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Dall’Italia del Rinascimento a quella post-Lehman

“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui…”

Probabilmente nella memoria storica degli italiani è rimasta scolpita questa frase del sommo poeta Dante Alighieri a proposito della predizione del suo esilio e quindi del dover accettare di mettersi al servizio di vari signori dell’epoca.

D’altronde l’Italia al tempo di Dante era più un’espressione geografica che una vera nazione come disse nel 1847 lo statista austriaco Von Metternich, un insieme di stati e staterelli che non costituivano certamente un Stato nazionale vero e proprio.

Il perdurare di questa situazione di frammentazione fino al 1861 – anno in cui fu proclamato il Regno d’Italia, giusto 120 anni fa – ha lasciato negli italiani una sorta di provincialismo autarchico. 

Ed è forse questo uno dei motivi per cui ancora oggi i risparmiatori italiani sono estremamente diffidenti quando si propone loro di diversificare gli investimenti al di fuori del Belpaese; a differenza però di quell’epoca lontana in cui gli stranieri scendevano in Italia per conquistarla militarmente e politicamente oggi guardare al di là dei propri confini costituisce per i nostri cittadini-risparmiatori una possibilità di veder aumentare i propri capitali sfruttando la crescita delle economie mondiali.

Se è vero come è vero che l’Italia deve ancora recuperare i livelli di  Pil ante-2009 e lo stesso vale per la borsa allora è vero che – negli ultimi 12 anni – noi abbiamo perso un’opportunità incredibile di partecipare al recupero dei mercati e delle economie dopo la crisi del 2008.

 

E qui il grafico che ho già riportato sulla crescita dei capitali investiti è impietoso.

 

Perché gli italiani dovrebbero essere i più grandi investitori del mondo in azioni

Prendo lo spunto da un articolo apparso recentemente; in questo articolo si dice che i due Paesi in cui si sono originate le più grandi crisi degli ultimi 20 anni (Usa e Cina) alla fine hanno avuto meno danni di altre nazioni – l’Europa ad esempio  – che quelle crisi le hanno subite; la crescita economica non abita più nel vecchio mondo: gli europei e gli italiani in particolare dovrebbero investire buona parte dei loro risparmi fuori da casa propria.

In tutto il mondo i risparmiatori privilegiano gli investimenti di casa (il famoso home bias, la distorsione cognitiva che porta a scegliere investimenti “vicini” perché si pensa – a torto – di conoscerli meglio).

Qual è però il problema? Che se per i risparmiatori a made-in-Usa investire sotto casa vuol dire acquistare azioni nel mercato più liquido, diversificato e storicamente performante del mondo oppure i titoli di stato (Treasury) tra i più sicuri al mondo (rating AA) e anche mediamente redditizi a parità di rischio (Bund -0,1835% – Treasury +1,58%).

Semplicemente, a noi non conviene essere vittime dell’home bias.

C’è stata un’epoca in cui eravamo i più ricchi del mondo per Pil ma era poco dopo Dante. Oggi le nazioni che crescono di più sono lontane da noi: Stati Uniti, Cina, India (l’Asia in generale). La crescita dell’Italia è stata asfittica negli ultimi 15 anni, cambierà in meglio? Forse, tutti lo speriamo, ma possiamo affidarci alla sorte?

Inoltre, per spiegare il titolo, non solo dovremmo investire lontano da casa ma anche – e soprattutto – dovremmo investire in azioni, unico modo per partecipare effettivamente alla crescita mondiale.

A me piace giocare coi numeri, per cui ho fatto questo ragionamento: dall’inizio dell’anno l’indice delle azioni europee, l’Eurostoxx,  fa +13,44%. Il titolo di stato italiano (il Btp) è stato assegnato in asta l’altro giorno con un rendimento dello 0,17% sulla scadenza 5 anni e +0,94% a 10 anni.

Ora, tralasciando il fatto che tra ritenuta fiscale (del 12,5%), imposta sostitutiva (dello 0,20%) e inflazione (ormai sopra l’1%) sto investendo a un tasso reale negativo, faccio un altro ragionamento: se divido il rendimento delle borse da inizio anno (13,44%) per il rendimento del Btp a 5 anni e poi per quello a 10 ottengo il numero di anni che mi servono per avere lo stesso rendimento: 79 anni per il Btp quinquennale e 14 anni e qualche mese per il decennale.

Lascio a voi le considerazioni…

Ovviamente non dico di abbandonare l’investimento in bond (tra l’altro oltre ai titoli di stato ci sono le obbligazioni emesse dalle aziende) ma perlomeno di aumentare la diversificazione nei portafogli.

 

Gli italiani sono sempre stati grandi risparmiatori, ora devono imparare a essere grandi investitori.

 

Massimiliano Maccari

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