Economia e Logistica

DICIASSETTESIMA PUNTATA

Tutti i porti dei Presidenti: dimenticati

In un Paese che muove via mare l’80% del suo interscambio commerciale i porti sono stati strutturalmente isolati dall’economia e dalla politica, eccezion fatta per le lottizzazioni

Tutti i porti dei presidenti, di Bruno Dardani

Molti nomi dimenticati, molti triturati, in un mondo, quello portuale, che nel suo non splendido isolamento ha alternato professionalità, spesso sottovalutate o addirittura penalizzate, a mediocrità frutto in molti casi di “recuperi” politici post elettorali.

Una storia quella dei porti italiani dalla quale abbiamo estratto a forza nomi che non potevano essere dimenticati, ma che invece lo sono stati anche quando hanno posato in un comparto di valore strategico assoluto pietre miliari come la privatizzazione, la limitazione dei poteri politici in banchina, una gestione para manageriale, riforme talora epocali, talora non coerenti.

Nomi che hanno galleggiato in un settore dove il tintinnare di manette non ha casualmente riguardato, oltre che due Presidenti a Genova, anche due Ministri della Marina mercantile, Giovanni Prandini e Calogero Mannino, che, altrettanto non casualmente, avevano legiferato per limitare e circoscrivere il potere strabordante della politica nell’organizzazione del lavoro.

Nomi che sono riusciti a emergere per un breve periodo, conquistando anche le prime pagine di giornali internazionali per sprofondare poi in un oblio pressoché totale.

A ben vedere, ripensando alle storie di personaggi che in altri comparti della vita economica del Paese avrebbero lasciato memorie permanenti, proprio nella propensione cronica dei porti a fagocitare tutto quanto sia innovazione, futuro, persino emulazione di esperienze estere, è racchiusa l’emarginazione della principale risorsa strategica che un Paese normale avrebbe sfruttato a suo favore sui mercati internazionali.

Benché da mesi, anche con la ricostituzione di un Ministero del Mare e con la concentrazione sui porti di importanti risorse finanziarie del PNRR, si siano aperte sottili brecce nell’isolamento della portualità, è proprio in un ritardo culturale dell’intero tessuto economico e produttivo del Paese, oltre che nelle Istituzioni e nella politica, che vanno ricercate le cause di quello che è forse il più grande paradosso italiano.

Un paese di trasformazione industriale, che dipende per circa l’80% dalle importazioni e dalle esportazioni via mare, tutt’oggi incapace anche solo di cogliere l’importanza dei porti. Grandi dibattiti hanno animato l’Italia sul tema del costo del lavoro, con un’industria compatta a rivendicare la necessità di un abbattimento degli oneri sul fronte manodopera e disposta a dare per questo battaglia a tutto campo.

Ma la stessa industria e lo stesso apparato produttivo del Paese, incapaci anche di cogliere i segnali di cambiamento negli altri Paesi europei impegnati nell’edificazione di un sistema logistico efficiente, hanno considerato per decenni, e forse in parte continuano a considerare, la logistica e i trasporti marittimi alla stregua di optional.

Esiste quasi un rifiuto pressoché generalizzato a comprendere il linguaggio, a studiare le dinamiche, quando proprio sull’efficienza e la razionalizzazione dei flussi e del sistema logistico, incentrato in particolare sui porti, si determina quotidianamente la competitività dei prodotti sul mercato.

L’ottusità logistica italiana ha rappresentato per decenni (e in parte sopravvive attraverso un’ignoranza collettiva della dimensione della sfida e dell’importanza di fattori strategici come i porti) una costante di sistema e al tempo stesso un fattore condizionante per l’opinione pubblica e per la politica.

I presidenti che hanno lasciato un segno nella portualità italiana potrebbero essere considerati eroi o addirittura rivoluzionari perché la loro azione è stata una vera lotta contro il sistema. Un sistema fatto di connivenze, di interessi trasversali, di difesa di privilegi e di un mercato che comunque era interesse comune fosse chiuso e refrattario rispetto all’arrivo di nuovi player esterni al sistema stesso.

In un close shop system ogni tentativo di apertura e ogni movimento di liberazione o di deregulation è sfociato in scontri, talora epocali, che hanno favorito sempre e comunque la difesa dell’esistente, all’insegna di quel concetto di “unicità” che ha ulteriormente alzato le mura di protezione del micro-cosmo portuale italiano.

17. Continua …

Leggi tutti i capitoli:

  1. Un paese molto strano
  2. Isole infelici
  3. Tutti i porti dei Presidenti: Stefano Canzio
  4. Tutti i porti dei presidenti: Giorgio Bucchioni
  5. Tutti i porti dei presidenti: Cristoforo Canavese
  6. Tutti i porti dei presidenti: Paolo Costa
  7. Tutti i porti dei presidenti: Roberto D’Alessandro
  8. Tutti i porti dei presidenti: Alessandro Di Cio’
  9. Tutti i porti dei Presidenti: Michele Lacalamita
  10. Tutti i porti dei Presidenti: Rinaldo Magnani
  11. Tutti i porti del presidente: Marina Monassi
  12. Tutti i porti dei Presidenti: Gianni Moscherini
  13. Tutti i porti dei Presidenti: Francesco Nerli
  14. Tutti i porti dei Presidenti: una via di fuga
  15. Tutti i porti dei Presidenti: Luigi Merlo
  16. Tutti i porti del Presidente: Pasqualino Monti
  17. Tutti i porti del Presidente: dimenticati
  18. Tutti i porti del Presidente: comodo isolamento
  19. Tutti i porti dei Presidenti: tante parole, pochi fatti

Si ringraziano per la collaborazione: