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Ecco perché il Rapporto Horowitz non assolve l’FBI né riesce a fugare l’ipotesi del complotto

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Qualche giorno fa, in un’intervista concessa a Chris Wallace di Fox News Sunday, l’ex direttore dell’FBI James Comey ha riconosciuto di aver commesso “errori significativi” nel corso delle sue indagini sulla presunta collusione tra la Russia e la campagna elettorale di Donald Trump nel 2016. Nel contempo, però, ha fermamente respinto le accuse rivolte alla sua persona e al Bureau, ed ha esortato gli americani a continuare a “fidarsi” del principale braccio operativo del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Secondo Comey, il rapporto dell’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia Michael Horowitz su FBI e Trump è giusto: “Horowitz ha ragione e io avevo torto. Ho le mie responsabilità, come direttore ho confidato troppo nelle nostre procedure.” In sostanza, l’ex direttore del Federal Bureau of Investigations  riconosce che è stato fatto un uso quanto meno disinvolto di un dossier non verificato e inattendibile per ottenere dal tribunale speciale FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act) l’autorizzazione a mettere sotto sorveglianza Carter Page, all’epoca consulente della campagna Trump, per ricavare eventuali prove di collusioni tra l’allora candidato repubblicano e la Russia. Tuttavia, Comey sostiene che alla fin fine il rapporto ha reso giustizia all’FBI dal momento che non ha sposato le teorie cospirative secondo le quali tutta la vicenda altro non è che un tentativo di colpo di stato orchestrato dal deep state… Forse, però, le cose non stanno esattamente così.

Come commenta Robby Soave su Reason Magazine, il rapporto Horowitz, sia pure senza concessioni alla teoria del complotto, non mostra alcuna indulgenza verso l’FBI:

“Il rasoio di Hanlon – non attribuire mai alla malafede ciò che può essere adeguatamente spiegato dalla stupidità – si applica sicuramente al caso specifico, e questa è una lezione di cui il Team MAGA dovrebbe far tesoro. Ma questa non è una sorta di rivincita per l’FBI. Se l’appello di Comey al popolo americano affinché continui a riporre fiducia nella principale agenzia investigativa per la tutela della legge cade nel vuoto, egli non avrà nessuno da incolpare se non se stesso.”

Fin qui gli eventi di questi giorni/settimane, ma lo scenario che si è aperto – anche e soprattutto in conseguenza di quanto è emerso di recente – va molto oltre le cronache e ben al di là delle polemiche spicciole. È forse arrivato il momento di affrontare con la necessaria attenzione una questione sinora quasi sempre snobbata dai commentatori “seri”, un tema ma che non sembra più eludibile: quanto c’è di vero, o almeno di plausibile, nelle teorie del complotto?

Fino a qualche tempo fa la domanda poteva apparire oziosa, per qualcuno anche irritante. Personalmente, per antico abito mentale, ho sempre avuto un rifiuto quasi aprioristico per l’argomento, dove il “quasi” stava ad indicare il minimo sindacale di allerta in presenza di coincidenze veramente eccezionali, e comunque troppo insistenti e sfacciate per essere bollate tout court come bufale. L’assassinio di JFK, in tal senso, potrebbe essere un caso emblematico, una circostanza sulla quale molte ipotesi complottistiche stanno in piedi anche senza ricorrere alla sfrenata fantasia dei cultori del genere letterario in oggetto. Poi qualcosa è cambiato, il muro di diffidenza è crollato. Restano soltanto ruderi, per quanto ingombranti e di difficile rimozione… È di conforto, tuttavia, che anche altri, negli States, siano sulla stessa lunghezza d’onda, e non parliamo dei complottisti di professione, ma di gente che fino a poco fa ha sempre pensato che le teorie cospirative fossero aria fritta, speculazioni indebite, esagerazioni più o meno interessate, creduloneria, malafede. Parliamo di gente con la testa sul collo. Un esempio in tal senso ci è offerto dall’articolo di Peter Skurkiss su The American Thinker del 10 dicembre scorso, intitolato significativamente “A new take on cospiracy theories” (“Un nuovo modo di guardare alle teorie cospirative”). Vale la pena di citarne un lungo brano:

“In passato trovavo che le teorie del complotto fossero un soggetto interessante, ma non tanto credibile. La mia valutazione era in gran parte motivata sulla convinzione che gli investigatori ufficiali fossero degni di fiducia. Povero ingenuo! Quello che è emerso negli ultimi tre anni è fondamentalmente che funzionari governativi di alto livello della comunità dell’intelligence e delle forze dell’ordine hanno complottato un colpo di stato soft per buttare giù un presidente regolarmente eletto. Nel far questo, i suddetti hanno mentito, imbrogliato e infranto sfacciatamente molte leggi pur di portare avanti i loro propositi, coprendosi l’uno con l’altro. Questa cospirazione fu opera non di uno o due individui, ma di un gran numero di persone operanti all’unisono in varie agenzie governative. Tutti i controli e i contrappesi si sono rivelati inutili. Senza dubbio alcuno ci furono molti, a livello governativo, che sapevano che c’era sotto qualcosa, ma nessuno ha fiatato. E i media, che in teoria dovrebbero essere i cani da guardia contro gli abusi del potere, non solo hanno dormito nei momenti cruciali ma hanno avuto parte anch’essi nel tentatvivo di colpo di stato. Di fronte a tutto questo, cosa può fare una persona ragionevole se non riesaminare il problema della validità delle teorie del complotto sia relativamente al passato sia per quanto riguarda il presente e il futuro? Ad esempio, chi può credere alla versione ufficiale  per cui Jeffery Epstein si è suicidato nella sua cella? Voi per caso ci credete? Con questo non voglio dire che tutte le teorie del complotto sono vere. Ciò che intendo dire è che esse dovrebbero essere esaminate con molta maggiore attenzione che nel passato, e che i resoconti dei pubblici funzionari devono essere osservati da tutti i punti di vista possibili, soprattutto da quello del cui bono? (a chi giova, n.d.r.) Questa è una vergogna, si sa, perché il funzionamento del nostro sistema di governo si basa sulla fiducia dei cittadini sui funzionari in servizio. Una volta che la fiducia è svanita, si prospetta la fine della nostra forma di governo – una repubblica costituzionale.”

Più chiaro di così si muore. Se poi, come italiani ed europei, aggiungiamo alcuni casi e circostanze a noi ben noti, a cominciare naturalmente dal ruolo avuto dai “servizi” italiani nel Russiagate, il quadro si arricchisce ulteriormente. Inquietante quanto si vuole, ma, in un Paese in cui di storie come queste sono piene le cronache giornalistiche da decenni a questa parte, la cosa non è poi così sorprendente. È semmai per gli americani che il risveglio rischia di essere molto brusco. Loro “si fidavano”, noi no. Questa è la grande differenza. Mala tempora currunt…

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