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Verso l’accordo Salvini-Di Maio: cosa dobbiamo aspettarci? Un governo di “unità nazionale”?

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Come ha acutamente osservato il nostro Mattia Magrassi, il via libera di Berlusconi al governo Lega-M5S potrà essere “benevolo”, ma mai gratuito. L’ex Cav, in cerca di riabilitazione da Strasburgo, ha dato prova di saper difendere i suoi interessi, ma qualcuno dovrà pur cominciare a riconoscergli che nonostante il violento defenestramento del 2011, ha responsabilmente consentito l’avvio di due legislature molto problematiche, evitando certo il peggio per i suoi interessi personali, ma non venendo particolarmente ricompensato sul piano politico e nel riconoscimento pubblico.

Gli sviluppi di queste ore sono certamente il frutto dell’intenzione annunciata da Mattarella di nominare un governo del presidente (ci rifiutiamo di definirlo “neutrale”). La paura di un costoso e disordinato ritorno al voto, a ottobre se non addirittura a luglio, ha probabilmente convinto Berlusconi al “passo di lato” e Di Maio a rimangiarsi il suo veto, riconoscendo almeno implicitamente il ruolo dell’ex Cav. La Lega avrebbe potuto sperare di uscire dalle urne autunnali saldamente alla guida di una coalizione dal 40 e oltre per cento, quindi maggioritaria o quasi in Parlamento, ma per il M5S anche qualche punto percentuale in pù non avrebbe significato poter governare da solo.

Ma non crediamo che il presidente Mattarella abbia particolari “meriti” nel superamento dello stallo, cioè che abbia messo in campo l’ipotesi di un “suo” governo come deliberata forma di pressione per costringere i partiti ad un accordo dell’ultima ora. Non sarebbe stato rispettoso nei confronti delle personalità mobilitate in tutta fretta, con il forte rischio di farle andare a sbattere contro un muro in Parlamento. La soluzione che si profila ci sembra rientrare, invece, nella categoria di quelle che avevamo anticipato come conseguenze non intenzionali provocate dalla mossa nient’affatto neutrale di Mattarella… E d’altronde, era “un’ipotesi cui al Quirinale non si crede più”, quella che Berlusconi facesse partire un governo Lega-M5S, secondo quanto riportava il giorno stesso della svolta, il 9 maggio, il ben informato quirinalista del Corriere Marzio Breda.

Aveva altri piani, il presidente, a nostro avviso. Ora si ritrova a dover avere a che fare con il cosiddetto “governo dei populisti” (che non è stato oggetto di alcun mandato esplorativo, se si escludono le 48 ore concesse alla presidente del Senato Casellati per un’ipotesi un po’ diversa: centrodestra-M5S). Con quei giocatori scorretti nei cui confronti ha fatto trapelare tutta la sua irritazione. Un governo che nascerà privo di altri elementi di “moderazione” e “normalizzazione” – avrebbero potuto giocare tale ruolo FI con la Lega, il Pd con il M5S – se non lo stesso Quirinale.

Cosa dobbiamo aspettarci dunque da questo governo, se davvero prenderà vita lunedì prossimo? Ancora presto per dirlo. Bisognerà aspettare di avere a disposizione una serie di dati: il nome del nuovo presidente del Consiglio; l’equilibrio tra Lega e M5S nella distribuzione dei ministeri; se i due leader, Salvini e Di Maio, saranno coinvolti in prima persona nell’esecutivo, e come; la presenza o meno di personalità di garanzia per Berlusconi; quanto il presidente Mattarella avrà influenzato la composizione della squadra e si prepara a incidere sull’indirizzo politico; le priorità programmatiche individuate. Anche per provare a intuire l’orizzonte temporale che M5S e Lega si sono dati: se si tratta di un accordo tattico, per tornare al voto la prossima primavera evitando un governo del presidente, o se invece l’ambizione è di lasciare un segno più marcato in questa legislatura, o quanto meno non escluderlo a priori.

Sulla carta si tratta di un governo di “unità nazionale” come mai prima d’ora. Non nel senso di una partecipazione di tutte le forze politiche da destra a sinistra, ma della rappresentanza geografica della nazione. Governeranno insieme, infatti, il partito più votato al nord e quello più votato al sud. Troveranno almeno un principio, un’idea di ricomposizione tra esigenze e aspettative così diverse, quelle dell’area economica più produttiva e dinamica del Paese e delle regioni più depresse e assistite?

Non è certamente il governo ideale per noi di Atlantico. I rischi sono molti, da una deriva assistenzialista esiziale per la nostra economia e i conti pubblici ad una stretta finale della morsa giustizialista, fino a un pericoloso sbandamento nella collocazione internazionale, occidentale, del nostro Paese. D’altra parte, le opportunità: la flat tax, il controllo dei confini, una voce più forte in Europa. Oppure ancora, avremo l’ennesima dimostrazione della validità della massima gattopardiana, “tutto cambia perché nulla cambi”.

Si tratterà di capire soprattutto se prevarrà la spinta di cambiamento dei due partiti di governo, o la “tutela” di stampo “europeista” e “rigorista” che cercheranno di esercitare il Quirinale, le alte burocrazie, l’establishment mediatico e finanziario.

La nota positiva è che almeno si tratterebbe del primo governo dal lontano 2011 espressione della volontà popolare, guidato da forze politiche che hanno raccolto il consenso di quasi il 50 per cento degli elettori. Sarebbe forse più rischioso, dal punto di vista sistemico di medio-lungo periodo, se una di queste due forze restasse esclusa da responsabilità di governo, lasciata libera di continuare a soffiare sul fuoco della mera protesta. Forse è questo il momento giusto perché vengano messe alla prova, mentre si dà tempo agli sconfitti di riorganizzarsi. La principale sfida ora per M5S e Lega sarà dimostrare almeno una decente, accettabile capacità di governo, al netto di una dose (purché fisiologica) di impreparazione e inesperienza, dei limiti che un accordo di coalizione implica e dei vincoli che il Quirinale e il Deep State italiano sapranno imporre.

Un governo certamente espressione anche dello Zeitgeist, dello spirito dei tempi. Coerente, nonostante una declinazione tutta italiana, purtroppo priva di molti anticorpi liberali, con le forze messe in moto da gran parte degli elettori di quasi tutte le democrazie occidentali. La Brexit nel Regno Unito, l’America di Trump, senza dimenticare gli esiti delle recenti elezioni anche nei Paesi dell’Europa continentale, dal fenomeno Macron e dall’azzeramento dei socialisti in Francia, alla crisi dei partiti tradizionali, CDU e SPD, in Germania. Per la prima volta l’Italia sarà governata da due partiti che non appartengono a nessuna delle grandi famiglie politiche del secondo dopoguerra (democristiani, socialisti, comunisti, liberali…).

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