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Web tax: no alla deriva tassatoria e neoluddista. Perché non sono d’accordo con Calenda e Mucchetti

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Due personalità come Carlo Calenda e Massimo Mucchetti hanno con enfasi rilanciato la campagna per l’introduzione della web tax.

Lascio da parte i passaggi che mi sono parsi francamente imbarazzanti: quando i due autori spiegano che lo stato tasserebbe le imprese digitali per il bene dei cittadini. Visto che i singoli cittadini non possono direttamente recuperare “il valore che cedono”, allora interverrebbe lo stato – nella sua infinita bontà – a fare da esattore e cassiere. Immagino che sia scattato l’applauso nelle sedi di Liberi e Uguali, Potere al Popolo, e formazioni del genere…

Ma lasciamo perdere questi aspetti di contorno e concentriamoci sulla sostanza.

La proposta di web tax basata sul fatturato e non sugli utili esprime una preoccupante incomprensione dell’economia digitale da parte di politica e governi. A mio avviso, è gravemente sbagliata per cinque ragioni.

Primo. Dà per scontato che ci siano effettivamente degli utili in presenza di un fatturato. Immaginate l’impatto di una norma del genere su una start-up di giovani.

Secondo. Esprime una volontà culturale oltre che politica di colpire le “cattive multinazionali”. È come se ci fosse un venticello anticapitalista-neoluddista volto a colpire la novità, a mettere mutande (e manette) a ciò che sfugge alle maglie della fiscalità tradizionale.

Terzo. Penso che, specialmente in un momento di spettacolare trasformazione, la politica dovrebbe lasciar correre i cavalli del mercato e dell’innovazione, evitando di interferire, di alterare, di agitare la paletta della punizione fiscale verso chi corre di più.

Quarto. C’è – e mi pare insopportabile – l’idea di sottofondo che i “giganti del web” ci stiano togliendo qualcosa, ci stiano sottraendo risorse. Laddove ciascuno comprende, anche nella propria vita personale, che è vero esattamente il contrario.

Quinto. L’unico risultato concreto sarà l’allontanamento di risorse e investimenti privati dall’Ue, in cerca di luoghi più attraenti dal punto di vista fiscale e burocratico.

Serve competizione fiscale, non una omogeneizzazione peggiorativa.

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