Chi vuole, o peggio ancora ha necessità, di vendere la propria casa deve abbassare le pretese e tagliare il prezzo. Che si tratti di un attico o di un monolocale a piano terra non c’è altro da fare in un mercato immobiliare ormai paralizzato dal peso raggiunto dalle rate dei mutui sulla casa. La responsabilità è tutta degli ossessivi rialzi al costo del denaro voluti dalla Bce di Christine Lagarde per spegnere l’inflazione, ma a pagare il conto sono le famiglie. Un po’ come accadrebbe un commerciante costretto a scontare anche la sua merce migliore, se ha bisogno di fare subito cassa.
Sia chiaro, non si può parlare di saldi nel mattone visto che le case, soprattutto in città come Milano e a Roma, hanno raggiunto molto spesso quotazioni inimmaginabili fino a qualche anno fa e probabilmente a tutt’oggi ingiustificate se a sostenerle non ci fossero grandi progetti di sviluppo immobiliare, investitori istituzionali pronti ad acquistare e la possibilità per i privati di mettere immediatamente a reddito gli appartamenti con la locazione o sfruttando il successo degli affitti brevi anche grazie a piattaforme come AirBnb.
Fatta questa premessa, il diffuso retrogusto recessivo lasciato da prezzi e compravendite in calo non può essere di buon auspicio per la tenuta del Pil nazionale. La sfida della crescita richiede un intervento strutturale da parte del governo, malgrado la manovra abbia superato l’esame delle agenzie di rating compresa Moody’s, da sempre la più severa. E’ ora quindi di smettere di considerare il piccolo proprietario immobiliare come un bancomat da cui prelevare con Imu e cedolare secca. E’ ora di mettere mano davvero al fisco, dopo un ritocco al cuneo fiscale che penalizza chiunque guadagni più di 35mila euro lordi all’anno.
Ma torniamo ai prezzi delle case: si stima che in media il proprietario debba ormai accettare di ridurre la sua richiesta dell’8,1% se vuole convincere il potenziale compratore a presentarsi dal notaio. Una sforbiciata maggiore, fa i conti Tecnocasa, di quanto non fosse necessario per esempio nel secondo semestre dello scorso anno (-7,8%).
Nel periodo del Covid era andata anche peggio con sconti attorno al 10%. Questa però non è che una magra consolazione, sia perchè si tratta di medie sia perchè ad oggi le maggiori delusioni sono riservate a chi ha un patrimonio immobiliare modesto. Il mercato accusa infatti un ribasso maggiore per le case usate (-8,2%) rispetto a quelle ristrutturate (-6,8%) o nuove (-4,7%), anche alla luce dei crescenti costi richiesti dalle imprese edili per aprire un cantiere dopo il rincaro delle materie prime.
Come sempre accade, quindi, la qualità premia. Gli sconti raggiungono infatti il picco quando si tratta di vendere un appartamento inserito in un contesto popolare oppure soluzioni meno ambìte dal punto di vista della posizione all’interno di un condomìnio, come accade ai seminterrati (-10,4%) o ai piani terra (-8,4%). All’opposto gli ultimi piani contengono i danni (-7,7%), anche perchè spesso sono proprio questi ultimi a essere i preferiti di chi può spendere, soprattutto se dotati di ampi balconi o terrazzi.
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