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Né russofili né putinisti (anzi), ma incolpare Mosca per tutto fa ridere. Cinque punti da ricordare (e una proposta)

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Secondo Il Corriere della Sera, da giorni, siamo letteralmente davanti a un’emergenza, a un pericolo assai grave per la sicurezza nazionale. Roba grossa (se vera): mani russe contro il Quirinale. Titolone di domenica sulla prima pagina del Corriere: “Così hanno attaccato il Colle”. Sommario: “Indaga l’Antiterrorismo”. Occhiello: “Usati anche i server dall’Estonia”. Per La Stampa, scende in campo il sempre cauto e autorevole direttore Maurizio Molinari: “La questione russa in Italia. Interferenze cyber”. Il quotidiano torinese, all’interno, dedica un paginone per spiegare che “si apre anche il fronte Facebook: interferenze russe sul voto del 4 marzo”.

Naturalmente, il tema non va sottovalutato, i cyber-attacchi sono la vera sfida del nostro tempo, ed è chiaro a tutti che al Cremlino non ci siano boy-scout: ma i toni paiono davvero allarmati e allarmanti, e i titoli “gridati” bel al di là del contenuto degli stessi articoli. Per fare un esempio, ancora domenica, nell’articolo della sempre informata Fiorenza Sarzanini sul Corriere si leggevano testualmente queste parole: “Al momento sembra quindi esclusa la possibilità che dietro questo attacco ci siano account russi”. E il giorno dopo, cioè ieri, sempre la Sarzanini ha scritto che il “bombardamento di tweet non ha nulla a che fare con il Russiagate”. Viene spontaneo chiedersi: e allora perché quei titoloni?

Le cose andrebbero presentate nella giusta dimensione, con equilibrio: per un verso raccontando le indagini in corso da parte della Procura di Roma, e sottolineando che ieri il direttore dell’Intelligence ha riferito in Parlamento al Copasir; per altro verso, anche citando l’accurata analisi della rivista Wired, facendo notare che la gran parte dei tweet “incriminati” vengono dall’Italia, altri da paesi occidentali, e appena quattro dalla Russia. Quindi un po’ di cautela e toni meno concitati sarebbero forse consigliabili. Restano inoltre almeno cinque osservazioni da fare.

La prima. Ma davvero qualcuno pensa che l’esito elettorale del 4 marzo in Italia, o la vittoria di Trump in America, o l’esito del referendum su Brexit nel Regno Unito, siano stati determinati da qualche troll russo? C’è da sperare (per loro!) che i perdenti di quelle competizioni abbiano cercato spiegazioni più profonde e più convincenti.

La seconda. Attenzione al rischio di considerare cittadini veri e in carne e ossa solo quelli che concordano con una certa tesi, affrettandosi a descrivere chi twitta o ri-twitta in direzione opposta come troll, avatar, account inesistenti. Troppo comodo.

La terza. Solo lo Statuto Albertino considerava la persona del re “sacra e inviolabile”. Nella nostra Repubblica, pur piena di smagliature e acciacchi, è invece possibile criticare il presidente della Repubblica, e anche chiederne le dimissioni. Non è un crimine: ma semplicemente un’opinione, condivisibile o no.

La quarta. Un articolo del Corriere della scorsa settimana (tuttora non smentito) lasciava intendere l’esistenza di faldoni e dossier a proposito di alcuni siti informativi e media. Forse sarebbe utile capire meglio di che si tratti: perché, messa in quei termini, non sembra esattamente una notizia rassicurante.

La quinta. Esisterebbe un uovo di Colombo (senza riferimenti alla frittata di Moncalieri) per risolvere buona parte dei problemi di cui stiamo parlando. In effetti, il cuore della questione (in rete e sui social network) è rappresentato dall’identità degli account: insomma, capire chi stia realmente parlando e scrivendo. Bene: Twitter, Facebook, Instagram e i principali social network già offrono un servizio efficacissimo (la famosa “spunta blu”) anni fa riservato solo alle personalità pubbliche (affinché il loro vero profilo non fosse confondibile con fake e doppioni), ma da qualche mese aperto alla possibilità per tutti gli utenti di ottenere questa “certificazione e verifica”. Così, se tu sei davvero Mario Rossi, quel Mario Rossi, o quel Cristiano Ronaldo, o quel Matteo Salvini, accanto al tuo nome c’è un segno grafico blu che fa capire a tutti con chi stiano dialogando. Ecco, sarà sufficiente generalizzare ed estendere a tutti gli utenti questa buona pratica per fare un enorme passo avanti. Anche senza titoli a nove colonne.

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