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L’ascesa del “Woke” nel Regno Unito: marxismo culturale in salsa razziale e gender

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È nato negli Stati Uniti ed è parente stretto della Critical Race Theory (di cui abbiamo già avuto modo di parlare qui un mesetto fa) e del movimento Black Lives Matter, e si chiama “Woke” o “Wokeism”, alludendo a un presunto “risveglio” degli adepti da un altrettanto presunto sonno della ragione che affliggerebbe i bianchi e in genere tutte le persone normali… Di fatto si potrebbe pure spicciativamente affermare che questo fenomeno – di cui per altro ci siamo già occupati qui – non è altro che l’ennesima reincarnazione del marxismo culturale, stavolta in salsa razziale, gender, ecc. Adesso ha varcato l’oceano e ha trionfato negli stadi di calcio ai recenti campionati europei con la pantomima degli inginocchiamenti a un tanto al chilo. Nel Regno Unito pare stia spopolando, come attestato da una ricerca sul campo svolta dal famoso e rispettato sondaggista-polititologo americano Frank Luntz.

“I nostri sondaggi”, ha scritto Luntz qualche giorno fa sul britannico Daily Mail, “hanno coperto una vasta gamma di argomenti, dalla politica all’economia, dalla società alla cultura, in collaborazione con il Centre for Policy Studies, il think-tank co-fondato da Margaret Thatcher. Avevamo una missione semplice: ascoltare ciò che tutti i britannici pensano e sentono veramente, non solo quelli rumorosi con i loro megafoni abilitati per i social media, e poi riportare i risultati”.

Ebbene, il sondaggio ha rilevato che quando viene chiesto di scegliere tra le affermazioni “Il Regno Unito è una nazione di uguaglianza e libertà” e “Il Regno Unito è una nazione istituzionalmente razzista e discriminatoria”, il 37 per cento degli intervistati afferma che si tratta di un Paese razzista, mentre se chiedi se la società britannica “offre alle persone un’equa possibilità di affermarsi a quelli che lavorano sodo e si assumono le proprie responsabilità” oppure se “è piena di ingiustizie e disuguaglianze che limitano pesantemente troppe persone”, il 42 per cento – e il 58 per cento degli elettori laburisti – afferma che il Paese è pieno di ingiustizie e disuguaglianze.

Il quadro peggiora sensibilmente se si analizza il Paese in base all’età e all’appartenenza partitica e sociale. Innanzitutto, dice Luntz, la Gran Bretagna “sta votando sempre più in base alla cultura, non all’economia”. In secondo luogo, le persone che pensano che la Gran Bretagna sia istituzionalmente razzista e discriminatoria sono per la stragrande maggioranza i giovani. Inoltre, è molto più probabile che gli elettori laburisti dicano che la Gran Bretagna è “razzista”, “disuguale” e in generale dilaniata da gravi conflitti. Sono profondamente convinti che il sistema politico ed economico sia contro di loro: tra i 18 e i 29 anni, il 57 per cento la pensa così, 20 punti in più rispetto a qualsiasi altro gruppo di età.

“Vedono il mondo che li circonda in modo completamente diverso da quelli che sono più anziani”, scrive Luntz, e se da una parte la maggioranza degli interpellati crede che il “White privilege” esista effettivamente, i giovani ritengono che il problema “debba essere affrontato direttamente con specifiche iniziative educative e politiche pubbliche” e che “i bianchi debbano capire che tutta la loro vita è stata più facile a causa del colore della loro pelle”. Viene invece scartata l’altra opzione, e cioè che “l’attenzione dovrebbe essere rivolta alle persone che hanno bisogno di aiuto indipendentemente dal colore della pelle”. È curioso notare, inoltre, che i giovani nel loro insieme hanno maggiori probabilità di pensare che il loro Paese sia sistematicamente razzista rispetto alla comunità non bianca…

Il risultato dell’ascesa del Wokeism è che la fede nei principi di libertà economica e meritocrazia è ai minimi storici nel Regno Unito. La fiducia della gente nella democrazia stessa è seriamente scossa.

Comunque sia, come dice Luntz, il vero problema che abbiamo con la cultura Woke è che è altrettanto intollerante di ciò a cui sostiene di opporsi. Secondo “loro” la voce di chi dissente non dovrebbe essere ascoltata, e questo semplicemente perché apparterrebbe a dei “privilegiati”. Gli adepti della nuova setta ritengono che io, dissidente, possa essere impunemente licenziato, disumanizzato, delegittimato. “Invece di sollevare chi è nel bisogno, si cerca di abbattere tutti gli altri”.

Come possiamo accettare che nel 2021, in un Paese come il Regno Unito, il 28 per cento delle persone abbia smesso di parlare con qualcuno, in presenza oppure online, per una cosa detta magari di sfuggita, parlando di politica? Ma, attenzione, “tra i 18 ei 29 anni, la percentuale sale al 53 per cento, la maggioranza”.

Noi in America abbiamo già visto dove porta tutto questo, racconta amaramente Luntz. “Il woke non distrugge solo le amicizie o la qualità del dibattito, ma mina anche il rispetto per il passato, la fede nel futuro e l’impegno per la libertà economica per tutti”. Esso afferma senza esitazione che tu “non hai avuto successo nella vita grazie al duro lavoro, alla fatica e alla perseveranza”. No, se ci sei riuscito è solo “perché hai sfruttato gli altri, anche se non ti rendevi conto di farlo e anche se quello sfruttamento è avvenuto decenni o addirittura secoli fa”.

Per quanto riguarda il resto d’Europa, e l’Italia in particolare, non c’è motivo di pensare che, dal punto di vista della diffusione del fenomeno Woke, si sia messi molto meglio del Regno Unito. Tra l’altro abbiamo in comune con la Gran Bretagna il fatto che il trend politico (elettorale) sia tutt’altro che orientato a sinistra, e dunque, se malgrado ciò il fenomeno dilaga al di là della Manica non possiamo pensare di essere al sicuro neppure noi al di qua. Ma se le cose stanno così, l’avvertimento finale di Luntz ad imprenditori e aziende British riguarda anche gli omologhi dentro la Ue: non ci saranno sconti per chi si genuflette davanti al nuovo verbo:

“Gli Stati Uniti hanno visto una sfilza di aziende scrivere assegni a sette cifre ai Black Lives Matter, umiliandosi davanti ai guerrieri di Woke, nella speranza di essere risparmiati. Non funziona. Non è mai successo. Non lo sarà mai. Nel mondo di oggi, puoi parlare quanto vuoi del tuo scopo aziendale o delle donazioni di beneficenza. Il Woke ti odierà comunque”.

Il che, a modestissimo avviso di chi scrive, può ben essere esteso a partiti e politici nostrani: nessuno si illuda di poter cavalcare impunemente la tigre.

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