Politica

La crisi di governo

Così Letta ha sacrificato Draghi

Altro che “crisi provocata dal centrodestra”. I motivi della caduta del premier vanno cercati nel campo largo

conte letta

Se dovessimo intitolare il racconto dell’implosione del governo Draghi dovremmo affidarci ad una locuzione perentoria: il paradosso di una crisi. Infatti, nel tentativo di salvaguardare l’illusione del campo largo si è sacrificato il governo larghissimo. Il Pd di Enrico Letta, anziché sminare il perimetro di governo, si è subordinato al disegno utopico di incorporare i Cinquestelle nell’area progressista, nonostante Giuseppe Conte avesse ostentato il dissenso sul decreto Aiuti perché includeva il termovalorizzatore richiesto dal sindaco di Roma.

Addio al campo largo

A pochi mesi dalla scadenza naturale della legislatura era ovvio assistere alle fibrillazioni nella maggioranza di governo con i partiti intenti a rivendicare la loro agenda politica. Tuttavia, nella crisi, principiata dalla defezione di Conte su un provvedimento (termovalorizzatore) che rispondeva ad una istanza di un esponente del Pd, si rinviene la definitiva dissoluzione del campo largo. Conte ha provato, senza successo, ad arginare il trend di caduta del Movimento, ma il declino è irreversibile, diagnosticando l’esaurimento di una parabola da tempo in oscillazione e priva di una direzione stabile. Il M5s è stato lusingato dal Pd per essere inglobato in un’alleanza di matrice progressista, malgrado la congenita carenza di cultura politica che lo rende ostativo a qualsiasi formula di governo. Il dissenso sul termovalorizzatore di Roma è emblematico dell’anacronismo culturale dei Cinquestelle, che preferiscono affogare i cittadini nell’immondizia anziché prospettare una visione moderna nella gestione delle criticità connesse al ciclo dei rifiuti.

Draghi, un governo difficile

Il cliché populista, che si nutre di suggestioni, rappresenta un ostacolo insormontabile per stabilire convergenze nel governo del Paese, il quale ha urgenza di sanare le proprie debolezze strutturali e non eluderle con i pregiudizi anti-moderni. Le suggestioni che il populismo mobilita sono irricevibili nella fase attuale che è traumatizzata dall’eredità pandemica e dal conflitto russo-ucraino con le conseguenze da fronteggiare sia sui rincari energetici sia sulla penuria alimentare.

La traiettoria della legislatura è stata convulsa, con maggioranze eterogenee e indotte a coabitare, pur di assicurare un governo ai cittadini, nell’alveo della legittimità costituzionale, perché la nostra è una Repubblica dove prevale la centralità parlamentare da cui si irradia la composizione dei governi. Occorre riattivare i circuiti della partecipazione, contenendo il disincanto dell’astensione, attraverso proposte credibili perché i cittadini-elettori in questi anni sono stati eccitati al godimento precoce di cambiamenti radicali, ma si sono imbattuti in liturgie precotte da cui i partiti si dichiaravano ostili.

Le colpe del Pd

Il governo Draghi era nato nel febbraio del 2021 su impulso del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il cui appello all’unità nazionale venne accolto per senso di responsabilità per gestire le emergenze socio-economiche, originatesi dallo tsunami pandemico, e per implementare la programmazione del Pnrr. Nei 16 mesi del governo draghiano la stabilità della maggioranza è stata minacciata dalle provocazioni del Pd con iniziative divisive come la cannabis libera e lo ius scholae, procurando agitazioni politiche che si sono acutizzate con il voto contrario del M5s alla fiducia posta sul decreto Aiuti. Le successive dimissioni di Draghi, respinte da Mattarella, e la parlamentarizzazione della crisi con le comunicazioni del presidente del Consiglio al Senato hanno evidenziato l’insostenibilità sul proseguo della legislatura senza introdurre elementi di discontinuità.

Richieste legittime

Il centrodestra di governo ha rivolto delle istanze legittime, cioè di escludere dal perimetro dell’esecutivo i Cinquestelle che formalmente avevano innescato la crisi, ma Draghi ha ignorato le ragioni della Lega e di Forza Italia vincolandosi ad una formula politica non più percorribile. L’ex banchiere centrale nel suo intervento al Senato è stato indulgente con i sabotatori del governo e indifferente verso chi sollecitava di prendere atto della dissociazione grillina affinché si potesse procedere ad un restart disintossicato dai pregiudizi ideologici. Invece, la crisi è precipitata per compiacere il Pd che ha anteposto l’illusione del campo largo alla certezza di un governo sorretto da una maggioranza ampia. La crisi si è generata, per poi esasperarsi, nell’area politica di supposta ispirazione progressista: il dissenso del M5s al termovalorizzatore di Roma, proposto dal Pd, ha innestato una crepa che si è tramutata in voragine per l’ostinazione di preservare una formula politica fallimentare.

Il centrodestra non poteva tollerare di convivere con un quadro deteriorato dalle contraddizioni e logorare il Paese per i restanti otto mesi di legislatura. Lo scioglimento delle Camere con l’indizione delle elezioni al prossimo 25 settembre rappresenta un momento importante, in cui la politica rioccupa il centro della vita democratica proponendo una visione di governo della complessità che ha investito la società: pandemia, guerra, crisi energetica, inflazione, rincaro dei prezzi. Con il sistema elettorale vigente e la permanenza di un sostanziale tripolarismo, con la coagulazione di un’area centrista distinta dai poli tradizionali, c’è il rischio che il prossimo Parlamento non goda di una maggioranza netta, ripercorrendo l’impasse istituzionale del 2013 e del 2018. Un esito paralizzante che minerebbe ulteriormente la credibilità del Paese che ha trascurato l’emergenza di riformare se stesso, prolungando l’agonia di un malessere sistemico che ci auguriamo possa essere presto riconvertita in un nuovo e virtuoso rilancio.

Andrea Amata, 23 luglio 2022

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