Speciale Russiagate / Spygate

Durham smaschera l’FBI: aiutò a fabbricare la bufala Russiagate contro Trump

Pagò come informatore Igor Danchenko (fonte primaria del falso dossier Steele commissionato dalla Clinton), pur sapendo che era inattendibile e forse una spia russa

Speciale Russiagate / Spygate

Avevamo aperto una parentesi, nel nostro articolo sul tentativo di Russiagate alla vaccinara, per dare brevemente conto degli ultimi sviluppi dell’indagine del procuratore speciale John Durham sulle origini del Russiagate, quello made in Usa che ha coinvolto Donald Trump sia da candidato che da presidente (qui lo Speciale di Atlantico Quotidiano).

In breve, dai documenti depositati una settimana fa in tribunale da Durham, abbiamo appreso che l’FBI arruolò e pagò come informatore Igor Danchenko – la fonte principale del dossier Steele, un falso commissionato dalla Campagna Clinton per fabbricare il caso della collusione Trump-Russia – nonostante avesse indagato sullo stesso Danchenko per presunto spionaggio per conto del governo russo.

Anche dopo aver scoperto l’identità della fonte primaria del dossier, invece di verificare subito se Danchenko lo avesse usato per veicolare disinformazione russa, l’FBI lo ha pagato e “coperto” come fonte per oltre tre anni.

Una notizia ovviamente ignorata dal mainstream di sinistra e non solo, ma su cui vale la pena tornare, dal momento che ciò di cui stiamo parlando è la possibilità che il governo russo abbia usato l’FBI come canale di disinformazione per alimentare un conflitto politico e istituzionale senza precedenti nella storia politica Usa moderna.

Il lavoro di Durham è in dirittura d’arrivo. Il procuratore speciale potrebbe consegnare il suo rapporto conclusivo all’Attorney General Merrick Garland entro fine anno, senza ulteriori incriminazioni.

L’ultimo processo potrebbe essere proprio a Igor Danchenko, incriminato lo scorso anno con cinque capi di imputazione per aver mentito all’FBI.

La vera collusione

Oggi sappiamo che il dossier anti-Trump compilato dall’ex agente britannico Christopher Steele era opera della Campagna Clinton. Che l’FBI ne conosceva l’origine partigiana e l’inaffidabilità delle fonti, ma che ciò nonostante lo usò come elemento di prova principale nelle sue richieste alla Foreign Intelligence Surveillance Court (FISC) per ottenere l’autorizzazione a spiare la Campagna Trump e il transition team – basate su dichiarazioni giurate nelle quali sosteneva che Trump fosse “in a well-developed conspiracy” con il regime di Vladimir Putin.

L’unica collusione nel caso Russiagate è quella tra la Campagna presidenziale democratica del 2016 (Hillary Clinton) da una parte e le forze dell’ordine e l’apparato di intelligence dell’amministrazione democratica in carica (Obama-Biden), allo scopo di designare il candidato presidente dell’opposizione repubblicana, Donald Trump, come un puppet del Cremlino.

Un’operazione che non si è conclusa il giorno delle elezioni, limitandosi ad essere uno dei tanti colpi bassi da campagna elettorale. No, è stata spinta molto oltre, fino al punto da costringere Trump a governare per oltre due anni sotto la minaccia dell’indagine del procuratore speciale Mueller, minando la sua presidenza e disseminando falsi presupposti per una sua rimozione. Un tentato golpe, in buona sostanza.

Uno dei maggiori scandali della storia politica americana moderna, un Watergate all’ennesima potenza, se la stampa mainstream non fosse schierata in questo caso dalla parte dei cospiratori.

Danchenko nel libro paga dell’FBI

Ebbene, la settimana scorsa, il procuratore Durham ha rivelato che l’FBI aveva iscritto nel proprio libro paga Igor Danchenko, la principale fonte del falso dossier Steele, come “fonte umana riservata”. Un rapporto durato dal marzo 2017 all’ottobre 2020 (guarda caso per tutta la durata dell’amministrazione Trump).

Un periodo che comprende: la maggior parte delle richieste di sorveglianza autorizzate dalla FISC; l’indagine Mueller, che tuttavia non è riuscita ad accorgersi – o più probabilmente non ha voluto ammettere – che Danchenko aveva mentito all’FBI; il rapporto dell’ispettore generale del Dipartimento di giustizia, Michael Horowitz, sulla condotta dell’FBI nell’indagine su Trump – nel quale però non c’è traccia che a Horowitz fosse stato riferito che Danchenko era sul libro paga del Bureau.

Insomma, l’FBI ha tenuto nascosto il ruolo di Danchenko, la fonte più importante delle false accuse contro Trump contenute nel dossier, ai giudici che dovevano decidere se vi fossero giustificati motivi per spiare l’ex presidente e i suoi collaboratori, e l’ha omesso da ben due indagini ufficiali.

Cosa sapeva l’FBI

Ma dall’indagine del procuratore Durham emerge anche altro. L’FBI non interrogò Danchenko prima di utilizzare il dossier Steele nelle sue prime due richieste giurate di sorveglianza, nell’ottobre 2016 e nel gennaio 2017.

E quando decise di interrogare Danchenko, non riuscendo a corroborare le accuse di Steele nonostante le avesse già usate in tribunale, anziché avvertire i giudici della FISC che c’erano buoni motivi per ritenere inattendibili le informazioni del dossier su Trump, allora presidente in carica, l’FBI ha continuato a fare affidamento su quelle informazioni sospette nelle successive richieste giurate di sorveglianza (aprile e giugno 2017), sulla base delle quali la FISC ha concesso ulteriori mandati.

Ma c’è di peggio. Non solo Durham dimostra che Danchenko ha mentito più volte all’FBI e questa ha continuato comunque a coprirlo come fonte e a pagarlo. Non solo l’FBI ha utilizzato le informazioni di Steele e Danchenko, che sapeva essere inattendibili e di parte, per suggerire a un tribunale che il presidente degli Stati Uniti potesse essere una risorsa russa. L’FBI era anche in possesso di informazioni che indicavano che lo stesso Danchenko avrebbe potuto essere una risorsa russa.

L’indagine su Danchenko

È quanto riportato in dettaglio in un altro documento depositato da Durham in tribunale la settimana scorsa. Danchenko fu “l’oggetto di una indagine di controspionaggio dell’FBI dal 2009 al 2011″.

Nel 2011 però l’inchiesta fu chiusa. L’FBI aveva forse escluso che Danchenko fosse una spia russa? Non proprio. Al contrario, erano emersi elementi che potevano indurre a ritenere che lo fosse.

Secondo le conclusioni dell’indagine, infatti, nel 2008, quando lavorava alla Brookings Institution (un think tank di orientamento Democratico all’epoca presieduto dal clintoniano Strobe Talbott), Danchenko si offrì di pagare due dei suoi colleghi ricercatori in cambio di informazioni riservate nel caso in cui i due avessero ottenuto un incarico nella entrante amministrazione Obama.

Non risulta che ci sia stato un seguito, ma l’FBI aveva anche scoperto che Danchenko era stato in contatto con persone su cui stava indagando come possibili agenti dell’intelligence russa.

Se erano stati raccolti tali elementi, perché l’indagine di controspionaggio fu chiusa? Durham ora lo spiega nei suoi atti: fu chiusa perché “l’FBI credeva erroneamente che Danchenko avesse lasciato il Paese”.

FBI complice, non vittima

Ora, chi ha avuto la pazienza di seguire il nostro Speciale probabilmente ricorda che tutti questi elementi erano già emersi mesi e anni fa dalle ricostruzioni giornalistiche che abbiamo riportato. La notizia è che questi fatti oggi sono messi nero su bianco da un procuratore in tribunale.

Quali sviluppi, dunque? Dal punto di vista giudiziario ben pochi perché il sistema di potere Dem sembra aver fatto quadrato.

L’avvocato Michael Sussmann è già stato assolto, nonostante il procuratore Durham avesse presentato abbondanti prove che Sussmann aveva mentito all’FBI, negando che stesse lavorando per la Campagna Clinton, da cui veniva retribuito, quando portò all’attenzione del Bureau le informazioni, poi rivelatesi infondate, su un canale di comunicazione segreto tra l’Organizzazione Trump e la russa AlfaBank.

Come Sussmann, anche Danchenko, accusato anch’egli di aver mentito all’FBI, potrebbe essere assolto. Ma paradossalmente queste assoluzioni mettono ancora più in cattiva luce l’FBI.

In entrambi i casi, infatti, le prove presentate da Durham suggeriscono che l’FBI, lungi dall’essere vittima, dall’essere stata ingannata dalle menzogne degli imputati, abbia piuttosto agito da complice, per dolo o negligenza, nell’operazione della Campagna Clinton per fabbricare la bufala del Russiagate e dipingere Trump come un agente del Cremlino.

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