una pettinatura improbabile e un’aria minacciosa, contrapposta alla figura di una minuscola bambina spaventata e in lacrime, hai vinto. Hai rappresentato l’orco. L’attore Peter Fonda è arrivato a scrivere su Twitter che Barron (figlio di Melania e Donald Trump) dovrebbe essere rapito e dato in pasto ai pedofili…

Ok il pugno nello stomaco, portare “il caso” all’attenzione dell’opinione pubblica. Poi però ci si aspetterebbe da quella stessa grande stampa che la aiutasse a comprendere i fenomeni nella loro complessità, a favorire un dibattito pubblico informato. Ci si aspetterebbe che il loro lavoro non si riduca ad una operazione di “disumanizzazione” del leader politico che non piace.

Sono bastati pochi video e poche foto perché fosse già scritta, con tanto di vittime e carnefici, la storia dei bambini in gabbia e in lacrime perché separati dai propri genitori nei centri Usa ai confini con il Messico. Non bisogna essere genitori per avvertire un senso di nausea e turbamento guardando quelle scene. Ma per non fermarsi all’indignazione, occorre anche capire come si è arrivati a quelle scene. Quelle foto e quei video non dicono tutto. Non dicono come e perché ci si è arrivati. Cerchiamo di tenere insieme fatti ed emozioni.

Per esempio, proprio la bimba honduregna in copertina su Time, la cui foto è diventata virale ed è stata subito presa come simbolo del dramma delle separazioni, icona dell’opposizione alla politica della “tolleranza zero” dell’amministrazione Trump, in realtà non è mai stata separata dalla madre né rinchiusa in una gabbia. Il padre ha raccontato al Daily Mail che madre e figlia sono sotto custodia Usa “in un centro residenziale per famiglie in Texas”. Senza dirglielo, il 3 giugno la moglie ha preso la bambina, separandola dal padre e dai tre fratellini, e l’ha portata con sé in un viaggio molto pericoloso verso gli Stati Uniti. La fotografia è stata scattata durante l’arresto della madre per ingresso illegale, dopo il quale le due sono state trattenute insieme, mai separate.

Sorte toccata invece a molti altri bambini e genitori. Ma il pregiudizio politico può fare il resto, fino a distorcere i fatti. Davanti alle strazianti immagini delle separazioni famigliari, e vista l’incapacità del Congresso di approvare una riforma, il presidente Trump ha deciso di firmare un ordine esecutivo (una sorta di decreto) per porre rimedio al problema. Qual è stata la narrazione prevalente sui nostri mainstream media? “Retromarcia”, il presidente ha dovuto “arrendersi”, come se avesse voluto e ordinato lui stesso le separazioni. Retromarcia rispetto a cosa, dal momento che il dramma delle separazioni è il frutto di contraddizioni e vuoti legislativi che precedono il suo arrivo alla Casa Bianca, e che nell’ordine appena firmato viene ribadita la tolleranza zero?

Ma andiamo con ordine e vediamo come si è arrivati alle separazioni famigliari. Nei Paesi civili, e gli Stati Uniti sono certamente tra questi, i bambini non possono essere detenuti insieme ai genitori. L’ingresso irregolare negli Stati Uniti è un reato: il reato di immigrazione clandestina. Da ben prima che Trump entrasse alla Casa Bianca. Il problema è che la legge era pensata per un fenomeno che, fino a un decennio fa, riguardava per lo più uomini adulti. Da allora sempre più spesso coinvolge invece anche donne e bambini, interi nuclei famigliari, approfittando del fatto che in presenza di minori si tendeva a chiudere un occhio e ad evitare detenzione e procedimento anche nei confronti degli adulti illegali. Per trattenerli e perseguirli, rispettando la legge, devi infatti separarli dai bambini.

Finché la situazione è sfuggita di mano. Si sono moltiplicati i casi di adulti che non sono genitori né parenti dei bambini che accompagnano, che dichiarano il falso, che addirittura hanno precedenti penali o sono essi stessi i trafficanti. In tutti questi casi, siamo di fronte a un vero e proprio sfruttamento dei minori per aggirare le norme sull’immigrazione. E stiamo parlando di migliaia di bambini. Secondo i dati della Homeland Security, “la stragrande maggioranza dei bambini presi in custodia dal Dipartimento della Salute – 10 mila su 12 mila – sono stati inviati qui da soli dai loro genitori, con estranei che intraprendono un viaggio completamente pericoloso e mortale”. Certo, ci sono anche vere famiglie che attraversano il confine, ma questi numeri non possono essere trascurati, tanto che il segretario alla giustizia Sessions ha fatto sapere che sta considerando di usare il test del Dna per verificare il legame di parentela tra bambini e loro presunti genitori. L’amministrazione Trump ha deciso di applicare la legge a tutti gli adulti, anche quelli colti a varcare il confine illegalmente in compagnia di minori, proprio per scoraggiare il cinico sfruttamento dei bambini.

Dunque, il dramma delle separazioni non è una novità dell’era Trump, è il paradossale risultato del rispetto della legge (perseguire l’immigrazione clandestina e tutelare i minori evitando loro la detenzione), tanto che seppure in numero inferiore, per lassismo nella sua applicazione, le separazioni avvenivano anche sotto Obama e Bush jr, ma le immagini non le abbiamo viste e copertine non ne sono state fatte…

Nei casi di ingresso illegale, il tempo della separazione, durante il quale i minori vengono affidati al Dipartimento della Salute, è brevissimo: in 24 ore i clandestini vengono condannati e affidati allo United States Immigration and Customs Enforcement (ICE) che provvede alla loro espulsione. Il nucleo famigliare quindi viene immediatamente ricongiunto ed espulso.

I tempi si allungano invece nei casi di richiesta d’asilo, anche fasulla (e fasulle sono la stragrande maggioranza di quelle avanzate da chi varca il confine dal Messico). Il problema è che nel 1997 la Corte Suprema ha stabilito in 20 giorni il termine massimo di detenzione dei minori e dei minori non accompagnati, ma ovviamente il procedimento per l’asilo è molto più lungo. Si potrebbero rilasciare sia l’adulto che il minore in attesa della decisione sull’asilo, ma sarebbe poi pressoché impossibile rintracciarli in tutto il Paese per espellerli, aprendo una falla gigantesca nel sistema: praticamente vorrebbe dire violare la legge, spalancando le porte all’immigrazione clandestina e, ancor più grave, incentivando lo sfruttamento dei bambini per aggirarla. Per questo gli adulti vengono trattenuti e i minori, come stabilito dalla Corte Suprema, separati e presi in consegna dal Dipartimento della Salute, in assenza di altri famigliari o “sponsor” nel Paese.

I trafficanti sono dei criminali senza scrupoli, i genitori spesso degli irresponsabili, ma in ogni caso i bambini sono le vittime. Il buon senso suggerisce quindi che le famiglie – quelle vere – debbano essere tenute insieme, a prescindere dallo status dell’adulto, e le procedure velocizzate. Lo shock della separazione, dopo un viaggio già di per sé traumatico, è senz’altro maggiore di quello di una detenzione.

Ma per fare questo bisogna cambiare la legge e per la separazione dei poteri è al Congresso che spetta farlo. Trump sta chiedendo praticamente da quando è in carica a Repubblicani e Democratici di rivedere la legge nel suo complesso, ma i secondi si rifiutano di collaborare, perché è proprio tra le maglie delle norme in vigore che durante le due presidenze Obama hanno potuto offrire di fatto una via facile per entrare illegalmente nel Paese, senza assumersi la responsabilità davanti agli americani di abrogare il reato di immigrazione clandestina.

Con il suo ordine esecutivo – temporaneo, in attesa di una riforma – Trump dispone di “mantenere l’unità familiare, anche trattenendo insieme le famiglie straniere (quelle vere, ndr), se del caso e nel rispetto delle leggi e delle risorse disponibili”, affidando alla Difesa l’organizzazione di assistenza e alloggio, ma al tempo stesso di “avviare procedimenti per far rispettare questa e altre disposizioni penali dell’INA fino a quando il Congresso non disponga diversamente”. Dunque, impegno a non dividere le famiglie, ma ribadita la linea della difesa dei confini e della “tolleranza zero” contro l’immigrazione clandestina. Anche se non sarà facile conciliare nella pratica le due esigenze a legislazione invariata e il rischio di mandare in confusione il sistema è alto.

Una imbarazzante sconfitta per Trump, come si legge e si sente nelle cronache nostrane? Così la presentano anche l’opposizione e i media Usa da sempre critici con il presidente. Ma molti americani potrebbero pensarla diversamente. Potrebbero giudicare peggiore la figura del Congresso, dove Repubblicani e Democratici hanno anteposto la loro convenienza politica a una soluzione del problema, confermando quello che molti elettori di ogni orientamento già pensano, e cioè che Washington è una “palude” e che Trump è costretto a svolgere un ruolo di supplenza nel vuoto lasciato dal legislatore.

Nel dibattito italiano ed europeo, si sottovaluta un piccolo particolare. Un più efficace controllo dei confini, e una maggiore sicurezza (anche percepita), consentirebbe probabilmente un’accoglienza più generosa dei veri rifugiati, come ha osservato il premier australiano Malcolm Turnbull a Nine Network: “Qui in Australia abbiamo uno dei programmi umanitari e per richiedenti asilo più generosi al mondo” e “la ragione per cui possiamo permettercelo è che noi decidiamo, il governo australiano, che rappresenta i cittadini australiani, decide chi arriva in Australia, non lo decidono i trafficanti”.

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